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Alfredo Giacobbe
Un chiarimento sull'indice di progressione
02 mar 2019
02 mar 2019
Marco ci ha sottoposto una problematica riguardo al funzionamento dell'indice di progressione. Risponde Alfredo Giacobbe.
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Alfredo Giacobbe
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Caro Marco,

 

la domanda che poni è pertinente, ma credo che tu abbia sfiorato appena il punto nodale della questione. Che non è la statistica sulla progressione in avanti in sé per sé, secondo me, ma è ben più ampio.

 

Il primo grosso problema, per chi ha voglia di lavorare con le statistiche, è la disponibilità del dato grezzo. Dati di un certo tipo non sono pubblici, altri addirittura non sono neanche registrati. Il calcio, in particolare, è uno sport complesso dal punto di vista della raccolta: alcuni eventi non sono chiarissimi (quanto dev’essere lungo un lancio lungo?), o non c’è accordo tra i provider che raccolgono i dati professionalmente (ho visto che, in alcuni report, al terzino che salta l’uomo alla maniera dei terzini, buttando palla nello spazio e superando l’avversario sulla corsa, non viene assegnato un dribbling vincente; in altri report sì).

 

Se volessimo fare un parallelo appoggiandoci alla linguistica, prendiamo spesso i numeri come significati quando invece dovremmo trattarli come significanti, forme che solo una volta aggregate tra loro ci restituiscono un contenuto. E l’aggregazione deve poggiare saldamente sull’osservazione del gioco e sulla conoscenza dei suoi principi.

 

È per questo motivo che gran parte della raccolta dei dati grezzi è manuale. Perché c’è ancora bisogno di una persona fisica che riconosca il significato di ciascun evento che accade su un campo da calcio. Già oggi le tecnologie di tracking e di riconoscimento delle immagini stanno già semplificando o velocizzando la raccolta. E in futuro le intelligenze artificiali renderanno l’intervento manuale sempre più limitato. Ma ancora non siamo arrivati a quel punto.

 

Opta raccoglie un dato chiamato Big Chances, che in italiano potremmo tradurre come Chiara Occasione da Gol. Nel suo glossario, che cito, Opta lo definisce come: “Una situazione nella quale un giocatore dovrebbe ragionevolmente segnare”. Su quel “ragionevolmente” casca il nostro asino. Ragionevolmente per chi? Che esperienza ha l’operatore che sta valutando quell’azione? Quante partite ha visto in vita sua? Che comprensione ha del gioco? Non sarà mica americano? In tal caso, di chi lo chiama “soccer” personalmente diffido a prescindere.

 

Non è solo il caso di Opta, e non riguarda solo il calcio. Pensa alla statistica degli errori non forzati nel tennis, che è utilizzata comunemente non so da quanti anni, io la ricordo da sempre. La valutazione per la quale un giocatore regala un punto “gratuito” all’avversario è di chi registra la statistica di quella particolare partita. Un suo collega, che sta lavorando ad un’altra partita su un altro campo, può fare una valutazione diversa in base alla propria esperienza.

 

La persona che fa la valutazione degli errori non forzati avrà anche guardato tante partite dal vivo o in TV, ma sicuramente non avrà mai giocato a certi livelli. Che ne sa lui, o che ne sappiamo noi tutti, quanto sia o non sia facile rispondere a un servizio da 196 km/h? Jeff Sackmann propone la sua ricetta in questo articolo: se la maggior parte dei giocatori nella Top 100 mondiale nella medesima situazione commette un errore, allora dovremmo smettere di considerare quello come un errore non forzato.

 

Perché allora utilizziamo ancora i “non forzati”? Perché pretendiamo di aggregare dati che sono ontologicamente disomogenei? Semplicemente perché non abbiamo un’alternativa. Allo stesso modo, la statistica sulla progressione in avanti è il modello che oggi abbiamo a disposizione. I modelli approssimano la realtà, ma non riescono a imitarla in tutto e per tutto. La utilizzeremo per valutare un aspetto importante del gioco, mentre io e qualcun altro staremo pensando a come renderla meglio di così.

 

 

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