
Nel 2009 l’artista Aleksandra Mir ha esposto nella Kunsthalle di Francoforte la sua installazione Triumph: 2529 coppe e trofei collezionati dall’artista a Palermo e provincia, grazie a un annuncio pubblicato sul Giornale di Sicilia. Nel 2018 è stata esposta al Centro Pecci, a Prato, e vederla è stato impressionante: 2529 coppe ammucchiate una sopra l’altra, assurde nella loro inerzia.
Il concetto è chiaro: lavoriamo, sudiamo e mettiamo tutti noi stessi per raggiungere dei traguardi che poi, a toccarli, sono dei pezzi di metallo. Tutto è effimero, ma soprattutto questi frutti metallici dei nostri sforzi e del nostro talento. Cosa resta della vittoria?

Mi ha colpito molto il passaggio di un’intervista di Emiliano Ceresi ad Alessandro Piperno, scrittore tifoso della Lazio. Raccontando del giorno della vittoria dello Scudetto del 2000, Piperno ricorda di essere uscito dallo stadio e di essere stato investito da una specie di malinconia, uno sconfortante: «Tutto qui? È questa la vittoria?».
Non è un'assurdità, né tantomeno un sintomo di malessere psicologico. Molti atleti possono raccontare la stessa sensazione. Marat Safin dopo aver vinto il suo primo Slam ha raccontato di aver avvertito un profondo senso di vuoto attorno a sé. Modelliamo la nostra esistenza per raggiungere degli obiettivi che, crediamo, possano cambiarci; una volta che però questi obiettivi sono stati raggiunti abbiamo la sensazione che è più ciò che abbiamo perso, di quanto abbiamo ottenuto.
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