Un prima e un dopo esiste sempre, anche per i più piccoli cambiamenti. Ce lo insegnano da sempre: tutto muta ed è in divenire, figuriamoci quando i cambiamenti sono invece giganteschi ed esistenziali. Ci penso quando affronto la storia di Ambra Sabatini, sprinter paralimpica nata a Livorno il 19 gennaio 2002, che per arrivare fino a dove è arrivata, è stata costretta ad adattarsi a un enorme stravolgimento.
Sabatini conduceva una vita sostanzialmente ordinaria fino al 5 giugno 2019. Fin da piccola ha praticato un qualche sport: prima il tentativo con il pattinaggio, poi il passaggio alla pallavolo, infine la passione per l’atletica e il mezzofondo. Quel giorno, però, prende lo scooter per andare agli allenamenti quando un’auto proveniente dal senso opposto la colpisce, causando un grave incidente. Lei si salva ma la gamba sinistra le viene amputata fino al ginocchio. Leggendo la sua storia sembra che questo evento drammatico non abbia scalfito nemmeno per un secondo la sua ambizione nel mondo dello sport. Subito si rituffa negli allenamenti: prima nuoto e poi ciclismo. Poi, ottenuta la protesi per la gamba nel corso del 2020, torna nuovamente all’atletica.
Inevitabilmente, quindi, alle Olimpiadi di Tokyo di quello stesso anno, in gara nella categoria T63 (dove la T sta per le gare su pista e salti e il 63 per amputazioni monolaterali transfemorali con protesi), ci arriva con poca preparazione. Alla fine, però, è suo l’oro, e per di più col record del mondo: 14.11. Al suo fianco altre due atlete italiane si abbracciano in un arrivo tricolore senza precedenti: sono Martina Caironi e Monica Contraffatto, rispettivamente seconda e terza. Le tre ripetono il copione quest’anno ai Mondiali di Parigi 2023, dove Sabatini si è ripresa il record del mondo (13.58) che la Caironi le aveva “rubato” (14.02, a Eugene 2022).
Nel frattempo la sua vita è cambiata di pari passo alla sua carriera da atleta. Sabatini è entrata nelle Fiamme Gialle, vive in caserma a Castel Porziano (in provincia di Roma). Sento un leggero pudore ad entrare nel suo mondo, ma è una cosa mia, perché lei, come farà durante tutta la telefonata di circa 30 minuti, è tranquilla, ride, mi trasmette leggerezza.
Tutto è iniziato con la vittoria a Tokyo 2020, poi è arrivata la conferma al Mondiale di quest’anno.
La cosa più difficile è confermarsi e avere una certa continuità, ma tu dici “per me non è un problema”: non soffri il peso delle aspettative?
Pensi di avere più talento o dedizione?
Hai parlato del passato da pallavolista. In diverse occasioni e interviste hai sostenuto di non essere adatta a uno sport di squadra, come mai?
A proposito di questo, corri più contro te stessa, contro gli altri o contro il cronometro?
Voi sportivi venite visti spesso come eroi, ma siete umani. Come gestisci le tue debolezze?
Ho tirato in ballo questo termine – eroi – perché in un’intervista a La Stampa avevi detto che ai Giochi Paralimpici arrivano gli eroi.
Lo so che può sembrare strano chiedertelo ma quanto ha cambiato la tua vita l’incidente?
Ho letto che durante l’incidente non hai mai perso conoscenza: l’essere consci ti ha aiutato?
Volevi rimanere presente e capire quello che stava accadendo e infatti so che hai tenuto una sorta di diario, sempre per essere consapevoli di tutto…
Tu hai un fratello gemello, lui, invece, cos’ha provato quando ha saputo dell’incidente? La tua famiglia so che è stata fondamentale.
Nel tuo caso c’è un filo conduttore che è l’atletica, però c’è stato inevitabilmente un cambiamento, come vivi l’evoluzione delle cose?
Quali sono stati in questi anni quelli un po’ più complessi da gestire?
La cosa che mi colpisce è proprio che fai sembrare tutto semplice.
Come funziona con la protesi? Io me la immagino come una scarpa che deve calzare a pennello ma forse non è così.
Tecnologia sì, ma costi elevati, o sbaglio?
In generale, però, una persona che ha avuto un’amputazione non sa da dove iniziare. Le protesi da corsa costano meno di quelle quotidiane, almeno per adesso. Hanno componenti meccanici, non elettronici. Il mio ginocchio da cammino quotidiano è elettronico e costa 77mila euro… quello da corsa dovrebbe essere in tutto tra i 15 e i 20mila. L’ASL passa una piccola parte per le pratiche d’uso dilettantistico sportivo, fino all’anno scorso, mi sembra, non era così. Ora dovrebbero esserci fondi per chi vuole fare sport a tutti i livelli, altrimenti esistono varie associazioni.
Dicevi che spesso dopo un’amputazione non si sa dove iniziare, tu da dove sei partita?
Prima di tutto, nuoto: pensa che avevo intenzione di gareggiare ai campionati studenteschi, poi c’è stato il Covid e purtroppo non li ho potuti fare. Pian piano mi sono data al ciclismo: ho legato al pedale, con una sciarpa, il piede della protesi perché altrimenti sfuggiva. Ho iniziato a fare giri nel cortile di casa, perché in quel periodo c’era il lockdown. Poi, mi sono procurata una bici da corsa su strada grazie ad alcuni amici di famiglia e quindi un’altra passione è diventata questa. Quando la situazione con il Covid si è assestata, sono andata a Budrio [dove c’è il Centro Protesi Vigorso, nda] per fare la mia prima protesi da corsa, un anno dopo l’incidente.
Le protesi vanno a coprire delle cicatrici, ma cosa sono per te? Che rapporto hai con il tuo corpo?
Ho parlato con vari atleti paralimpici, tutti mi hanno detto che bisognerebbe lavorare sull’accessibilità dello sport partendo dai più piccoli, tu che idea ti sei fatta?
L’hai citata prima: che rapporto hai con Martina Caironi?
Lo sport ti ha portato molta popolarità, come vivi questo aspetto?
In che senso stai “solo correndo”?
Non so se lo sai ma sei anche sulla Treccani online. Se fossi tu a raccontarti agli altri come lo faresti?
Hai progetti a lungo termine?