
Quando qualcuno parla di Monica “Moki” De Gennaro salta sempre fuori la stessa parola: “Leggenda”. Libero più forte della sua generazione e forse della storia stessa della pallavolo femminile, negli ultimi due anni Monica ha vinto da protagonista ogni competizione a cui ha partecipato, dallo scudetto all'Olimpiade di Parigi, passando per la Champions League e il Mondiale per Club. Durante i playoff dell'ultima stagione di A1 ha superato il record di presenze in A di Francesca Piccinini e nei suoi dodici anni con la maglia dell'Imoco Conegliano ha riscritto con le sue compagne il libro dei record, collezionando trofei, vittorie e battendo praticamente chiunque. “Vincere aiuta a vincere” è un modo di dire abusato, ma osservando un percorso come il suo, fatto di sacrifici ma ripagato da continui trionfi, mi è venuto naturale chiedermi: ma come si fa a continuare a trovare le motivazioni? C'è un segreto? Ho provato a chiederglielo.
Di recente è uscita sulla Gazzetta un'intervista al vice di Velasco, Barbolini che alla guida di Novara è stato l'ultimo a battere Conegliano in una finale. Addirittura nel 2019. A chi gli chiedeva se l'Imoco sia un bene o un male per il nostro volley ha risposto con una frase per me molto significativa: “Non ho mai visto una giocatrice che a Conegliano abbia giocato peggio di come avesse fatto prima”. Qual è la ricetta per vincere? Basta avere in squadra Monica De Gennaro?
Penso che la società e il club assieme allo staff abbiano messo insieme un gruppo che ha sempre voglia di vincere, con obiettivi importanti. Questo ti sprona ogni giorno ad andare in palestra e a lavorare. Raggiunto un traguardo pensiamo subito al prossimo. Giocare insieme a professioniste di altissimo livello aiuta a esprimersi al meglio, anche se non è sempre facile né possibile dare il cento percento. La capacità della società di creare negli anni gruppi di alto livello è stata fondamentale. Ma ci vuole anche grande disponibilità da parte di tutte le ragazze che scendono in campo. Le difficoltà durante una stagione ci sono, anche se al di fuori non si vedono. Avere un gruppo unito aiuta a nasconderle e, di nuovo, la società ci dà una mano anche sotto questo aspetto. Io sono solo una delle giocatrici.
Quando si guardano le partite di Conegliano contro avversarie che sulla carta hanno giocatrici di pari livello, si intuisce una sorta di pattern nell'andamento di gara: le vostre rivali provano a partire forte, magari tentano addirittura un allungo ma poi, più ci si avvicina alla fine del set, e meno sbagliate. Cominciate a mettere giù un punto dopo l'altro, a non far cadere più un pallone e le altre si piegano. Conta più l'allenamento o la testa?
Anche da questo punto di vista è fondamentale il lavoro nelle retrovie dello staff tecnico. Perché noi entriamo in campo solo per giocare. Daniele ci sprona a vincere sempre in tutti gli allenamenti, anche quando non ne abbiamo. Giocatrici date per finite sono arrivate a Conegliano e hanno fatto bellissime stagioni anche perché sono state messe nelle giuste condizioni da chi lavora per noi. Io sono da tanti anni a Conegliano e non so di preciso cosa cambia nella testa di chi arriva, ma di sicuro per raggiungere certi livelli bisogna lavorare tantissimo in allenamento. Chi non ha la testa per farlo non raggiunge certi successi.
Come si affronta una competizione quando si è sempre i favoriti?
Noi non ci pensiamo troppo. Sappiamo di essere una squadra forte ma a parte il campionato, dove giochi al meglio delle cinque partite, la Champions, la Coppa Italia e il Mondiale per Club sono tutti su partita secca. Devi affrontare una gara alla volta al massimo delle tue potenzialità di quel giorno. Ci sono sempre delle difficoltà, tanto che secondo me arrivati a questo punto è quasi mentalmente più facile per le altre rispetto a noi di Conegliano. Tutte le pressioni legate al risultato sono su di noi.
Quindi siete una squadra come tutte le altre?
Noi siamo una squadra normalissima. Anche a noi può accadere di perdere una partita, come successo con Novara nella semifinale scudetto, e come tutti affrontiamo ogni gara andando in campo con l'idea di fare del nostro meglio. Sappiamo di essere una squadra forte e sentiamo la pressione, ovviamente, ma ormai è talmente tanto che ci conviviamo ed è diventato quasi bello. Significa che quello che stiamo facendo è importante.
Ti sei mai sentita appagata di tutto ciò che hai realizzato? Hai mai pensato "Adesso rallento un pochino"?
Mai, anche se quest'estate, dopo aver vinto l'Olimpiade, mentalmente ho percepito un po' di calo. Mi sono detta: “E adesso cosa faccio? Ho raggiunto l'obiettivo che sognavo da sempre, la vittoria più bella di tutte”. Un po' di appagamento arriva. Ma ho la fortuna di far parte di un club in cui ogni anno i traguardi sono tantissimi e lo staff mi ha aiutata a focalizzarmi nel modo giusto, con la giusta concentrazione e determinazione.
A questo proposito mi ha colpito molto uno scambio in Gara 2 della finale di campionato a Milano, nel primo set sul 10-13 per Conegliano. È un'azione fatta di batti e ribatti estremi, salvataggi in tuffo, murate e recuperi al limite. A un certo punto sembra che la palla sia caduta nel campo avversario. Alcune giocatrici si fermano, altre la palleggiano da una parte all'altra in bagher, poi Nika Daalderop la salva addirittura di piede. In una situazione un po' caotica, dove tutte sembrano confuse, la palla arriva verso di te e quasi con un gesto di stizza fai punto con un bagher tagliatissimo. Le tue compagne festeggiano ma sembri contrariata. Direi che è un buon esempio della tua mentalità vincente: non si deve mai abbassare la guardia!
No dai, ti spiego. Avevamo fatto una murata e la palla era caduta a terra, tanto che come hai detto tu le avversarie si erano fermate. La palla è comunque arrivata dalla nostra parte ma l'abbiamo ributtata di là convinte che fosse finita. Era una situazione strana ma l'arbitro non aveva ancora fischiato e mi è salito un po' di nervosismo. Non so bene perché in quel momento abbia pensato di fare quel tipo di giocata, ma ero incazzata e mi sono detta: “Provo a tirarla di là”. Però non ce l'avevo con le compagne che hanno rallentato il ritmo, ma con l'arbitro che non ha fermato il gioco.
Tra l'altro se fai punto i tuoi statistici te lo segnano come errore tecnico...
Quando capita di fare un punto perché una mia ricezione cade in campo avversario lo segnano come errore in appoggio della squadra avversaria. Però il punto me lo danno, dai.
L'unica squadra che quest'anno è riuscita a battervi è Novara, per giunta con un netto 3-0. La stessa squadra che nel 2019 vi ha battuto per l'ultima volta in una finale. Tenendo conto che si tratta di epoche e roster diversi, cosa sono riuscite a fare di speciale in quelle due occasioni per mettervi in difficoltà? Cosa manca alle altre?
Quella del 2019, devo essere sincera, non me la ricordo. Ne ho giocate talmente tante che dopo un po' tendo a rimuoverle... in quella di quest'anno invece Novara è riuscita a mantenere un ritmo di gioco davvero alto, ma oltre ai loro meriti anche noi in quella gara abbiamo sbagliato tanto. Non siamo state precisissime, abbiamo ragionato poco e abbiamo avuto poca aggressività. E quando giochi delle semifinali in quel modo le partite le perdi. Se non hai l'atteggiamento giusto e nei momenti topici del set non usi la testa finisci per perdere, ma succede. È tutto normale.
È anche fisiologico perdere una volta ogni tanto...
Noi ne abbiamo perse poche, vero, ma penso se ne possano perdere anche due o tre. Poi in una stagione così lunga, con tutte queste competizioni, se perdi qualche partita puoi ricavare anche indicazioni utili. Sai su cosa lavorare il giorno dopo in allenamento.
La vittoria, per una come te abituata ad alzare trofei, è una necessità, un obiettivo o un sospiro di sollievo? Vuoi raggiungere una vittoria perché non concepisci la sconfitta, vuoi farlo perché sei una professionista pagata per questo o perché altrimenti sentiresti il tuo mondo crollarti addosso?
Tutti giocano per vincere e io gioco ogni partita per vincere. Poi se ci riusciamo va bene così ma io vado avanti soprattutto perché in campo mi diverto. È un gioco, e questo fa sì che tutto sia più facile. Per quanto desideri sempre vincere, non penso di esserne ossessionata, perché se hai dato tutto, facendo il meglio, ma le altre ti battono perché sono più forti posso solo dire loro “brave”. Il giorno dopo tornerò in palestra per fare di più e batterle la prossima volta.
Ho una figlia di nove anni che da due gioca a pallavolo. Nella sua squadra la cultura della vittoria non è ancora un valore assoluto. Tutte hanno una possibilità di sbagliare, di giocare e se si arriva primi o a fondo classifica la differenza è relativa. Secondo te, a che età bisogna cominciare a focalizzarsi innanzitutto sulla vittoria per fare progressi?
Non ne ho idea, devo essere sincera. Ho un nipote di dieci anni e in queste giornate senza partite sono anche andata a vederlo giocare, ma mi sembra che a quell'età non abbiano ancora quella voglia di provarci costi quel che costi. Credo che a quell'età tutti debbano avere l'opportunità di giocare e provare. Quelli più portati magari giocheranno un po' di più, gli altri di meno, ma penso che pian piano sia lo sport stesso a fare una selezione. Da piccola, anche quando giocavo con mia sorella volevo vincere sempre, pure dentro casa o a carte. Qualsiasi cosa. Anche se non ho molto a che fare con i bambini, li vedo comunque molto cambiati rispetto a come potevo essere io, ma credo che se quel tipo di volontà c'è, prima o poi si manifesterà in modo naturale, magari più tra i quindici o i sedici anni. Poi lo sport è fondamentale innanzitutto per non stare sempre al tablet o al telefonino e per comunicare con gli altri bambini e stare in gruppo.
Hai lasciato Sant'Agnello, casa tua, a quattordici anni per trasferirti a Vicenza e a Repubblica hai raccontato di aver addirittura subito delle discriminazioni perché venivi dal Sud. Che risorse hai trovato dentro di te per andare avanti in quel periodo e quanta importanza hanno avuto la tua educazione e la tua famiglia?
Sono andata via di casa presto e a quell'età lì non pensi troppo a quello che succederà dopo. Ti ritrovi in un contesto nuovo, dove devi rifare tutte le amicizie, in una città dove non conosci nessuno e sei costretta a ricominciare tutto da capo. Inserirsi a scuola non è stato facile e all'inizio ho fatto decisamente molta fatica a integrarmi. Quando dopo il primo anno è arrivata mia sorella gemella, però, è andata decisamente molto meglio. Anche se facevamo due scuole diverse ci vedevamo a casa e in palestra per gli allenamenti. Finalmente avevo una persona di fiducia vicino a me e lei mi ha aiutata tanto nel mio percorso.
Il Mondiale è l'ultima competizione che manca nel tuo Palmares pazzesco. Come lo affronti?
In questo momento (14 maggio NdA) sono in relax e non ci penso troppo, devo essere sincera. L'oro Mondiale, però, non manca solo a me, anche alle mie compagne. È un obiettivo di squadra importante e credo che ce la metteremo tutta, come l'estate scorsa per vincere l'Olimpiade. Io ho una gran voglia e se a trentotto anni sono ancora qua è perché desidero raggiungere anche questo obiettivo.
Essere campionesse olimpiche in carica sarà un vantaggio o uno svantaggio?
Negli anni tutte quante abbiamo giocato sotto pressione, con l'idea che siamo una squadra forte. È successo pure prima dell'Olimpiade. In altri anni alla fine ci sbriciolavamo, ma la scorsa estate abbiamo trovato il giusto equilibrio con Julio. Ci sono grandi aspettative da sempre su di noi, ma è il bello dello sport. Dobbiamo soprattutto fare quello che sappiamo, giocare a pallavolo.
Dopo la scelta di Mazzanti di escluderti dalla sua nazionale nel 2023, hai pensato che la tua esperienza in azzurro poteva dirsi conclusa? Cosa hai provato quando Velasco ti ha richiamata?
No, non l'ho mai pensato. So di avere una certa età, non lo nascondiamo, e non conoscendo Velasco non sapevo quali fossero le sue idee. Avrebbe potuto pensare che avessi già fatto il mio percorso, ma quando mi ha parlato e mi ha detto che gli sarebbe piaciuto provare a vincere le Olimpiadi con me da parte mia non c'era il minimo dubbio.
Se non avessero inventato il ruolo di libero saresti arrivata dove sei ora nonostante il tuo metro e settantatré? Una delle migliori giocatrici nella storia del volley?
Forse nella pallavolo di trent'anni fa avrei avuto qualche possibilità, ma in quella di oggi sicuramente no. Assolutamente. Sono troppo piccola. Oggi la fisicità è esplosa e il gioco è molto cambiato. Guarda quanto sono alte le altre. Per arrivare a certi livelli penso che si debba essere una decina di centimetri in più. In un'epoca tanto fisica, il ruolo del libero ha le sue caratteristiche uniche e ha dato un'occasione anche ai meno alti di arrivare in serie A. Per me è stata un'innovazione decisiva.
In campo trasmetti disciplina, rigore e massima attenzione e nella vita di tutti i giorni hai detto di “tenere le redini” anche a casa con tuo marito/allenatore Daniele Santarelli. Per te è un vantaggio o uno svantaggio lavorare a stretto contatto con il tuo compagno di vita? Come vivresti se all'improvviso, senza darti giustificazioni, ti mettesse in panchina?
Per me Daniele in campo è solo l'allenatore. Mi tratta come un'atleta, come tutte le altre e abbiamo imparato a scindere i due aspetti della nostra vita in modo netto. Anche perché altrimenti in tutti questi anni non saremmo riusciti a far convivere le due cose. Penso che sia un grande vantaggio avere Daniele al mio fianco e se decidesse di promuovere al posto mio una ragazza che gioca meglio lo accetterei. E non ho dubbi sul fatto che se accadesse qualcosa di simile poi a casa non si scatenerebbe nessuna lite. Lo rispetto tantissimo come allenatore e rispetto le sue scelte.
Domande di rito: chi sarà il prossimo libero più forte del Mondo? Per quanto tempo ancora pensi di riuscire a rimanere al top?
In Italia ci sono tanti buoni liberi. È il ruolo dove secondo me siamo più complete per i prossimi anni, ma non saprei indicarti un nome preciso. Vedremo nei prossimi anni chi riuscirà a fare il salto mentale necessario per arrivare a certi livelli. Io provo a vivere il presente, non guardo troppo al futuro e vado avanti anno per anno. Finché sto bene e mi diverto non ho esigenza di lasciare la pallavolo.
Essere Monica De Gennaro è faticoso come sembra?
No, a volte potrei cambiare la mia testa, ma no. Sono una che pretende tanto e in alcuni casi potrei essere un po' meno esigente, ma il segreto delle vittorie in fondo sta tutto lì. Nel continuare a cercare la perfezione, anche se non esiste.