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05 giu 2017
05 giu 2017
Il Real Madrid di Zidane conferma di essere la migliore squadra d'Europa a spese della Juventus.
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Foto di Matthias Hangst / Getty
(copertina) Foto di Matthias Hangst / Getty
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Lungo la strada che portava alla finale di Champions League, il Real Madrid ha incontrato alcune delle squadre più organizzate e più forti d’Europa: Borussia Dortmund, Napoli, Bayern Monaco e Atlético Madrid. In maniera diversa, tutte hanno messo in evidenza gli squilibri tattici della squadra di Zinédine Zidane: il Borussia ha chiuso il girone al primo posto dopo un pareggio in rimonta al Santiago Bernabéu; il Napoli, il Bayern e l’Atleti a un certo punto delle rispettive sfide a eliminazione diretta sembravano poter riuscire a rimontare il vantaggio costruito dal Madrid, ma nessuna è stata in grado di completare l’impresa. In ognuna di queste partite, i “Merengues” hanno aspettato con fiducia il momento in cui è stato il talento, più di ogni altra cosa, a fare la differenza. Tanto è bastato per piegare qualsiasi resistenza e volare a Cardiff.

Al contrario, il cammino della Juventus si è fondato sull’organizzazione, in particolare sulla solidità difensiva - appena 3 gol subiti in 12 gare - anche se sarebbe stato riduttivo presentare la partita col Madrid come una sfida tra attacco e difesa. Poche altre squadre in Europa possono vantare il potenziale tecnico e anche offensivo dei bianconeri, ed è proprio sulle variegate qualità tecniche e fisiche dei suoi giocatori migliori che Massimiliano Allegri ha forgiato l’identità fluida che ha permesso alla Juve di dominare in Italia e tornare in finale di Champions per la seconda volta in tre anni. Sfortunatamente per Allegri, però, tra le squadre che possono contare su un potenziale equivalente o superiore c’è proprio il Real Madrid.

Se si parla di talento, nessuno in questo momento ha più “problemi” di Zidane. Per rendere l’idea, il recupero di Gareth Bale ha fatto scivolare in tribuna James Rodríguez - costato 80 milioni di euro tre anni fa - e Lucas Vázquez, arma tattica utilissima per gran parte della stagione. La formazione iniziale non ha regalato sorprese: Isco si è sistemato come vertice alto del rombo di centrocampo completato da Casemiro, Kroos e Modric, alle spalle di Benzema e Cristiano Ronaldo; in difesa Carvajal ha recuperato il proprio posto sulla fascia destra, ripristinando con Varane, Sergio Ramos e Marcelo la linea difensiva titolare.

Nemmeno Allegri ha derogato dalle anticipazioni della vigilia: così come contro il Monaco, Cuadrado è finito in panchina per far posto a Barzagli come terzino destro, mentre Dani Alves si è sistemato in posizione avanzata sulla fascia destra, in linea con Dybala e Mandzukic alle spalle di Higuaín. Chiellini è rientrato al centro della difesa di fianco a Bonucci, mentre a sinistra ha ovviamente giocato Alex Sandro.

La Juve comincia bene

In molti hanno presentato questa finale come uno scontro tra filosofie: il pragmatismo e la solidità della Juve contro il talento offensivo del Madrid. In realtà, come anticipato da Fabio Barcellona, il gioco delle due squadre ha diversi punti di contatto: ad esempio, la comune ricerca dell’ampiezza come sviluppo privilegiato della manovra. E proprio per questo il predominio sulle fasce è diventata subito una delle chiavi della partita.

Nei primi minuti di gara è stato evidente che la Juve aveva un chiaro vantaggio tattico sulla fascia sinistra, con Alex Sandro e Mandzukic che riuscivano piuttosto facilmente a mettere in inferiorità numerica Carvajal. Il Madrid non aveva una struttura difensiva sufficientemente solida per limitare le sovrapposizioni del terzino brasiliano: i ripiegamenti di Isco non solo non erano sempre puntuali, ma non generavano a catena le scalate verso l’esterno di Kroos o Modric, limitandosi a creare un addensamento sul lato in cui ripiegava il trequartista spagnolo.

La Juve, così, aveva molto spazio per girare il pallone da un lato all’altro del campo e lo schieramento in fase di possesso era appunto studiato per colpire il Madrid con frequenti cambi di gioco.

Nella fase di costruzione Barzagli si allargava, in una posizione più simile a quella di un terzino vero e proprio che a quella di un centrale della difesa a 3, lasciando a Bonucci e Chiellini il compito di mettere in inferiorità Benzema o Ronaldo e iniziare l’azione, al tempo stesso, però, Barzagli allargandosi attirava Kroos o Isco, creando il corridoio in cui Bonucci poteva cercare direttamente Dybala, Dani Alves o Higuaín.

Dall’altra parte Mandzukic e Alex Sandro si aprivano a turno per dare un appoggio ai difensori a inizio azione e fare da riferimento sui cambi di gioco di Bonucci, forti della libertà concessa loro dallo schieramento del Madrid.

Come sempre, il possesso della Juve è stato più manovrato sul proprio lato destro – quello di Pjanic, Dybala e Dani Alves – e più diretto sul lato sinistro. Da questa parte erano l’intelligenza senza palla di Khedira - bravo a impegnare Modric con i suoi movimenti in verticale tra le linee del Madrid e a occupare gli spazi lasciati da Mandzukic quando il croato si allargava - la libertà concessa ad Alex Sandro e la superiorità fisica di Mandzukic su Carvajal a creare le condizioni ideali per verticalizzare rapidamente e arrivare sul fondo.

Il gol segnato da Mandzukic è la massima esaltazione del vantaggio della Juve sulla propria fascia sinistra. Forse però, più di ogni altra cosa è da sottolineare la qualità con cui i bianconeri approfittano degli squilibri del Madrid, con un’azione al volo che resterà nella storia come uno dei gol più belli segnati in una finale di Champions.

La pazienza e la libertà del Madrid

Pur ricercando come la Juve la massima ampiezza possibile, il Madrid risaliva il campo in maniera più paziente e ragionata. Specie a inizio partita, Carvajal e Marcelo non si alzavano subito nella trequarti bianconera, per non rendere ancora più problematiche le transizioni difensive. Kroos e Modric, da parte loro, si abbassavano come sempre oltre il centrocampo per gestire l’azione fin dalle prime fasi.

La squadra di Zidane consolidava il possesso ricercando un’accentuata superiorità numerica nella zona della palla, agevolata dai movimenti in appoggio di Isco e Benzema, liberi come al solito di girare per il campo. Alla somma di queste incredibili qualità individuali va sottratto Casemiro, che come spesso accade finisce col diventare quasi un corpo estraneo al Madrid nella fase di costruzione, ignorato il più possibile dai propri compagni, tecnicamente di un altro pianeta in confronto a lui.

Inizialmente sembrava che l’aggressività iniziale della Juve potesse minare le certezze del Madrid (con alcune palle recuperate molto in alto nei primi minuti e quasi tutte le ripartenze stroncate sul nascere), ma in realtà la squadra di Zidane non ci ha messo molto ad avere il predominio nel possesso palla, anche senza mai cercare un controllo della partita col pallone.

Oltrepassata la metà campo juventina, la squadra di Zidane cercava rapidamente la verticalizzazione, specie in zone esterne, chiamando spesso fuori posizione Bonucci e Chiellini con i tagli a turno di Benzema, Isco e Cristiano Ronaldo.

Pur in una situazione di sostanziale equilibrio (anche se la Juve tirava di più), i segnali che avrebbero portato al crollo della Juve nella seconda parte della gara erano comunque già presenti nel primo tempo: la superiorità numerica spagnola nella zona della palla, lo sfruttamento delle fasce per la costruzione e l’aggressività che impediva soprattutto al lato destro bianconero di giocare con la solita qualità negli spazi stretti.

Lo schieramento squilibrato in fase difensiva diventava addirittura un vantaggio per i giocatori del Madrid: la loro ricerca continua del pallone, senza preoccuparsi di mantenere la posizione, creava la superiorità necessaria a consolidare facilmente il possesso una volta recuperata la palla.

Al solito, Modric e Kroos avevano spazi enormi da coprire per rimediare alla passività difensiva del trio d'attacco e portare la prima pressione sui giocatori della Juve; Casemiro doveva costantemente accorciare alle loro spalle preoccupandosi di non lasciare troppi spazi tra le linee; Ramos e Varane uscivano con la consueta aggressività per togliere dalla partita Dybala e Higuaín. Zidane si è chiaramente preoccupato di impedire una ricezione pulita tra le linee ai due argentini, anche a costo di prendersi grandi rischi portando fuori posizione sia Ramos che Varane.

Una sorta di disordine organizzato, in cui non esiste una struttura chiara, ma ogni giocatore può uscire in maniera aggressiva sull’avversario diretto perché sa che alle proprie spalle c’è un compagno disposto a fare lo stesso. Una scommessa ad altissimo rischio, possibile solo grazie all’intesa costruita dai vari giocatori in questi mesi, ma che in caso di riuscita paga dividendi molto ricchi: nei tre gol che indirizzano la partita il filo rosso è la costante superiorità numerica del Madrid a palla recuperata, che ha permesso di gestire con tranquillità il possesso e ripartire approfittando degli spazi concessi dalla Juve.

Superiorità numerica, qualitativa, mentale…

Nell’azione del primo gol di Cristiano Ronaldo l’intero rombo di centrocampo presidia la zona in cui la Juve perde la palla: i bianconeri sono costretti a scappare verso la propria porta e nello sviluppo dell’azione Ronaldo è furbo ad approfittare di questo movimento, rallentando per ricevere il passaggio di ritorno di Carvajal con lo spazio necessario a calciare in porta.

In occasione del 2-1, invece, dopo il passaggio sbagliato di Dani Alves, il Madrid si trova con 4 giocatori nella zona della palla contro i soli Pjanic e Khedira: ancora una volta la Juve viene schiacciata all’indietro e Casemiro ha lo spazio per arrivare in corsa e tirare (trovando la deviazione di Khedira che inganna Buffon).

La doppietta di Cristiano Ronaldo viene infine propiziata dall’accentuata superiorità sul lato sinistro durante la fase di costruzione, trasmessa sull’altro lato del campo dopo il cambio di gioco sbagliato da Casemiro e il colpo di testa di Alex Sandro intercettato da Modric.

Con il passare dei minuti la Juventus ha abbandonato l’aggressività dell’inizio e si è fatta progressivamente schiacciare all’indietro dal possesso del Madrid. A possesso avversario consolidato, Dybala e Higuaín si posizionavano ai lati di Casemiro preoccupandosi di uscire su Varane e Ramos e di tagliare il passaggio in orizzontale verso il brasiliano. Dani Alves e Mandzukic, da esterni di centrocampo del 4-4-2 difensivo bianconero, tenevano invece una posizione piuttosto stretta per limitare Kroos e Modric, aperti nei mezzi spazi davanti a Ramos e Varane per iniziare l’azione.

In questo modo Allegri sperava di liberare Pjanic e Khedira, permettendo loro di seguire i movimenti tra le linee di Isco e Benzema (e Cristiano Ronaldo, anche se più raramente), anche a costo di concedere spazi sulle fasce. Chiaramente la preferenza del Madrid nei confronti del proprio lato sinistro come zona privilegiata da cui risalire il campo portava Alves a scalare con maggiore costanza su Marcelo rispetto a quanto fatto da Mandzukic su Carvajal sulla fascia opposta.

La difesa posizionale della Juve è stata meno efficace del solito, ma soprattutto i bianconeri hanno sofferto la pressione esercitata dal Madrid, più forte che nel primo tempo, mostrando difficoltà inaspettate nel risalire il campo palla a terra.

Con la squadra di Zidane sempre più in controllo della partita, la Juve è crollata, come forse mai si era visto in questi anni: i bianconeri hanno tirato in porta una sola volta nel secondo tempo (un colpo di testa di Alex Sandro su una punizione laterale), concedendo 13 conclusioni e 3 gol al Madrid.

Il talento dei “Merengues” si è rivelato troppo grande anche per una delle migliori difese d’Europa: in una sola partita la Juve ha subito più gol di quelli concessi nelle precedenti 12. D’altra parte, mentre Zidane mandava in campo Bale, Asensio (autore del quarto gol su un cross di Marcelo dopo una punizione respinta di Ronaldo) e Morata, l’unico cambio offensivo in grado di dare una svolta alla partita (Cuadrado) veniva espulso dopo pochi minuti anonimi.

I conti di fine anno

Ovviamente una sconfitta seppur dolorosa (la settima su nove finali disputate, la quinta consecutiva) non cancella la grande stagione della Juventus. È ancora troppo presto per storicizzare questo Real Madrid, ma la sensazione è di essere di fronte a una squadra capace di segnare un’epoca come il grande Madrid degli anni ’50, l’ultimo in grado di vincere consecutivamente il trofeo europeo più prestigioso.

Il suo simbolo è ovviamente Cristiano Ronaldo, a segno per la terza volta in una finale (mai nessuno ci era riuscito da quando esiste la Champions) e capace di raggiungere l’incredibile traguardo di 600 gol segnati in carriera. E ovviamente non si può dimenticare la mistica di Zidane, capace in meno di un anno e mezzo di fare ciò che alla maggior parte degli allenatori non riesce in una carriera. Da quando si è seduto sulla panchina del Madrid ha vinto due Champions League, un campionato, una Supercoppa europea e un Mondiale per club - competizioni che potrebbe vincere di nuovo grazie al successo di Cardiff. Difficile ricordare un impatto simile per un allenatore in teoria alle prime armi (e pensare che fino a poco più di 3 anni fa non era neanche sicuro di voler allenare).

Zidane è riuscito a battere, sul piano della strategia, proprio uno dei migliori allenatori d’Europa nel preparare le partite, e nel trovare accorgimenti per minimizzare i punti di forza avversari ed esporne i punti deboli. Quando il Real Madrid ha definitivamente abbandonato ogni prudenza per ritrovare i propri riferimenti, è stato praticamente indifendibile: Marcelo e Carvajal si sono alzati con maggiore frequenza; Kroos e Modric hanno preso il controllo dei ritmi della partita; i movimenti di Isco e Benzema hanno creato continuamente superiorità rendendo difficilissimo il recupero palla per la Juve; Ronaldo si è potuto concentrare sulla finalizzazione di quanto creato dai compagni, con i soliti movimenti imprendibili per quasi tutti i difensori al mondo.

Perdere contro una squadra che si è chiaramente dimostrata più forte non è un dramma, ma piuttosto deve fornire la motivazione per continuare a cresce e colmare quel gap, con in testa sempre l’obiettivo del titolo più importante con cui coronare la crescita di questi anni.

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