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Tommaso Giagni
Ilhan Mansiz, eroe per caso
13 lug 2018
13 lug 2018
Storia del giocatore che segnò l'ultimo Golden Goal nella storia dei Mondiali.
(di)
Tommaso Giagni
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La mattina del 6 ottobre 2001 İlhan Mansız non ha ancora neanche una presenza in nazionale. Né con quella maggiore né con le selezioni giovanili. Ventisei anni compiuti, la sua carriera è stata piuttosto anonima: talentuoso prospetto in Germania (Augsburg, Colonia), da professionista non è andato oltre una serie di esperienze trascurabili in modeste squadre tedesche e turche. L'ultima stagione al Samsunspor, però, ha convinto il Beşiktaş a fare un piccolo investimento su di lui.

 

Il 26 giugno 2002, meno di nove mesi dopo, İlhan Mansız fa un

 (quello che in italiano spesso viene chiamato bicicletta) che scavalca Roberto Carlos e lo costringe al fallo, in una semifinale di Coppa del Mondo. Dopo la partita, il terzino brasiliano va a fargli i

per il gesto.

 


La Turchia nella sua ultima gara del Mondiale 2002. Tra gli altri ci sono Rüştü Reçber, Yıldıray Baştürk, Emre Belözoğlu e capitan Hakan Şükür (foto di Martin Rose / Getty Images).


 

Kempten è una cittadina sveva all'estremo sud della Germania, 130 chilometri da Monaco di Baviera. Il 10 agosto 1975, quando İlhan Mansız ci è nato, faceva parte della Germania Ovest. Lui è turco, è cresciuto in Germania e ha origini tatare di Crimea. La sua carriera da calciatore girerà sempre intorno agli stessi tre cardini: la Germania, la Turchia e l'Estremo Oriente.

 

Il 6 ottobre 2001 è il giorno del suo esordio in Nazionale. Parallelamente, nell'avvicinamento al Mondiale, con la maglia delle "Aquile di Istanbul" si laurea capocannoniere della Süper Lig. Un'assoluta sorpresa. L'allenatore è un tedesco, Christoph Daum. All'inizio dei Mondiali, perciò, İlhan è praticamente uno sconosciuto a livello internazionale e un outsider di successo in Turchia.

 

È venuto su dalla gavetta. Ancora a ventun anni giocava in una serie inferiore del calcio tedesco, in una squadra che oggi non esiste più, il Türk Gücü, espressione della comunità turca di Monaco di Baviera. Se all'inizio ci giocavano solo calciatori turchi, negli anni Novanta si espanse, e arrivò a sfiorare la promozione in 2. Bundesliga.

 


Con la madre, nel 2017.


 

Prima dell'edizione in Giappone e Corea del Sud, la Turchia ha partecipato una sola volta ai Mondiali. Era il 1954, venne subito eliminata. C'è un clima di entusiasmo, perciò, intorno alla nazionale di Şenol Güneş che nel 2002 supera il girone. E che agli ottavi elimina i padroni di casa del Giappone. E che ai quarti si trova davanti il Senegal, la favola di quell'edizione, che è una mascotte e al tempo stesso non pare un avversario proibitivo.

 

Nelle precedenti quattro gare, İlhan Mansız ha giocato 60 minuti in tutto. Ai quarti contro "i Leoni della Teranga", nello stadio di Ōsaka, subentra dopo un'ora di gioco ad Hakan Şükür. Da tempo le due punte

a spiegare al CT che dovrebbero poter giocare insieme.

 

La partita non si sblocca, servono i supplementari. Dopo pochi minuti, İlhan in area si avventa su un cross da destra e infila il primo palo. Un gol da centravanti a cui non concedere spazio, da attaccante scafato, ma lui reagisce con meraviglia: rotea su sé stesso mentre scuote le braccia, e si lascia cadere. Sarà l'ultimo Golden Goal nella storia della Coppa del Mondo. La Turchia accede alla semifinale. Forse avevano ragione, lui e Hakan Şükür, a insistere per giocare in coppia.

 

In Semifinale la Turchia si piega con dignità al Brasile, poi campione. Ma nell'ultima mezz'ora della gara, l'ingresso di İlhan ha dato buone sensazioni. Finisce 1-0, gol di Ronaldo. La Turchia si ritrova comunque in una finale per il terzo posto, a contendersi il bronzo con gli altri padroni di casa, la Corea del Sud.

 

Quella gara la vincono loro due, gli attaccanti finalmente schierati insieme. İlhan Mansız serve l'assist con cui il capitano, dopo pochi secondi, segna il gol più veloce nella fase finale di un Mondiale. Hakan Şükür ricambia, poi, con due assist per lui. La gara finisce 3-2, la doppietta di İlhan è decisiva.

 


I festeggiamenti dopo il gol al Senegal.


 

Paradossalmente, l'esperienza di İlhan Mansız in nazionale si può considerare esaurita lì. Da allora non troverà continuità, giocherà a sprazzi, il CT Şenol Güneş non gli dimostrerà grande stima. Da allora, la Turchia non si è mai più qualificata alle fasi finali.

 

Il Mondiale

un'occasione forte a İlhan Mansız sul piano simbolico: tornare a testa alta in Germania, in Baviera, e stavolta nel club più blasonato, il Bayern Monaco. Non si andrà oltre un sondaggio iniziale della società, però. Lui rimane al Beşiktaş, con Mircea Lucescu in panchina, poi la serie di infortuni fa allontanare quell'ultimo treno prestigioso.

 

Nella stagione dopo il Mondiale, comunque, İlhan vincerà il campionato in Turchia. Ma a livello individuale non ripeterà le prodezze della stagione precedente né quelle mostrate in Estremo Oriente. Lascerà il Beşiktaş nel gennaio 2004, dopo

suggellato col tatuaggio di un'aquila il rapporto col club.

 


In contrasto aereo con Lampard, Champions League 2003/04, una delle ultimissime gare col Beşiktaş, peraltro in Germania, sul campo neutro di Gelsenkirchen. È una foto a cui İlhan deve tenere, se l'ha postata su Instagram nonostante sia una brutta foto (foto di Vladimir Rys / Getty Images).


 

Le prodezze dell'estate 2002 continuano a incidere sul suo percorso. Si trasferisce al Vissel Kobe, in Giappone. È il Paese che la Turchia ha cacciato dal Mondiale casalingo. Il prezzo del cartellino raggiunge il suo picco: 5 milioni.

 

In Asia ci sono all'epoca pochissimi calciatori turchi. In Giappone, però, İlhan ritrova un compagno dell'esperienza del 2002, Fehmi Alpay Özalan (oggi CT dell'Under 21 turca), che è stato acquistato dagli Urawa Reds e proviene da alcuni mesi all'Incheon United, in Corea del Sud.

 

Nell'esperienza a Kobe, İlhan Mansız non riuscirà quasi a vedere il campo, tormentato dagli infortuni. Tornerà pochi mesi dopo in Europa, all'Hertha Berlino, per poi andare di nuovo in Turchia, all'Ankaragücü. Il bilancio amaro di quei due anni conta una manciata di presenze.

 

Perciò smette, presto. L'ultima gara ufficiale è del 2006 ma in realtà si può considerare uscito di scena nel dicembre 2003, a 28 anni. Suona come un passaggio di fase, pensando che sono gli stessi mesi in cui

padre per la prima volta. I problemi fisici ricevono il colpo di grazia lontano dal campo,

un'auto lo investe, a Monaco, sulle strisce pedonali. Lui sta facendo la sua abituale corsa mattutina, l'auto lo fa saltare tre metri in aria e atterrare sulla spalla. «Una buona carriera dura dieci anni. La mia solo quattro», 

lui a posteriori.

 


Sul ghiaccio (foto di Dennis Grombkowski / Getty Images).


 

Dopo,

un posto da assistente di Slaven Bilić, tecnico del Beşiktaş. E rifiuta, nel 2009, un'offerta del Monaco 1860: il suo corpo non gli permette di tornare in campo. Il discorso comunque è più generale: il calcio

monotono e ha voglia di «esplorare nuovi confini».

 

Così rovescia il tavolo e si prova in una carriera da pattinatore di figura, in coppia con la fidanzata (di allora) Oľga, atleta slovacca professionista. Lui ha 32 anni, prima di allora non ha mai pattinato e

pattinare.

 

«È più difficile rispetto al calcio», 

. L'occasione è un programma TV, il corrispettivo di "Ballando con le stelle", ma arriverà addirittura a puntare le Olimpiadi invernali 2014 («Abbiamo un piano realistico»). Nel torneo che avrebbe garantito l'accesso ai Giochi, però, arriveranno ultimi.

 

Sulla sua

mette svariati omaggi ad Atatürk e molte foto che lo ritraggono con la sua mazza da golf a sperimentare colpi, perché ha puntato un nuovo sport in cui provarsi. Di nuovo l'erba, dopo il ghiaccio.

anche sua madre, accompagnandolo di recente su un campo da golf: «Per imparare non c'è età».

 

 

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