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Daniele V. Morrone
Non c'è Manchester City senza Ilkay Gundogan
09 giu 2023
09 giu 2023
Il centrocampista tedesco è capitano e cervello della squadra di Guardiola.
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Daniele V. Morrone
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IMAGO / Sportsphoto
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La faccia con la barba di quattro giorni attorno ad un pizzetto più corposo, i folti capelli corti ingelatinati ad incorniciare uno sguardo serafico. Solo l’ampiezza delle fessure degli occhi tradisce un pochino di tensione. İlkay Gündoğan è solo sul dischetto di centrocampo, pronto a battere il calcio d’inizio della finale di FA Cup contro il Manchester United. Siamo tutti ignari di quello che sta per accadere esattamente 12 secondi dopo. Il City in questa stagione è solito iniziare calciando lungo e il calcio d’inizio di Gündoğan è il suo innesco: un passaggio teso rasoterra all’indietro fino al portiere Stefan Ortega al limite della sua area.

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Come previsto arriva il lancio del portiere nella zona di Haaland, che vince il duello aereo con Casemiro. La palla finisce allora nella zona di de Bruyne al limite dell’area che riesce a deviare in aria il colpo di testa e farla arrivare al centro della trequarti. Lì la stava aspettando Gündoğan, che nel mentre si era liberato dalla marcatura sulla trequarti per farsi trovare nel punto giusto. Cioè, in questo caso, dove sarebbe potuta finire la seconda palla. Gli basta accorciare il passo, aspettare il momento giusto e scaricare un collo pieno che il portiere De Gea può solo vedere infilarsi in rete. È il gol più veloce dei 152 anni di storia della FA Cup.

Al pareggio del Manchester United alla mezzora risponde ancora una volta Gündoğan, con un gol sempre da fuori area, sempre facendosi trovare al posto giusto al momento giusto. Con la sua doppietta il Manchester City alza la coppa, la seconda della stagione se contiamo anche il trofeo della Premier League. Protagonista assoluto di questo finale di stagione del Manchester City, il compagno Kyle Walker ha scherzato a fine partita dicendo che ogni stagione «negli ultimi mesi di competizione diventa Zidane». Con la medaglia al collo ai microfoni Gündoğan si è descritto come un giocatore che semplifica la vita ai compagni: «Non sono il giocatore più speciale in termini di assist decisivo o di gol decisivo, anche se di tanto in tanto può succedere... ma credo che le mie qualità siano più che altro quelle di portare i miei compagni nelle migliori situazioni possibili, di dare loro le soluzioni più facili, e il mio calcio è piuttosto semplice. Cerco di renderlo il più semplice possibile». Come diceva Johan Cruyff, però, nel calcio non c'è nulla di più complesso del saper fare le cose semplici. Accanto a lui ad intervistarlo c’era Roy Keane che non ha resistito quindi a contraddirlo: «Hai detto che non sei un giocatore speciale, io penso che tu sia un giocatore speciale». Guardiola, con il solito gusto per l'iperbole, ha detto che «è così intelligente che può giocare in qualsiasi posizione». Se si vuole imparare ancora qualcosa guardando il calcio è utile soffermarsi su come il gioca il Manchester City, concentrandosi specificatamente su cosa fa Gündoğan. Dove si muove, le scelte che prende. Per il tipo di esperienze che ha avuto, per come interpreta il calcio, guardare Gündoğan è come avere davanti la Stele di Rosetta del calcio contemporaneo. È nato da genitori turchi trasferitisi in Germania - il nome İlkay vuole dire “prima luna”. Nato a Gelsenkirchen, il nonno si era trasferito lì dalla provincia di Izmir per lavorare come minatore negli anni ‘70, un lavoro comune all’epoca nella zona della Ruhr. E per questo Gundogan è cresciuto tifando la squadra dei minatori di Gelsenkirchen: lo Schalke. Sembra strano adesso parlarne visto che ha trovato la consacrazione invece giocando con la maglia degli odiati rivali della città accanto, il Borussia Dortmund, e per il fatto che con lo Schalke non ci ha mai giocato. Il motivo l’ha raccontato lui stesso: a 8 anni è costretto a lasciare le giovanili dello Schalke perché gli viene detto che ha problemi di crescita, e quando a 13 anni gli viene offerta la possibilità di tornare rifiuta, scottato: «Era un mio grande sogno poter giocare per lo Schalke, e che finisse così presto non è stato facile da accettare». Per evitare la delusione di venir tagliato preferisce scegliere più tardi di andare invece a giocare nella vicina Bochum, in un contesto meno competitivo. È considerato uno dei trequartisti più promettenti della zona e viene notato una volta maggiorenne dal Norimberga, all’epoca in seconda divisione, che lo convince a giocare in Baviera e iniziare lì la sua carriera da professionista. Una carriera che inizia in modo fulminante visto che già alla seconda stagione è titolare in Bundesliga partendo dall’esterno. Non è la sua posizione ideale forse, ma è quella dove può giocare con continuità e farsi notare dalle squadre più forti. Tra queste c'è per l'appunto il Borussia Dortmund, che lo sceglie come erede di Nuri Sahin (passato al Real Madrid) dopo il campionato vinto nel 2011. In quel momento ha 21 anni e lo descrive così l’allenatore dei gialloneri Klopp: «Ha un atteggiamento super, è intelligente e disposto a imparare. İlkay ha un ottimo gioco di passaggi, è un calciatore completo e si adatta perfettamente al nostro sistema». Proprio Klopp spinge subito per indirizzarlo verso il ruolo di centrocampista centrale nel suo Dortmund, perché ricevendo centralmente e col campo davanti, riesce a coprirlo meglio rimanendo lucido nelle scelte anche agli alti ritmi tipici della squadra giallonera. La pulizia tecnica e la creatività anche ad alti ritmi sono sprecate in zone del campo periferiche, deve giocare nel cuore della manovra. Anche Gündoğan è d’accordo: «Sono arrivato alla conclusione che giocare largo non era il mio forte. Mi trovo bene a giocare come centrocampista difensivo o centrale, ma credo anche di poter essere all'altezza sulla trequarti». Gündoğan a Dortmund diventa celebre per due cose: i sonnellini prima delle partite e le ore passate a riguardare i video delle sue partite e degli avversari per affinare il suo gioco. Va detto che ci mette un po’ a capire come funziona, ad adattarsi alle nuove dinamiche del Borussia Dortmund, allora un esempio quasi unico nel panorama europeo per le sue caratteristiche tattiche. Ma, una volta sbloccato, è evidente che rispetto al registro classico di Sahin (lanci precisi e gestione dei ritmi), le caratteristiche ibride di Gündoğan promettevano un futuro ancora più radioso. E infatti così è stato, dato che la carriera di Sahin si è arenata prima al Real Madrid e poi al Liverpool e l’ha portato ad un ritorno con la coda tra le gambe a Dortmund dove non ha più raggiunto i livelli pre trasferimento. Mentre Gündoğan è cresciuto esponenzialmente prima con Klopp e poi raffinando le proprie letture sotto Thomas Tuchel, una tappa da non sottovalutare perché è con il nuovo tecnico che impara i principi del gioco di posizione, dal migliore allenatore tedesco in tal senso. Principi che l’hanno aiutato a raggiungere il picco del proprio calcio, e quindi a passare al Manchester City, accompagnandone l’ascesa al tetto del calcio europeo con Pep Guardiola. Il calcio di Gündoğan è tra le linee, dietro la pressione, nei mezzi spazi, al limiti dell’area. Ha tecnica e fisico sufficienti per ricevere tra le linee, girarsi, proteggere la palla e dare continuità o creare pericoli a seconda delle necessità. Per questo è da subito stato così apprezzato da Guardiola, con il suo arrivo nell’estate 2016 che ha coinciso con quello di Guardiola e quindi sicuramente su richiesta del tecnico catalano. Qualcosa di simile a quanto successo con Thiago Alcantara quando era passato al Bayern. Ma Gündoğan non è stato immediatamente fondamentale, ci ha messo del tempo per trovare come e dove svilupparsi. La scelta di Guardiola di utilizzare Kevin de Bruyne e David Silva come mezzali, ma di preferire un mediano difensivo come Fernandinho gli ha di fatto tolto inizialmente il posto nell’undici titolare. A peggiorare le cose ci si mette anche il grave infortunio ai legamenti nel dicembre 2016 che lo tiene fuori fino all’inizio della sua seconda stagione, che è poi quella dell’esplosione del City di Guardiola con i 100 punti in una Premier League dominata. Nella seconda versione del Manchester City, quella che nasce nel momento in cui la vecchia guardia (David Silva, Fernandinho, Agüero) è in fase calante, Gündoğan ha guadagnato finalmente un ruolo da protagonista. L’ha fatto senza doversi specializzare né come mezzala offensiva né come centrocampista davanti alla difesa, ma semplicemente imponendo col tempo il suo talento di connettore tra le linee, di chi raccoglie i fili del gioco andando ad intervenire dove pensa sia necessario. Gestendo il ritmo, utilizzando la sua creatività e la sua precisione tecnica lungo tutto il campo.

Uno dei suoi assist più significativi, contro il Fulham.

Pur mantenendo gli stessi principi di gioco, via via che i piani di Guardiola virano verso un sistema con un 3-2-5 formato da un solo centrocampista centrale di mestiere (Rodri) e l’altra casella occupata dal movimento verso l’interno del campo del terzino (o ora dal centrale che sale, Stones), il ruolo di connettore di Gündoğan si è fatto sempre più importante fino a diventare fondamentale. Perché sempre più importante è avere più di un giocatore tra le linee in un zona di rifinitura, in grado di mantenere allo stesso tempo la superiorità numerica a centrocampo e la presenza in area di rigore. Il Manchester City è una squadra di incastri, con un sistema volto ad esaltare le qualità principali dei giocatori chiedendogli quello che sanno fare meglio, anche lavorando in modo apparentemente controintuitivo. Per esempio John Stones che finisce a centrocampo o Jack Grealish che gioca lungo la fascia. Questo ne nasconde anche le lacune, se Kevin de Bruyne ora può avere qualche piccolo problema a gestire il pallone nello stretto per via di una pesantezza strutturale, che gli fa commettere anche qualche sbavatura nel primo controllo, gli viene chiesto di giocare più avanti, di ricevere sempre fronte alla porta. E oltre a nasconderne le lacune questa nuova posizione finisce per esaltarne anche i pregi, perché de Bruyne quando riceve può andare in verticale come gli piace, con un filtrante per la punta Haaland, o una conduzione per andare direttamente in porta. A beneficiare è l'intero sistema, che nel caso specifico permette a Gündoğan anche di finalizzare l'azione: «È un mix tra il giocare in quella posizione e l'entrare in una routine. Forse sto anche interpretando la posizione in modo da poter correre nell'area avversaria o cercare di essere nello spazio giusto al momento giusto. Si tratta di un allenamento molto responsabile, che ti permette di prendere un certo ritmo. Ripetere questo ritmo ad ogni partita aiuta ad andare a segno». Le sue incursioni in area, aumentando il numero di giocatori con cui il City attacca la porta avversaria, sono ormai una delle principali risorse offensiva della squadra di Guardiola. La stessa chiarezza nelle letture e la sua pulizia tecnica si trasformano in una insospettabile capacità di trovarsi nel punto giusto al momento giusto in area di rigore. A quel punto manca soltanto il gesto giusto, ed è lì che interviene la tecnica di Gundogan. L’esempio più famoso di quanto vi sto dicendo è la doppietta contro l’Aston Villa nell’ultima giornata di Premier League 2021-22 che consegna il titolo al City con un controsorpasso sul Liverpool di Klopp. Il primo, con la squadra sotto 2-0 al minuto 76, lo segna svettando di testa sul secondo palo sul cross da destra di Sterling. Il secondo, con il risultato di 2-2 al minuto 81, lo segna appoggiando in porta infilandosi sempre sul secondo palo e sempre alle spalle del difensore sul cross da destra questa volta di de Bruyne.

Paradossalmente il calcio tanto cerebrale di Gündoğan, fatto di letture e scelte creative col pallone, ha una ricaduta tangibile in termini di gol all’interno della squadra. Non è un caso se passa dai 5 segnati nella stagione 2019-20 ai 17 della 2020-21, se da 3 stagioni chiude in doppia cifra. Da ormai tre stagioni possiamo dire che il miglior City di Guardiola è quello con Gündoğan in campo, libero di muoversi per ricevere dove meglio crede, perché è con lui che mantiene sia la versatilità nella manovra di gioco che la pericolosità poi in area di rigore. Non a caso uno degli errori tattici più imputati a Guardiola negli ultimi anni è stato quello di fissare Gündoğan a centrocampo nella finale di Champions League 2021, facendolo giocare davanti alla difesa a gestire da lì la manovra da solo invece di lasciarlo svariare per il campo e andare a toccare palloni anche sulla trequarti. A fare quello ha preferito metterci Phil Foden, col risultato che il City ha avuto una manovra pulita da dietro e poi poca lucidità sulla trequarti, soprattutto dopo l’infortunio a de Bruyne che l’ha praticamente tolto dalla partita. Sicuramente memore di questa cosa ormai è impossibile vedere Gündoğan a fare il pivot che smista i palloni davanti alla difesa, anche se ci sono delle situazioni di gioco ancora oggi in cui gli capita momentaneamente di farlo, solo per poi muoversi subito lungo tutto il campo in verticale per intervenire nuovamente al limite dell’area. Non è immaginabile un Manchester City che gioca al suo meglio senza che Gündoğan abbia toccato palloni in zona di rifinitura. Anche il sorpasso effettuato in questa primavera ai danni dell’Arsenal è arrivato quando la forma fisica di Gündoğan ha toccato il picco e il City ha iniziato allora a giocare il suo miglior calcio. I chiodi sulla bara dell’Arsenal sono state le due doppiette segnate da Gündoğan nelle due vittorie contro il Leeds e l’Everton proprio mentre la testa era tutta alla semifinale di Champions League contro il Real Madrid. Con lui in campo la squadra ha una lucidità unica nel calcio contemporaneo.

Un sentimento condiviso dal suo allenatore Guardiola: «È così sveglio, intelligente... Credetemi, uno dei migliori giocatori che abbia mai allenato nella mia carriera». Guardiola ne apprezza tantissimo anche il carisma, rivelando che, pur non essendo il più rumoroso nello spogliatoio, «quando parla, tutti lo ascoltano». Apparentemente, quindi, la sua è una leadership priva di ego. Quando prima della finale di FA Cup i giocatori del City si sono riuniti nell’abbraccio collettivo ed era il momento di dire qualcosa per caricarsi a vicenda, Rúben Dias è partito per primo sorpendendo tutti e anticipando proprio il capitano, Gündoğan. Invece di interromperlo il centrocampista tedesco l’ha lasciato parlare senza battere ciglio e facendo anche lui da spettatore alle parole del compagno portoghese. Sappiamo poi cos’è successo subito dopo il calcio d’inizio della partita. Gündoğan è noto che sta già studiando per prendere il patentino da allenatore, anche se ha ancora 32 anni ed è conteso dalle grandi squadre d’Europa, visto il contratto in scadenza ancora non rinnovato col City. La strada una volta terminata la carriera sembra già scritta. D’altra parte si sente un privilegiato in quanto a maestri: «Con Pep, Klopp e Tuchel credo di aver avuto alcuni dei migliori allenatori al mondo. Si impara molto da loro e nel mio caso ho sempre pensato a come poter trasmettere queste conoscenze in futuro». Già ora si comporta da allenatore in campo e ha fatto capire che per lui guidare dalla panchina è il proseguimento naturale della sua carriera: «Penso che sia bello essere un leader, guidare una squadra, avere idee e poi trasmetterle sul campo e ai giocatori che hai. Vedere che le cose funzionano davvero è probabilmente qualcosa che ti riempie di orgoglio, quindi penso che sia una cosa molto bella come allenatore, come manager. Mi vedo lì un giorno».

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