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Serie A Daniele Manusia 4 agosto 2020 6'

La stagione d’oro di Ciro Immobile

Il miglior attaccante del campionato, capace di eguagliare il record di gol di Higuain.

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Conosciamo così bene, o ci pare di conoscere così bene, Ciro Immobile, lo vediamo giocare da così tanti anni (la sua sensazionale stagione col Pescara è di quasi dieci anni fa) e lo abbiamo descritto così tante volte (io personalmente l’ho intervistato tre anni fa e ne ho scritto l’ultima volta lo scorso ottobre, quando ha vinto il premio di giocatore del mese AIC) che forse il modo migliore per parlare di lui è provare con quel vecchio trucco che consiste nel definire cosa non è, per esclusione.

 

Ciro Immobile non è il tipo di giocatore che se un suo compagno (mettiamo Marusic) gli crossa letteralmente addosso mentre corre un metro e mezzo, due, oltre il primo palo, e il difensore (mettiamo Manolas) lo spinge da dietro, inciampa sulla palla o, che ne so, calcia di poco al lato. Ciro Immobile non è il tipo di giocatore che fatica a riprendere la coordinazione, a cambiare passo in modo che la palla tocchi l’interno del suo piede destro, aperto in modo da far passare la palla in uno spazio pressoché inesistente tra il portiere (mettiamo Ospina) e il primo palo.

 

Ciro Immobile non è il tipo di giocatore che si accontenta di essere il capocannoniere del campionato, segnando più di Cristiano Ronaldo, o aver vinto la Scarpa d’Oro, segnando più di Lewandowski. Non è il tipo di attaccante che arrivato a un solo gol dal record storico di Higuain di rete segnate in una singola stagione si ferma. Non è un megalomane che pensa di avere diritto a un posto nella storia del calcio italiano, ma se quel posto c’è, e si trova a sua disposizione, non si fa problemi a prenderselo.

 

 

Dopo questo finale di campionato sappiamo, oltretutto, che Ciro Immobile non è il giocatore che si ferma quando le cose si complicano, neanche quando la sua squadra vive un calo di forma diffuso, e tornata da due mesi di pausa forzata dovuta a una pandemia vede sfumare le sue chance per il titolo. Mettiamo che la Lazio stia perdendo 2-0 la partita con la Juventus che la elimina definitivamente dalla corsa, e un suo compagno lanci una palla lunga un po’ a caso, con un difensore (mettiamo Bonucci) in netto vantaggio, Immobile non è il tipo di giocatore da non andarci con tutta la convinzione del mondo, procurandosi e trasformando il rigore che riapre la partita. Immobile non è il tipo di giocatore che fa sconti, in nessun caso.

 

Ciro Immobile non sa rallentare. Fosse per lui, non esisterebbe una sua immagine in cui non sia mosso, con le braccia e le gambe moltiplicate come la dea Kalì, spalmate sulla superficie della foto dal movimento a mulinello. Non conosce altra velocità che non sia la massima possibile, quella a cui i difensori avversari diventano come un paesaggio visto dal finestrino del treno. E se gioca con gente che ama farlo correre (mettiamo che si trovi a fare coppia con un fenomeno del passaggio filtrante come Luis Alberto) non c’è distanza troppo grande che non possa portarlo al tiro in una manciata di secondi. Anche perché Immobile non è quel tipo di attaccante che sa tirare solo in un modo, che deve avere la palla sul piede giusto, dalla posizione giusta. Né soffre di una qualche forma di timidezza che gli impedisce di provarci anche in situazioni scomode, anche da fermo e con un difensore davanti, sul primo o sul secondo palo, di destro, di sinistro o di testa, anche quando sembra non esserci nessuno spazio per il tiro.

 

Immobile non bada alla qualità estetica del suo tiro, non cerca niente oltre l’efficacia di un tiro forte e dritto o sufficientemente angolato da entrare in porta. Certo ha segnato anche gol molto belli, ma per lui non c’è differenza con quelli più fortunosi, o sporchi. Immobile non è quel tipo di cowboy che si distrae nel momento più bello, preso dalla propria storia, dalle proprie emozioni: si accontenta di essere la pistola più veloce del West. Non cerca la fama, la sorpresa negli occhi dei portieri fulminati è l’unica ricompensa che gli interessa.

 

Ciro Immobile non si concede un momento di rilassatezza, non è il tipo di attaccante che perde la concentrazione quando magari pensa che il gol sia già fatto, né che cede alla pressione di un rigore (oppure, mettiamo, 16 rigori: in campionato dagli undici metri ha sbagliato solo una volta, nel resto dei casi ha sempre spiazzato il portiere o lo ha anticipato calciando fortissimo e angolato, senza mai un’esitazione). Prima di calciare un rigore Immobile non cerca lo sguardo del portiere, tiene gli occhi fissi sull’arbitro in attesa del fischio e non pensa ad altro se non a mettere quella palla dentro quella porta che ha davanti.

 

A ottobre scrivevo che ormai, dopo le due stagioni difficili (2014-16) che lo hanno portato dal Borussia Dortmund alla Lazio senza troppo clamore, «sappiamo quanto sia difficile essere Ciro Immobile con questa costanza». Questa stagione ci è riuscito nonostante un’interruzione di più di due mesi, dopo che in quella scorsa sembrava leggermente in calo (aveva segnato “solo”15 gol) e ha migliorato addirittura quella 2017-18, in cui si era fermato a 29 gol in campionato (senza rigori 19, contro i 21 di questa). Quella di due anni fa statisticamente resta la sua stagione migliore, per Expected Goals creati in media ogni 90 minuti, rapporto gol/xG, rapporto tiri/gol, ma in qualche modo Immobile ha segnato di più (tirando anche un terzo di più, 126 tiri quest’anno, 90 due stagioni fa). E lo ha fatto anche superando un piccolo momento di crisi, al rientro dopo il lockdown, quando tra fine giugno e fine luglio ha segnato solo 2 gol in 6 partite, segnandone poi 6 nelle successive 4.

 

In ultima analisi, Ciro Immobile non è quel tipo di giocatore a cui servono pezzi di questo tipo che ne consacrino la stagione, o il talento. Non c’è niente di Immobile che esca dal campo da calcio, che punti a diventare simbolo di qualcosa o restare nella nostra memoria per qualche caratteristica distintiva. Anche se (come dovrebbe essere chiaro se mi avete letto fin qui) penso che pochi giocatori abbiano l’intensità mentale e atletica di Immobile, e al tempo stesso la sua capacità, la sua lucidità, la sua freddezza, nel risolvere il problema “geometrico” di come far arrivare la palla in rete, Immobile non ha bisogno della nostra approvazione. Gli bastano i gol – e non per modo di dire, ma perché penso sinceramente che non gli interessi nient’altro.

 

Perché, invece, anche in una stagione così eccezionale, in cui Immobile avrebbe trovato la porta anche bendato, anche dopo averlo fatto girare su sé stesso, si debba finire a discutere del numero dei rigori calciati (e che vanno messi dentro, oltre che procurati) o dello stato delle difese italiane, è un mistero che riguarda solo noi. L’unica spiegazione è che a forza di amare solo il calcio delle nostre squadre, a forza di trovare ogni possibile ragione per sminuire i nostri avversari e “vincere” la discussione su Twitter ci è diventato impossibile amare il calcio in generale. O magari sono le condizioni esterne, l’assenza di pubblico, la crisi del calcio italiano, la concentrazione di troppo potere in poche mani anche a livello internazionale, che ci spinge a essere diffidenti. Ma davvero non mi viene in mente un giocatore di calcio più genuino di Ciro Immobile.

 

«Sembrava destino», ha detto lui, ma io direi neanche per niente. Dietro il record di Ciro Immobile non c’è la volontà di potenza che c’era dietro quello di Gonzalo Higuain. Immobile non sposta le montagne come faceva Higuain quell’anno, ma ci gira attorno con astuzia, le scala con agilità. Né ha la classe, la grazia e la forza fisica di Lewandowski, forse uno dei più grandi centravanti mai esistiti; e figuriamoci se verrà mai ricordato come Cristiano Ronaldo, che di gol ne ha segnati più 700 in carriera, ma è proprio questo il punto: Immobile ha il merito di essersi innalzato fino a quelle altezze lì. E questo nessuno può toglierglielo.

 

Se partiamo dalla stagione 2015-16, solo Messi (120), Lewandowski (115) e CR7 (99) e hanno fatto più gol di Immobile (95; più di Harry Kane che lo segue a 90). L’italiano più vicino a lui, Quagliarella, ha segnato trenta gol in meno in questo frattempo (66, per la precisione). Ma Ciro Immobile non è solo l’attaccante italiano più di talento e più costante degli ultimi dieci anni, è anche il più perseverante, quello con più voglia di tutti. Il desiderio di Ciro Immobile di fare gol è metà della ragione per cui poi, alla fine, Ciro Immobile trova sempre il modo di fare gol.

 

Tags : ciro immobilelazio

Daniele Manusia, direttore e cofondatore dell'Ultimo Uomo. È nato a Roma (1981) dove vive e lavora. Ha scritto: "Cantona. Come è diventato leggenda" (Add, 2013) e "Daniele De Rossi o dell'amore reciproco" (66th & 2nd, 2020) e "Zlatan Ibrahimovic, una cosa irripetibile" (66th & 2nd, 2021).

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