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Giuseppe Pastore
Classici: Inghilterra-Belgio '90
28 giu 2018
28 giu 2018
Per la rubrica in cui analizziamo le partite del passato, ci siamo rivisti uno degli ottavi di finale di Italia 90.
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Giuseppe Pastore
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Si chiama

, un libro del 2014 di Rob Smyth e Scott Murray, i due giornalisti del

che hanno reinventato il genere della cronaca minuto per minuto di una partita di calcio, aggiungendo profondità, arguzia e guizzi a getto continuo nelle loro dirette Internet. Hanno ripreso e ripercorso i grandi classici della storia Mondiale, dal Maracanazo a Italia-Germania 2006, e come titolo hanno scelto una delle frasi più dolorose della storia dei Tre Leoni. Allo stadio Delle Alpi, spettrale teatro della seconda semifinale di Italia 1990, è in corso il primo tempo supplementare di Germania-Inghilterra. Paul Gascoigne, mattocchio shakespeariano che sta vivendo un'estate in stato di grazia, annebbiato dalla stanchezza si produce in un impeto di generosità del tutto superfluo, e all'altezza della metà campo falcia Thomas Berthold.

 

Questi si rotola un paio di volte più del dovuto, giusto per far capire l'antifona all'arbitro brasiliano Wright, che infatti estrae l'inevitabile cartellino giallo. In quel momento Gazza realizza che è avvenuto l'irreparabile: era diffidato e il suo Mondiale finisce lì. Allora accentua la sua maschera da Benny Hill tragico, caracolla a testa bassa e inarca il naso e la bocca in un broncio che è tanto così da esplodere in un pianto a dirotto. Dalla diretta tv si vede Lineker accorgersi che la tragedia è in atto e dire alla panchina qualcosa del tipo «Parlate con lui, ora». È straziante vedere un filo che si spezza davanti a milioni di spettatori, in questo che è uno dei momenti fondanti della carriera autodistruttiva di Gascoigne. Ed è anche il finale amarissimo - ancora più amaro dei successivi rigori falliti da Hoddle e Pearce - dell'estate più dolce mai vissuta dagli inglesi nell'ultimo mezzo secolo.

 



 


Il biglietto da visita con cui l'Inghilterra si presenta ai cancelli della festa di Italia '90 è un'altra fotografia memorabile, scattata a Stoccolma il 6 settembre 1989. I club inglesi stanno ancora scontando la maxi-squalifica post Heysel e la Nazionale è l'unico modo di comunicare calcisticamente con il resto del mondo. Quel giorno il sangue versato dalle tante vittime degli hooligans viene definitivamente cancellato per la catarsi che vede protagonista la maglietta bianca di Terry Butcher, stopperone evocativo sin dal cognome (“macellaio”). A metà primo tempo di Svezia-Inghilterra, partita fondamentale per la qualificazione ai Mondiali, uno scontro aereo con Johnny Ekstrom gli provoca un profondo taglio in piena fronte, curato alla bell'e meglio nell'intervallo con sette punti di sutura. Ma i punti cedono nel secondo tempo, anche perché Butcher continua a colpire di testa qualsiasi oggetto rotondo stia passando dalle sue parti, e in un caso è la testa di un altro svedese, Magnusson. Finisce la partita nelle condizioni che potete vedere sotto; i medici della Nazionale calcoleranno che ha perso tanto sangue da riempirci una tazza da tè. «Ma ehi, quella sera ero il capitano dell'Inghilterra, e se il ct mi avesse sostituito credo che l'avrei picchiato».

 

https://www.youtube.com/watch?v=LFDNcHXJoFE

 

Come avrete intuito, l'avvicinamento dell'Inghilterra al Mondiale 1990 è piuttosto problematico. Inserita in uno scorbutico raggruppamento a 4 con Svezia, Polonia e Albania, riesce a qualificarsi tra le migliori seconde solo grazie a una grande prestazione di Peter Shilton nell'ultima partita a Chorzow; ma se la legnata da fuori area di Tarasciewicz al 90' non avesse colpito la traversa, ma si fosse infilata qualche centimetro più in basso, al Mondiale ci sarebbe andata la Danimarca.

 

Nonostante sia in carica dal 1982, la pellaccia di Robson sta sperimentando solo da due anni il progressivo incarognimento dei tabloid, che intercettano l'aria di malcontento dell'Inghilterra thatcheriana. Il massacro mediatico è iniziato dopo il disastroso Europeo 1988, concluso con tre sconfitte in tre partite, e cresce d'intensità a ogni risultato negativo. Diventa proverbiale un titolo in prima pagina dopo un pareggio per 1-1 in Arabia Saudita: “In the name of Allah, go!”. I rapporti con il presidente federale Bert Millichip sono da tempo inesistenti: dopo l'Europeo Robson resta in sella solo perché l'unica alternativa credibile, Brian Clough, è cordialmente detestato dalla Federazione (e viceversa). Così, quando alla vigilia del Mondiale Millichip, cedendo alle pressioni della stampa, fa balenare l'ipotesi di un rinnovo condizionato alla vittoria finale, Robson coglie la palla al balzo e accetta subito l'offerta del PSV Eindhoven, comunicando il suo divorzio dalla Nazionale a torneo concluso.

 

L'ottimo lavoro di Robson, anche a livello giovanile, ha dato i suoi frutti. La squadra può contare su una difesa quasi sui livelli ineguagliati del 1966 (neanche un gol subito nelle sei partite di qualificazione) ma non è particolarmente sexy in attacco, dove scarseggiano le alternative al trentenne Lineker, che non è più il cecchino di quattro anni prima. Ma in soccorso del ct arriva un matto, un giullare, un fool coi piedi da brasiliano, che tutto il Paese vuole titolare in Italia. Robson nutre un'ammirazione sincera per la tecnica di Paul Gascoigne, anche se i rapporti umani si mantengono freddini, sintetizzati da una curiosa espressione di difficile spiegazione: “He's daft as a brush”, è stupido come un pennello. Il 25 aprile 1990 decide di schierarlo titolare a Wembley contro la Cecoslovacchia, ultima prova generale prima delle convocazioni, mettendogli addosso una pressione all'altezza del compito: se vuoi guidarci al Mondiale – è questo il ragionamento del ct – hai solo questa partita per farmi vedere cosa sai fare.

 

Quella prestazione di Gascoigne ha contorni ammantati di leggenda. Lo si descrive catatonico nel sottopassaggio prima di entrare in campo, con lo sguardo spiritato, nell'atto di calciare ripetutamente il pallone contro il muro. In campo è un'ira di Dio. Nel suo piede destro c'è una qualità sconosciuta ai calciatori inglesi dei trent'anni precedenti: manda in porta Steve Bull (1-1), batte l'angolo da cui nasce la rete di Pearce (2-1) e scodella il cross delizioso girato in rete di testa ancora da Bull (3-1). Al 90' mostra alla nazione che sa usare anche il sinistro, concludendo brillantemente l'ennesimo spunto negli ultimi sedici metri con una stangata sotto la traversa. Robson viene sorpreso a sorridere in panchina, agitando il dito indice verso il suo staff, come a dire “ve l'avevo detto!”. Ed è con queste premesse esaltanti che l'Inghilterra s'imbarca in direzione Italia.

 

https://www.youtube.com/watch?v=lIofBdYNPAg

 


Avete dunque presente la pressione, le critiche, lo stress collegato a the impossible job, come gli inglesi chiamano il lavoro di ct? In Belgio, tutto il contrario. Si lavora silenziosamente da quando è tornato Guy Thys, il guru capace dei ripetuti miracoli del Belgio anni Ottanta: finale agli Europei 1980, figurone al Mondiale 1982 ingabbiando l'Argentina di Maradona come da celebre foto, quarto posto al Mondiale 1986 (quando Maradona si è preso la rivincita).

 

Thys è un geniale inventore di trappole, un Rinus Michels fiammingo nei pregi e nei difetti. Ha una perniciosa attrazione per i sigari e il whisky, che beve pubblicamente nelle sue chiacchierate con gli amici giornalisti. Per sopraggiunti limiti d'età, nel luglio precedente è stato affiancato dal giovane Walter Meeuws, il libero della sua Nazionale 1980 e 1982. Ma Meeuws è altezzoso, arrogante, non parla francese (per essere ct del Belgio è altamente consigliato destreggiarsi con entrambe le lingue) ed entra subito in conflitto con la parte francofona della squadra, in particolare col bizzoso vallone Vincenzo Scifo, che dopo due pessime stagioni all'Inter si sta rilanciando alla grande all'Auxerre. La qualificazione arriva facile, ma gli scadenti risultati dell'autunno-inverno (0-2 in Grecia, addirittura 1-1 contro Lussemburgo) inducono la Federazione a liquidare Meeuws e scongelare il 68enne Thys che in fondo non se n'era mai andato, proprio come Michels. Il Belgio 1990 avrà la stessa filosofia del decennio precedente: per dirla alla Gianni Brera, «una squadra di tosti fiamminghi, capaci di strozzare chiunque per una lira».

 


Il sorteggio pilotato del Mondiale 1990 fa sì che gli inglesi vengano esiliati in Sardegna: a tanto arriva la paura degli hooligans, la cui minaccia viene a onor del vero un po' ingigantita per potersi poi pavoneggiare, a pericolo scampato, davanti all'opinione pubblica. Scrive il grande giornalista inglese Brian Glanville nella sua

, a proposito di alcuni scontri a Bologna prima di Inghilterra-Belgio: «Alcune centinaia di tifosi inglesi, pur protestando la loro totale innocenza, furono imbarcati su un aereo il cui numero di posti – pensate la coincidenza – era esattamente lo stesso delle persone arrestate». 
Nonostante il rango di testa di serie, il sorteggio non è stato tenero.

 

Gli inglesi pescano nientemeno che la mina vagante Olanda, campione d'Europa in carica, e i debuttanti irlandesi allenati da Jackie Charlton, fratello di Bobby e campione del mondo 1966: entrambe le squadre li hanno sconfitti agli Europei di due anni prima. Completa il gruppo il misterioso Egitto, destinato a fare tappezzeria. L'esordio contro l'Irlanda, in un Sant'Elia stracolmo di tifosi e ulteriormente albionizzato dalla pioggia battente, conferma i timori di un gruppo improntato a un esasperato tatticismo: Lineker porta subito in vantaggio i suoi approfittando di uno svarione difensivo irlandese, gli inglesi sembrano in grado di congelare un noiosissimo 1-0, ma a metà ripresa un errore di McMahon – entrato due minuti prima – regala a Kevin Sheedy lo spazio per infilare Shilton in diagonale. I tifosi irlandesi festeggiano il loro primo punto Mondiale come se fosse il 17 marzo. Nel suo piccolo, è anche la partita che passa alla storia per la gaffe di Gary Lineker che, forse condizionato dall'umidità della serata – come dire – si lascia un po' andare sull'erba di Cagliari, diventando futuro oggetto di meme e battute da social.

 

https://www.youtube.com/watch?v=9t_8pfbCH-4



 

Anche l'Olanda ha steccato la prima, facendosi bloccare sull'1-1 dall'Egitto. Sfiancati dalla lunghissima stagione (Rijkaard, Van Basten) o non ancora del tutto recuperati da lunghi infortuni (Gullit), i tre milanisti sono clamorosamente sottotono. In più, il cambio di ct tra Michels e Leo Beenhakker, col vecchio Rinus che rimane comunque eminenza grigia del clan olandese, sta provocando maretta: quel tipico malumore che solo gli olandesi provano, e trovano difficilissimo spiegare all'esterno. Una famosa foto in aereo dell'altre volte principesco Van Basten, immortalato nell'atto di mostrare il dito medio all'anonimo fotografo che osa disturbarlo mentre gioca a backgammon con Van't Schip, è probabilmente esplicativa del clima.

 

Assecondando i timori dei suoi, Robson fa qualcosa di inaudito per il calcio inglese: dopo otto anni di gestione apre al libero, nella fattispecie Mark Wright del Derby County, intendendo rinforzare gli ormeggi contro lo spauracchio Van Basten (che due anni prima aveva fatto tripletta). Cautele comprensibili ma eccessive: gli inglesi dominano, un incantevole Gascoigne si trasforma in Cruijff proprio contro gli olandesi, per esempio mandando al bar un difensore monumentale come Ronald Koeman e distillando cross paradisiaci. Lo 0-0 regge solo per gli errori di un Lineker appannato e per lo zelo dell'arbitro jugoslavo Petrovic che nella ripresa annulla due reti agli inglesi, entrambe a ragion veduta. Nel primo caso c'è un fallo di mano di Lineker; nel secondo, a tempo scaduto, il fischio che strozza in gola l'urlo degli inglesi arriva perché la punizione di Stuart Pearce, finita in rete senz'alcuna deviazione, in realtà era di seconda. Finisce 0-0 anche Irlanda-Egitto: a 90 minuti dalla fine, tutte e quattro le squadre hanno due punti in classifica, un gol segnato e un gol subito.

 

Robson affronta l'Egitto con un Bryan Robson in meno: per il secondo Mondiale consecutivo Captain Fantastic deve alzare bandiera bianca, stavolta per problemi di tendinite. Contro i Faraoni la prudenza ha un limite: Wright rimane in campo ma torna in linea con gli altri tre difensori, mentre come spalla di Lineker è il turno di Steve Bull del Wolverhampton. Davvero poco poco da segnalare, finché a mezz'ora dalla fine il destro parabolico di Gascoigne non pesca proprio la testa di Wright, dimenticato dai distratti egiziani che miravano esclusivamente allo 0-0. L'ennesimo pareggio (il quinto su sei partite!) tra Irlanda e Olanda fa sì che il secondo e il terzo posto vengano assegnati tramite riffa: la sorte volta le spalle agli avvizziti tulipani, a cui tocca il dubbio privilegio di incontrare la Germania a San Siro. Gli inglesi, top of the table, attendono la seconda classificata del Gruppo E.

 


Da raffinato etilista, Thys non avrà certamente disprezzato di finire nel girone del Triveneto, il che fa sì che il loro quartier generale sorga a Pescantina, in piena Valpolicella. Il Belgio si beve il gruppo tutto d'un fiato, liquidando 2-0 i modestissimi sudcoreani che non sanno andare oltre un organizzato ronzio attorno ai portatori di palla vestiti di rosso. Apre le marcature un lungo pallonetto di Marc Degryse, seconda punta dell'Anderlecht, e raddoppia Dewulf con una sassata dai trenta metri. Il ct non è particolarmente impressionato dalle trame offensive di Emmers e Van der Linden, capocannoniere belga delle qualificazioni; e perciò, per un paradosso tutto belga che sembra essere stato concepito in un noioso pomeriggio di nebbia e fumo sulla battigia davanti al porto di Anversa, Thys trova la versione più spettacolare del Belgio 1990 diminuendo il numero di attaccanti.

 

Contro l'Uruguay rientra in ballo il vecchio cammellone Jan Ceulemans, ormai 33enne e gratificato della fascia di capitano, ma il deus ex machina è Scifo che gioca una partita strepitosa, il cui momento più alto è il colpo di bisturi da fuori area (“alla Modric”, si direbbe oggi) che vale il 2-0. Segnano anche Leo Clijsters (papà della futura tennista Kim) e lo stesso Ceulemans; segnano tutti, anche in inferiorità numerica.

 

È una gran bella squadra a cominciare dal numero 1, l'estroso Michel Preud'homme, secondo l'IFFHS il secondo miglior portiere del mondo dopo Walter Zenga: due mesi prima, in Coppa Campioni, ha tenuto a galla quasi da solo il piccolo Malines contro il Milan di Sacchi, prima di arrendersi a Van Basten e Simone in un return match di bellezza fiammeggiante. Sulla scacchiera trovano posto due vecchi alfieri come Gerets e Clijsters, mentre a centrocampo regna un pedone sontuoso, Franky Van der Elst, depositario del verbo di Thys. Resta da stabilire la prima del girone, nello scontro finale al Bentegodi contro la Spagna di Luisito Suarez. Sembra un pareggio annunciato ma gli spagnoli vanno sul 2-1 esibendo inattesa brillantezza, prima che Scifo tiri sulla traversa il rigore del possibile pareggio. Qualcuno fa notare sommessamente che, da secondi, i belgi hanno lasciato l'ottavo più difficile proprio alla Spagna: che sì, rimarrà a Verona, ma solo per essere eliminata ai supplementari dalla fortissima Jugoslavia.

 


«Le partite che si reggono su fondamenta robustamente tattiche rischiano di somigliare a quelle produzioni del teatro classico giapponese in cui anche il solo movimento di un mignolo assume significati straordinari», scriveva

a margine di Belgio-Uruguay. Parole assai avvedute, alla luce di quella che sarà l'ultima grande partita a scacchi del Belgio anni Ottanta.

 

Lo sbarco sulla terraferma non crea particolari disagi di ordine pubblico agli inglesi, anche se la squadra non può dire lo stesso. L'aneddoto è famoso: per combattere la paura di volare, Gascoigne se ne va a zonzo sull'aereo durante il viaggio verso Bologna. Giunto in cabina di pilotaggio, scambia due chiacchiere con il comandante e poi, senza preavviso, tira improvvisamente una leva (“per vedere quanto fossero reattivi i comandi”, spiegherà nella sua autobiografia) e provoca una picchiata di qualche lunghissimo secondo.

 

Giunto a destinazione e appreso con sollievo che in città vige l'assoluto divieto di vendere alcolici, Robson mette il folle Gazza al centro del suo 5-3-2: Wright torna a fare il libero davanti a Shilton, alle spalle di una difesa che prevede come centrali Butcher e l'acciaccato Walker, Pearce a sinistra e Parker a destra. Il tecnico Waddle e il muscolare McMahon sono incaricati dei rifornimenti a Gascoigne, che svaria su tutto il fronte d'attacco composto da Barnes e Lineker, anche lui non al meglio dopo che contro l'Egitto ha rimediato un pestone che gli rende difficile anche infilare le scarpette.

 

Rimasti nell'incantevole "buen retiro" della Valpolicella fino al giorno prima, i belgi scrutano le alchimie di Robson con le idee molto più chiare. “So come fregare gli inglesi”, ammonisce Thys. Nel Mondiale delle difese a 5, il Belgio detta legge: la cerniera Grun-Clijsters-Demol è rinforzata sui lati da Gerets a destra e De Wolf a sinistra, Versavel e Van der Elst portano l'acqua a Scifo che è il vertice basso dell'indecifrabile trio d'attacco completato da Ceulemans e Degryse, nessuno dei due nominalmente una punta.

 

Si gioca alle 21 in una Bologna immersa da giorni in una cappa d'afa soffocante. Ci si aspetta che due tra le squadre più cerebrali di un Mondiale già non esattamente a cento all'ora trovino nel caldo un altro alibi per abbassare il volume, come se fossero i giri iniziali di una Sei Giorni ciclistica – specialità in cui notoriamente i belgi eccellono. Ma sono proprio loro a partire fortissimo, impegnando Shilton già dopo due minuti con Versavel.

 

Gli inglesi rimangono a lungo intrappolati nel vischio delle trappole di Thys, la cui rete di passaggetti veloci rasoterra non è ancora così di moda da diventare uno status symbol. Al quarto d'ora Ceulemans vince un contrasto con Wright e scuote violentemente il palo alla destra di Shilton, con un gran tiro che sarebbe dovuto entrare. Il Belgio domina, il vantaggio sembra questione di attimi, ma la resistenza inglese fa miracoli: così la marea rossa si ritrae e arrivano i momenti di Gascoigne, sempre abile a cercare teste e gambe dei compagni su calcio piazzato. La miglior occasione inglese arriva però al culmine di un'azione bellissima che si conclude con un perfetto cross di Lineker per l'inserimento di Barnes, che batte Preud'homme al volo. Fuorigioco! L'arbitro Mikkelsen annulla, mal consigliato dal guardalinee Kohl. E per tutti i pundit inglesi che oggi blaterano contro la VAR, il fermo immagine di Barnes tenuto in gioco di almeno mezzo metro da De Wulf dovrebbe essere mostrato stile cura Ludovico.

 



 

Il Belgio riparte a menare le danze anche nella ripresa, ma la sorte le volta spettacolosamente le spalle. Arriva la proverbiale fiondata da trenta metri di Scifo, ma arriva un altro palo a Shilton battuto. Il caldo e la stanchezza fiaccano la mente dei ventidue in campo, il primo a cambiare è Thys, che toglie Degryse – cancellato da uno strepitoso Walker – e inserisce Claesen. La contromossa di Robson è più coraggiosa: fuori il rude McMahon, dentro il giovane David Platt, lo Schillaci inglese fin qui impiegato col centellino. Non come ruolo, intendiamoci: ma il ct l'ha convocato dopo una stagione sensazionale da 19 gol con l'Aston Villa, colpito dal temperamento e dalle spiccate doti d'inserimento, sia di testa che di piede. Non ha il genio di Gascoigne, ma ha tutto il resto.

 

L'idea sembra destinata al flop, come anche il successivo cambio, Bull per Barnes. Scade il 90' e arrivano i supplementari, ben accetti dal Belgio che a Messico 1986 aveva costruito le proprie fortune proprio sugli extra time. Ma non accade nulla, se non un'ammonizione a Gascoigne che avrà conseguenze alla lunga funeste sulla psiche del povero Gazza. Ma non stasera, non a Bologna. Al 28' di due supplementari inguardabili, Gascoigne si guadagna un calcio di punizione in posizione centrale, a 40 metri da Preud'homme. Può fare quello che vuole, persino tirare; dopo qualche secondo di valutazione, decide per la palombella tesa nel cuore dell'area, uno sguardo nel futuro. Gazza sa già che Platt eseguirà il movimento giusto e ha deciso di premiarlo.

 

Con senso logico ben poco inglese – almeno, per le cose di calcio – tutto va esattamente come deve andare: la palla di Gascoigne ha i giri giusti, Platt parte in orario, il destro al volo incrociato sul secondo palo è perfetto. Un gol di pulizia esemplare per una vittoria dal cinismo quasi tedesco, che lascia sadicamente ai belgi giusto una quarantina di secondi per provare vanamente a pareggiare.

 

«È una partita», scrive Matthew Engel sul

, «che mostra quanto siano sottili, nel calcio, i confini tra la gloria e l'ignominia». Platt esulta a braccia aperte. Bobby Robson prende a saltellare in panchina quando ancora Mikkelsen non ha fischiato. L'immagine si ferma, il film finisce, iniziano i titoli di coda. Niente Gazza che piange, niente rigori sbagliati, niente Lineker che motteggia la sua maledetta frase sui tedeschi. Ancora oggi gli inglesi sognano che quel Mondiale 1990 sia finito così, con questa piccola grande istantanea di felicità. Per i diecimila inglesi a digiuno di alcol ma ebbri di gioia, in quella notte di inizio estate forse non è vero che, come cantava il poeta, “nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino”.

 

 

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