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Il violino blu
01 ago 2013
01 ago 2013
In cui si parla di Mario Balotelli e Cécile Kyenge, dei cosiddetti “buu razzisti”, della correttezza politica nello sport e nei media italiani, della differenza tra essere razzisti e fare una cosa razzista, di cos'è e cosa non è un diritto.
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1.

Il 24 giugno 2012, la Gazzetta dello Sport, principale quotidiano sportivo d'Italia (tiratura: circa 500.000 copie, direttore: Andrea Monti) manda in stampa una vignetta “satirica” disegnata da Valerio Marini che ritrae Mario Balotelli, attaccante italo-africano del Milan AC e della Nazionale italiana, aggrappato al Big Ben che smanaccia via palloni a lui indirizzati, ricalcando inequivocabilmente la famosa immagine di King Kong aggrappato all'Empire State Building. King Kong, come tutti sanno, è uno scimmione.

2.

In un momento particolarmente felice della vita politica italiana, il 28 aprile 2013 è iniziato il mandato del primo Ministro non-bianco della nostra storia: Cécile Kyenge, l'oggi celebre ministro dell'integrazione del Governo Letta, ex-medico oculista quarantottenne di origini congolesi. Borghezio, un famosorazzista—è lui stesso a definirsi così—si chiede perché non possa rivolgersi a lei come una “negra”. Anche questo è accaduto nel 2013—lo stesso anno in cui un partito cripto-fascista basato sul culto della personalità di un qualunquista che vuole “ripulire tutto” è diventato il terzo partito politico d'Italia. Pochi mesi dopo questi eventi, Roberto Calderoli, vicepresidente del Senato, finisce nella bufera per gli insulti lanciati a un comizio nel bergamasco contro il ministro Kyenge: «Quando vedo le sue immagini non posso non pensare alle sembianze di un orango», dice. Si levano cori di protesta. Alcuni chiedono le dimissioni. Calderoli non si dimette.

3.

Giusto per essere trasparenti: mio padre è nato in Egitto, da madre libanese e padre inglese. A scuola, «la gente nella classe mi chiamava marocchino» (cit. Sangue Misto). Detto questo, non posso appropriarmi in tutta onestà di un'identità minoritaria, dato che, a guardarmi, passo per un tipico italiano dai capelli neri e la pelle olivastra. Quelli più esperti in termini di lineamenti levantini si accorgono delle mie origini miste, ma francamente mi sentirei un idiota e un manipolatore se vi dicessi che so come ci si sente a essere parte di una minoranza etnica in Italia. Come dicono in America, “I pass for white”.

4.

Il razzismo non è solo ed esclusivamente un modo di essere. Ovvio, ci sono persone apertamente razziste, ci sono anche quelle che se ne vantano, come Borghezio. Ma ci sono anche persone non-sempre-razziste che commettono, a volte, degli atti razzisti, che dicono, a volte, delle cose razziste, e che, generalmente, si offendono tantissimo se questa cosa viene fatta notare loro. La loro risposta è sempre: «Ma io non sono razzista!» Come se tutti scegliessimo di esserlo o non esserlo.

5.

Un'ondata di stupore e incredulità per la vignetta evidentemente e straordinariamente razzista della Gazzetta parte da Twitter il giorno stesso della sua pubblicazione, rendendola un argomento caldo per i giorni seguenti; fioccano articoli che la accusano di razzismo, richiedendo scuse pubbliche dal direttore del quotidiano e/o le dimissioni dell'autore. Alcuni chiedono le dimissioni di Monti stesso, in quanto direttore “responsabile”. Altri si schierano dalla parte di Monti e Marini, appellandosi alla libertà di stampa o alla “libertà di satira”, altri ancora sostengono che l'immagine non sia di per sé razzista, come Alessandro Oliva su Linkiesta. «King Kong è simbolo della condizione di Balotelli non in quanto ragazzo di colore», scrive Oliva: «ma in quanto persona sola contro tutti [...] Questo è razzismo? No perché se è così dovrò comprarmi un nuovo vocabolario». Oliva qui utilizza un argomento ingannevole: ridefinisce una cosa a suo piacimento per renderla schiava della sua conclusione. Come dire: dato che quel film horror a me ha fatto ridere io lo intepreto come una commedia e quindi non è un film horror ma un film comico, al posto di dire semplicemente: è un film horror, ma a me ha fatto ridere. Oliva cerca di convincerci che quella cosa razzista non è razzista al posto di dire: è una vignetta razzista, ma che male c'è? Evidentemente a Oliva la vignetta non dà fastidio quanto le accuse di razzismo a essa rivolte, convergendo con la tristemente celebre “di questi tempi non puoi dire niente senza che qualcuno ti accusi di razzismo”.

6.

Per essere razzisti non serve volere bagni pubblici separati per bianchi e neri: il razzismo, oltre che un problema di effettiva discriminazione è anche e soprattutto un problema di atteggiamenti diffusi che tagliano la nostra società da un lato all'altro. Queste dinamiche vengono propagate non solo da ogni nostro atto ma, soprattutto, come tutti gli atteggiamenti nella società contemporanea, dai mass media: il razzismo viene rinforzato ogni qualvolta si difendono e ritrasmettono le commedie di serie B anni '70, '80 e '90; dalle rappresentazioni del cinese (truffatore, scaltro, copione) nelle pubblicità italiane (dalla TIM alla Lavazza); dagli opinionisti sportivi che si ostinano a difendere i cori razzisti allo stadio; dall'abuso della forma familiare rispetto a quella formale nel rivolgersi alle persone non-bianche.

7.

Il 27 gennaio la fantastica blogger americana Ayesha Siddiqi ha twittato: «Fermati un momento e ragiona su quali delle tue abitudini e delle tue opinioni potrebbero essere attacchi a identità diverse dalla tua».

8.

L'estate scorsa ho passato un po' di tempo a New York. Una sera il mio amico Mitchell S. Jackson—uno scrittore di Portland che vive ad Harlem—mi ha invitato alla sua festa di compleanno, in un locale chiamato “Le Bleu Violin”, tra la 116ma strada e Malcom X Blvd. Arrivato al locale, mi accorsi subito di essere l'unico non afro-americano alla festa. Considerando che a) non conoscevo nessun altro a parte Mitch, e b) mi trovo generalmente a disagio nei locali, andai dal farmacista dietro al bancone per farmi prescrivere qualche ansiolitico sotto forma di vodka & soda. Dopo qualche drink, Mitch mi chiese come stavo. Gli risposi che ero un po' a disagio, che non ero mai stato “the only white guy at the club”. Lui, sorridendo, rispose: «You're not white. You're Italian».

9.

Puntualizzare che un coro razzista potrebbe non essere razzista e che è invece la vittima del coro razzista a dover “smetterla di comportarsi in modi che spingono i tifosi a cantare cori razzisti”, è molto diverso dal puntualizzare che uno stupro potrebbe non essere uno stupro perché magari la vittima potrebbe “essersela cercata”, magari indossando degli shorts troppo corti?

10.

Se interpretiamo una cosa evidentemente razzista come la vignetta di Balotelli come una cosa non-razzista, è ovvio che poi possiamo accusare coloro che ci vedono del razzismo come dei malati di correttezza politica, dei contro-bifolchi col forcone che vedono razzismo (e/o omofobia e/o maschilismo) da tutte le parti. Che è quello che ha fatto, il giorno dopo, il direttore della Gazzetta, “chiedendo scusa”, in questo modo: «Ieri, alcuni lettori hanno protestato per una vignetta di Marini apparsa nella pagina delle opinioni», scrive Monti. «Occorre dire con onestà che non è tra le migliori prodotte dal nostro bravo vignettista. E che, di questi tempi e con questi stadi, una misura in più di prudenza e di buon gusto sono necessarie perché tutto, ma proprio tutto, può essere frainteso. Il giornale è di chi legge: se qualcuno l'ha trovata offensiva ce ne scusiamo, senza nasconderci dietro la sacra libertà di satira. Ma da qui ad accusare la Gazzetta (e il povero Marini) di cripto-razzismo ce ne passa. Questo giornale ha sempre combattuto il razzismo negli stadi in ogni sua forma e ha denunciato i “buuu” a Balotelli come una forma inaccettabile di inciviltà. Pensare che qualche mente malata abbia voluto insinuare nelle nostre pagine l'equazione King Kong uguale scimmione nero, più che offensivo è francamente strumentale e assurdo». Quindi il razzismo non era nella vignetta, o nella redazione che non ci vide niente di male, ma in noi. Siamo noi ad aver visto del razzismo, lì dentro. Siamo noi ad aver sbagliato.

11.

L'estate scorsa, a fine luglio, durante le Olimpiadi trasmesse su SKY, ricordo una serie di commenti a una gara di nuoto in cui una squadra di atleti neri venne colpita con un bel gancio alla “i neri non sanno nuotare”, poi raggiunta da un dritto “haha non si vedono al buio”, e chiusa con il montante, “però hanno proprio dei bei corpi”.

12.

Due cose sulla storiella su Harlem al punto 6.

Primo: nel discorso del razzismo storico—diciamo quello del diciannovesimo e ventesimo secolo—l'italiano in America (particolarmante quello meridionale) era obbiettivamente considerato un non-bianco, a punto tale che gli immigrati italiani ad Ellis Island venivano distinti in due gruppi: quelli “alpini” e quelli “mediterranei”. I primi erano paragonabili agli altri gruppi “white ethnic”: polacchi, irlandesi, ebrei, russi, greci, ungheresi, e quindi più facilmente assimilati alla cultura dominante. Il secondo gruppo era spesso soggetto alle stesse discriminazioni che venivano applicato verso gli afro-americani in stati del sud come Louisiana e Alabama.

Secondo: sebbene in America l'essere italiano non sia “essere bianchi” ciò non significa che sia lo stesso in Italia. La questione, ovviamente, non è razziale: la scienza ha già provato da decenni che non ci sono basi genetiche per distinguere gli esseri umani in razze. La questione è socio-politico-economica ed egemonica: è una questione di quale gruppo è privilegiato nella società di cui si sta discutendo, e di quale è invece discriminato e/o oppresso. Nel caso italiano si parla di non-bianchi, di donne, di omosessuali e di transessuali. Ecco perché i discorsi tipo, “non capisco perché sia razzista se do del ne**o di m***a a un africano ma non se insulto un biondo dicendogli biondo di m***a” non hanno senso alcuno.

13.

Il grande intellettuale e scrittore nigeriano-americano Teju Cole, dopo la doppietta di Balotelli alla Germania, ha twittato: «Racism just ended in Italy» ai suoi 100.000 follower. È stato re-twittato 620 volte. Purtroppo, Cole aveva torto. Il discorso era appena iniziato.

14.

Il 21 maggio, Massimo Gramellini, vice-direttore de La Stampa, ha firmato un editoriale intitolato «Balo e Buu» in cui accusa Balotelli di essere un «bamboccio indolente, strafottente e provocatorio» dopo averlo sfottuto, trivializzandone «il trauma della sua infanzia e le ferite sottili dell'adolescenza, quando la sua famiglia adottiva gli organizzava feste con gli amichetti e lui spariva in camera sua a sfasciare giocattoli», perché il maschio bianco Massimo Gramellini sa esattamente cosa si prova a essere vittima di atteggiamenti razzisti quando si è bambini. L'editoriale finisce con questo paragrafo: «Sia chiaro: la balotellaggine [parola sua] di Balotelli non giustifica i buu. Ma neanche i buu giustificano Balotelli [il fatto che Balotelli debba giustificare i suoi atteggiamenti è un problema che Gramellini ha appena inventato], né possono essere utilizzati da quest'ultimo per continuare a fare i propri comodi [immagino che intenda dire, “cercare di fare gol”, dato che Balotelli di lavoro gioca a calcio] indossando i panni della vittima. Le vittime sono i neri sfruttati, discriminati e irrisi. Balotelli può essere il simbolo di un'Italia giovane, aperta e multirazziale, l'unica in grado di tirarci fuori dai guai. Oppure può diventare l'ennesimo prodotto del vittimismo italico: il vero sport nazionale. A lui, non alle curve, la scelta». In altre parole: Balotelli, smettila! La responsabilità della crescita di questo paese è tua! Mica puoi essere sia nero che indolente e strafottente! Quello è un privilegio dei soli calciatori bianchi! Nel frattempo, curve: voi fate quello che volete! E infine, Balotelli, non lamentarti più di tanto. Non fare la vittima. D'altronde, i tuoi genitori ti hanno comprato dei regali da piccolo. Che altro vuoi?

15.

La posizione dell'essere contrari alla “troppa correttezza politica” in quanto “follia americana” è, sfortunatamente, molto di moda. Io stesso, fino a qualche anno fa, ero schiavo di questi ragionamenti. Poi, cambiai idea, anche grazie alle ore passate a leggere Yo, is this racist? E quando, a una cena a Roma, dissi che dovremmo, per quanto riguarda l'atteggiamento da avere verso le minoranze etniche, imparare dagli americani, che hanno attraversato decenni di difficilissima integrazione razziale, una mia amica ribattè dicendo che non siamo in America, sottintendendo che quindi abbiamo un baricentro etico-morale diverso dal loro; nello specifico, che in Italia siamo già “oltre” il politically correct. Le ragioni per questo nostro essere oltre sono affascinanti ma insensate: perché lo facciamo con ironia, si dice, o con la tanto italiana “simpatia”, o perché in Italia non c'era lo schiavismo, o perché l'Italia è stata, per secoli, un melting-pot di etnie diverse. Ma che senso ha per noi italiani essere disillusi dal politically correct, essere "stanchi" di non poterci mai “esprimere liberamente”, quando non abbiamo attraversato decenni di legislazione PCI e non abbiamo mai avuto alcun problema a esprimerci liberamente? Non bisognerebbe forse attraversare almeno un qualche decennio di legislazione sulla correttezza politica prima di esserne “stanchi”? Non somigliamo troppo al bambino che dispone di tutti i giocattoli del mondo ma che, quando gliene viene negato uno, frigna disperato perché tutt'a un tratto giocare con quello specifico giocattolo è un suo diritto?

16.

Il 3 gennaio, alcuni giocatori del Milan, capitanati da Kevin-Prince Boateng, lasciano il campo in risposta ai cori razzisti indirizzati verso di loro da tifosi della (storicamente fascista) Aurora Pro-Patria. Il 12 maggio l'arbitro Rocchi sospende Milan – Roma per due minuti in risposta a simili cori cantati dai tifosi della Roma. Il 6 maggio il Ministro Kyenge suggerisce di coinvolgere Balotelli nella sua proposta di abolire il reato di clandestinità. «Non lo conosco personalmente, ma so che lui sta subendo atti di razzismo, ma riesce a testa alta a dare un forte contributo all’Italia, che è il nostro Paese», dichiara la Kyenge. L’attaccante da l’ok quasi istantaneamente. Il 17 maggio, Mario Balotelli, in un'intervista alla CNN, dichiara che, se vittima di altri cori razzisti, è pronto a lasciare il campo in segno di protesta. L'Associazione Italiana Arbitri replica che, se questo accadrà, Balotelli sarà considerato, ai fini della partita, “espulso”, lasciando quindi la sua squadra in 10. Il 19 maggio Huffington Post Italia pubblica un editoriale a firma di Gregorio Sorgi dal titolo «I “buu” per Balotelli non sono solo razzismo», in cui il maschio bianco Gregorio Sorgi ci spiega che «i fischi che ha subito durante la partita di domenica, ad esempio, non erano per il colore della sua pelle, ma per la sua abituale insolenza e arroganza». Il 20 maggio, Mario Balotelli twitta: «Questa legge che per i buu razzisti se lascio il campo lascio la mia squadra in 10 rivedete questo regolamento per favore è molto inumano!» Martedì 23 luglio, pochi giorni dopo la polemica-orango di Calderoli, Kevin Constant, calciatore franco-guineense dell'AC Milan anch'esso, lascia il campo per via di cori razzisti durante un'amichevole contro il neo-promosso Sassuolo a Reggio Emilia. Un commentatore su Eurosport.com scrive, «Basta con questi che se ne vanno. Quando lanciarono una banana a Taribo West, lui la raccolse e la mangiò. Lui sì che era un figo». La società AC Milan urge i suoi calciatori a non lasciare il campo in caso di atti razzisti, dato che le regole della Serie A non lo prevedono. «Non era, questa, decisione che gli competeva», scrive la società. «E, pur potendosene comprendere le ragioni, così come l’ira che ha fatto sia pur civilmente trascendere Constant, l’AC Milan ha il dovere di ricordare che tutti gli interventi contro le manifestazioni che offendono l’umana dignità, quali sono tutte le discriminazioni razziali, spettano soltanto al responsabile dell’ordine pubblico e al direttore di gara.»

17.

Perché dire che i versi della scimmia allo stadio non sono razzisti ma solo insulti dettati dall'antipatia di un personaggio? Le due cose si escludono a vicenda, per caso? Il fatto che Balotelli sia “antipatico” o “sbruffone” e che questo gli causi i buu, non andrebbe analizzato con la domanda, “cosa dà così fastidio negli atteggiamenti di Balotelli ai tifosi?”, e la risposta non potrebbe essere, “perché lui è nero e loro sono razzisti?” Non è proprio in virtù del fatto che lui è “arrogante” o “sbruffone” e nero, che la gente lo insulta? Non basta il qualificante, “e nero” per definire una volta e per tutte questi cori come dei semplici cori razzisti? Cosa spinge gli opinionisti a mettersi dalla parte di ultrà anche solo potenzialmente razzisti al posto del più grande atleta non-bianco della storia d'Italia? Perché persone intelligenti dovrebbero mettersi (da sole!) nella stessa sezione di Borghezio in un ipotetico diagramma di Venn? Tra attaccare inequivocabilmente il razzismo e nascondersi dietro alla libertà di espressione, cos'è meglio? Cosa spinge così tanti italiani a negare, contro ogni evidenza, il fatto che in questo paese esista del razzismo? Non sarebbe meglio dire semplicemente che questo razzismo va combattuto, inequivocabilmente, senza riserve, senza puntualizzazioni? Perché non allontarci il più possibile da posizioni che anche solo potrebbero in un certo qual modo essere interpretate, volendo, come posizioni discriminatorie/razziste? Ci sarà una ragione se le persone che tendono a difendere, puntualizzare, giustificare o re-interpretare atti razzisti o omofobi o maschilisti tendono a essere maschi bianchi eterosessuali? E poi, a monte di tutto, perché c'è così tanta paura nell'ammettere che a volte sbagliamo? Che alcuni nostri atteggiamenti potrebbero essere riveduti? Quanto ci costa ammettere che non siamo perfetti? Perché siamo così vanitosi?

18.

Sempre Ayesha Siddiqi, sempre il 27 gennaio, twitta: «Ogni interazione della tua vita è un'occasione per disturbare o interrompere i sistemi di privilegio e oppressione».

Immagini:

  • Orazio Gentileschi, "Giovane donna con un violino" - 1612 ca, olio su tela

  • Pieter Claesz, "Vanitas con violino e palla di vetro" - 1628 ca, olio su tela

  • Gerrit van Honthorst, "L'imbroglione felice" - 1623 ca, olio su tela

  • Jean-Jacques Bachelier, "Natura morta con fiori e violino" - 1750 ca, olio su tela

  • Gaetano Bellei, "Cinque membri di un'orchestra" - data sconosciuta, olio su tela

  • Jedith Leyster, "Autoritratto" - 1630 ca, olio su tela

  • Frans Hals, "Bambino con violino" - 1630 ca, olio su tela

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