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Olga Campofreda
Il trionfo del debuttante
08 ago 2016
08 ago 2016
Daniele Garozzo, alla sua prima Olimpiade, centra un oro storico nel fioretto.
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Olga Campofreda
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Nei pressi della stazione metro di Warren street in Central London c’è un pub che si chiama

. Pochi metri più in alto delle selezioni brit pop del piano terra e oltre qualche distratto che alla quarta pinta butta l’occhio alla partita di calcio femminile, c’è una stanza traboccante di gente che grida ‘mammamia’ quando Daniele Garozzo, il più giovane fiorettista italiano in gara, mette a segno una stoccata. Sono qui mentre gli inglesi hanno visto cadere il loro campione migliore, James-Andrew Davis per mano del russo Safin Timur, che contro l’Italia sta lottando in semifinale. Richard Kruse, altro favorito del fioretto britannico, è stato battuto nettamente in semifinale dall’americano Massialas, numero uno in apertura di gara. «Se non è GB Team allora dev’essere Italia» dice un ragazzo inglese. «Sono quelli che hanno più stile di tutti. Li riconosceresti anche senza le strisce azzurre sulla divisa, studiano lentamente l’avversario e poi lo trafiggono con un colpo alla schiena. Con gli italiani, gli avversari non hanno idea della direzione da cui arriverà la stoccata». Al quindicesimo colpo della finale contro lo statunitense l’intero piano ammezzato del pub viene ad abbracciarmi, mentre Garozzo corre esultando verso le tribune in stile Marco Tardelli.

 



 

 

 



 

Il suo oro nel fioretto individuale in questa edizione delle Olimpiadi ha qualcosa di storico. Innanzitutto perché arriva a commemorare la vittoria di Puccini ad Atlanta 1996, e in effetti del vecchio campione un po’ Garozzo ricorda l’aspetto. Lo ha fatto notare il fiorettista azzurro Andrea Baldini nel postare

in cui abbraccia l’amico appena sceso dalla pedana della finale. Lo stesso Baldini compagno di squadra che Daniele Garozzo ha voluto citare nella scheda di presentazione di Rio2016 alla voce hero/idol.

 

Ed è un oro storico anche perché è la vittoria di una prima volta. Daniele, ventiquattrenne di Acireale, è al suo debutto olimpico sia come atleta singolo che come membro della squadra che gareggerà il prossimo venerdì per difendere il titolo di Londra 2012. La preparazione a Rio di Garozzo non era stata incoraggiante, come testimonia una prova poco promettente agli ultimi europei di Torun lo scorso giugno, dove era stato eliminato al primo turno.

 

Secondo italiano in tabellone dopo l’altro siciliano Avola, Garozzo ha scelto la pedana della finale olimpica per dimostrare al mondo che anche le gare più importanti della stagione passata andranno col senno di poi considerate piccole tappe di un obiettivo che avrebbe raggiunto solamente a Rio. Garozzo non ha l’esperienza di Cassarà, non ha la grinta di Giorgio Avola, grandissimo nell’interminabile finale contro il tedesco Peter Joppich (15-13), eppure ha insegnato al pubblico di Rio la freddezza di uno schermidore che costruisce la singola stoccata su un obiettivo che si chiama ‘bersaglio valido’ piuttosto che ‘oro olimpico’, un pensiero che invece solo 24 ore prima aveva bloccato l’ascesa della spadista Rossella Fiamingo contro l’ungherese Szasz.

 



 

Precisione.


 

Il cuore serve all’atleta, ma la freddezza fa il fiorettista. Il fioretto è del resto l’arma del cecchino, quella del colpo perfetto che ha come unico obiettivo gli organi vitali del duellante. Non c’è stoccata che non ambisca a essere l’ultima, definitiva, fatale ed è proprio per questo motivo che tra tutti i tipi di schermidore il fiorettista deve costruirsi sul modello del tiratore scelto.

 

Rispetto agli altri due azzurri, Garozzo è arrivato in finale sfruttando un canale un po’ più morbido, che ha avuto il suo punto più complicato nella sfida con l’egiziano Alaeeldin Abuelkassem, argento a Londra quattro anni fa, battuto 15-13. Anche l’assalto con il brasiliano Toldo poteva essere difficile, anche se per motivi diversi. Con lui ha condiviso la sala di Frascati e una parte della preparazione, mentre tutto il palazzetto rischiava di venire giù a causa dei boati di incitamento del pubblico. Ma Garozzo è rimasto freddo e ne è uscito un netto 15-8.

 

Sulle altre pedane Cassarà e Avola hanno dato vita a sfide all’ultimo respiro, culminate in vittorie e sconfitte. Cassarà ha tirato tutti gli assalti ad altissimo ritmo, ma alla fine ha pagato un approccio troppo leggero contro la tecnica del britannico Kruse. Mentre particolarmente dolorosa è stata la sconfitta di Giorgio Avola, rimontato da Massialas a partire da un vantaggio di 14 a 8.

 

In semifinale Garozzo ha trovato il russo Timur Safin. L’assalto era seguito a fondo pedana da due italiani: Andrea Cipressa, il commissario tecnico del fioretto azzurro, sedeva dalla parte opposta di Stefano Cerioni, entrambi compagni di squadra e campioni olimpici nei giochi del 1984. La storia di Cerioni rappresenta un recente fenomeno particolarmente diffuso nella scherma italiana che è quello della mobilità internazionale dei nostri tecnici, con un interesse in costante aumento in particolare da parte dei paesi dell’est e del sud-est asiatico in cui la scherma è uno sport in via di sviluppo e sono disponibili capitali per grandi investimenti. La Russia nello specifico ha iniziato a corteggiare Cerioni dopo le Olimpiadi di Londra, salutate con tre medaglie vinte nel fioretto femminile individuale e due ori a squadre. L’offerta – che possiamo immaginare tanto alta da non poter essere rifiutata – ha portato all’Italia Andrea Cipressa come nuovo commissario tecnico, anche lui, come Daniele Garozzo, alla sua prima Olimpiade a fondo pedana.

 

In finale Massialas partiva da chiaro favorito, ma Garozzo ha indirizzato l’assalto sui propri binari, restando sempre in controllo. Garozzo ha sempre tenuto l’iniziativa: ha condotto il tempo, ha determinato la distanza applicando in atto una leadership sia tecnica che psicologica. Garozzo ha eluso la grande mobilità dello statunitense, sorprendendolo con una varietà di repertorio che rendeva ogni stoccata in qualche modo imprevedibile.

 

La creatività di Daniele Garozzo si è vista soprattutto nei colpi a stretta misura, quelli che hanno sfiorato per poco il corpo a corpo con l'avversario, stoccate rischiose ma spettacolari, tirate col braccio passato dietro la schiena che hanno certamente disorientato un avversario che non è mai stato realmente in grado di decidere le sorti del gioco.

 

 



 

La creatività di Garozzo nel corpo a corpo.


 

 



 

È forse troppo facile dire che l’apertura di questa Olimpiade abbia favorito i debuttanti più che i veterani, ma del resto è proprio questa la principale forza della scherma azzurra: la ricerca della continuità per evitare il temibile mostro chiamato gap generazionale, una brutta faccenda che sembra attualmente interessare la Francia seguita dalla Germania di Joppich, ultimo fiorettista della vecchia generazione di campioni tedeschi. Per quanto si possa definire la scherma uno sport individuale, soprattutto in una gara relativamente piccola come l’Olimpiade, è la combinazione degli eventi a portare avanti un atleta piuttosto che un altro.

 

L’Italia del fioretto maschile anche nella gara individuale ha lavorato con il risultato di una squadra: Cassarà che mette fuori gioco il francese Cadot, dato tra i favoriti della giornata, Avola che frena la corsa all’oro di Peter Joppich, storico avversario di Andrea Baldini. Il podio di Rio racconta il futuro della scherma internazionale, con la scuola schermistica statunitense che arriva direttamente dal sistema universitario, la nuova Russia di Cerioni e l’astro nascente della Gran Bretagna che dalle scorse Olimpiadi ha deciso di investire quasi esclusivamente sul fioretto. In questa veloce predizione neanche troppo azzardata, è bello sapere che siamo ancora noi a calcare il gradino più alto del podio.

 

 

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