Il calcio inglese vive su un sottile equilibrio di classifica che Ligue 1, Bundesliga e Liga hanno perso da tempo e che ricorda per certi versi il periodo della Serie A delle sette sorelle: Arsenal, United, City, Liverpool e Chelsea iniziano sempre la stagione su un livello simile, ed è difficile pronosticare chi vincerà il campionato. Ma tutte le squadre citate hanno allenatori stranieri (fino a poco tempo fa faceva eccezione il Liverpool...) e in tutta la Premier ci sono solo 9 allenatori britannici.
Il contrario rispetto al resto d'Europa: in Italia e Francia ci sono solo 3 allenatori stranieri, in Liga 5 mentre in Germania 6. Ad adottare l’autentica cultura calcistica britannica in Premier League sono in pochi, per lo più piccole squadre che mettono in difficoltà le più forti con intensità, agonismo e palla lunga. E il massimo rappresentante di questo gioco e mentalità è Anthony Pulis, anche conosciuto come “il manager mai retrocesso”.
Pulis ha poco meno di sessant'anni e una carriera lunga e faticosa alle spalle. Per fare un esempio: quando viene chiamato all'età di 37 anni ad allenare la squadra di Gillingham (la sua seconda esperienza da allenatore) non c'era neppure un campo di allenamento e sono stati costretti a ripiegare sul parco più vicino. Con un trattore vengono trasportate le porte sul terreno, mentre i giocatori corrono e sfruttano i pendii per allenarsi. Durante il primo allenamento, nel mezzo del lavoro, un passante con il cane al guinzaglio attraversa il campo senza curarsi di nessuno. Pulis ricordando l’episodio e quei primi giorni a Gillingham ha dichiarato: «Ti fanno apprezzare da dove vieni».
L'importanza delle origini
Seppur giovane, non era alla sua prima esperienza. Nonostante giocasse da professionista, Pulis ha preso il tesserino della Federazione inglese a 19 anni, quando giocava nei Bristol Rovers, durante uno stop per infortunio di otto mesi. Due anni dopo ha preso anche il patentino UEFA. Il suo allenatore di quel periodo, Sr. Bill Dodgin, non era molto favorevole, e forse ricordando quel periodo di contrasti, oggi, Pulis sarebbe felice se un suo giocatore scegliesse di studiare da allenatore: «È una cosa che vorrei incoraggiare i giocatori a fare. Il loro è un mondo di fantasia: i soldi che ricevono, il modo in cui vengono trattati. Studiare quando avevo 21 anni mi ha aperto gli occhi».
Da calciatore era un difensore duro e con una grande etica del lavoro, in pieno stile britannico, ma questo non significa che fosse di strette vedute. Per studiare da allenatore è andato in Francia e da giocatore, a 24 anni, decise addirittura di accettare l'offerta dell'Happy Valley, squadra di Hong Kong. Esperienza formativa e dal buon ritorno economico, visto che era in procinto di sposarsi e quella stagione in Oriente gli permise di acquistare la prima casa familiare.
Il passaggio dal campo alla panchina è stato senza soluzione di continuità. Al Bournemouth ha iniziato come giocatore per poi affiancare in panchina Harry Redknapp, al quale è tutt'ora estremamente legato. Da Redknapp ha imparato il pragmatismo: «I giocatori sono prodotti, e se avrai buoni prodotti allora avrai successo», e l'etica del duro lavoro sul campo, l'importanza di far faticare le loro squadre durante gli allenamenti.
Di Redknapp ha detto a chi lo criticava che non solo era un ottimo allenatore, ma anche una persona divertente: «Vive e dorme di calcio... e di corse dei cavalli». Dopo che Redknapp è andato al West Ham, Pulis è diventato il primo allenatore, per le due stagioni seguenti.
Era solo il 1999 ma sembra una vita fa. Il Gillingham del giovane Pulis viene raggiunto nel recupero dal City nei playoff per la First Division, poi perderà ai rigori.
Tony Pulis è nato a Newport, in Galles. Un posto difficile in cui crescere, per come lo racconta lui, riscattato però da un grande spirito comunitario: «Se non si dispone di un pezzo di pane, ci pensa il vicino di casa». Il padre lavorava nell'acciaieria ed era un socialista come poi sarebbe diventato Tony. Pulis ha descritto il padre con due parole che esprimono anche sé stesso: “determinato e laborioso”. È stato il padre a incoraggiare tutti in casa (erano 8 in tre letti) a praticare sport. Da bambino Pulis puntava la sveglia presto il giorno della finale di FA Cup, passava le giornate a giocare per le strade. Ricorda che preferiva ascoltare il calcio alla radio piuttosto che vederlo in tv, perché rendeva più produttivi i commenti dei telecronisti nella sua immaginazione.
Ricordando da dove è venuto, appunto, una volta affermato Pulis ha dedicato molte attenzioni a organizzazioni benefiche, come la Donna Louise Trust, che ospita bambini malati terminali, a neanche 5 minuti di auto dal Britannia Stadium dove dal 2006 ha allenato lo Stoke: «Viviamo in una bolla, basta camminare per un miglio lungo la strada e questi bambini hanno pochi mesi di vita». Ha portato i suoi giocatori lì, per far sviluppare loro un legame profondo con la città e la realtà circostante. Ha corso due maratone a scopo benefico, scalato il Kilimanjaro, percorso in bici da John O'Groats a Lands End, quest'estate ha anche partecipato a una spedizione in canoa da Londra a Parigi, pur non amando questa disciplina.
In alcune sue interviste si è scagliato contro il sistema britannico di sostegno ai giovani e ai meno fortunati, anche verso il partito laburista a cui la sua famiglia era legata. La mancanza di speranza dovuta agli scarsi investimenti pubblici nell'università o nel superamento della piaga della disoccupazione giovanile sono le principali questioni che interessano Pulis. Ed è proprio in questo che si manifesta l'influenza del contesto operaio in cui è cresciuto, declinato calcisticamente in una particolare fascinazione per il concetto di leadership. Pulis adora due personaggi storici: Napoleone e Churchill, di cui ammira la capacità di essere uomini di "guerra", ma anche di parole, come dovrebbe essere anche un buon allenatore.
Un episodio di soli cinque anni fa mostra bene quanto detto. Era il 13 settembre del 2010 e Pulis allenava lo Stoke. Il giorno della partita in casa contro l’Aston Villa, però, Tony si trova a Newport e sta assistendo la madre sul letto di morte. La madre aveva 74 anni ed era un'appassionata fan dello Stoke. Proprio quel giorno è morta in seguito a un attacco di cuore in ospedale. Tony a quel punto alza il telefono e chiama John Coates, figlio del presidente Peter, e gli chiede se può vedere la partita dal suo box personale. Dal sud del Galles raggiunge il Britannia Stadium, 134 miglia, quando la partita è già iniziata.
Guarda il primo tempo e nella sua mente sembra contare solo quello, nell'intervallo decide di parlare con la squadra, che sta perdendo per 1-0, e poi di entrare in campo, spinto anche dal suo staff. L'ovazione che lo accoglie è grande e la reazione della squadra all'altezza della situazione: a dieci minuti dal termine del secondo tempo lo Stoke pareggia con Jones, nei minuti di recupero con un gol di Huth strappa la vittoria. Pulis esulta e al fischio finale schizza negli spogliatoi: «Lo Stoke City è la mia passione e il mio amore, sono sicuro che mia madre avrebbe voluto che io fossi alla partita».
Il gol di Robert Huth, uno dei momenti più importanti della storia d'amore tra Pulis, lo Stoke e la sua famiglia.
Dalle origini al mito
Pulis era arrivato allo Stoke nel 2002, dopo due anni di inattività successivi all'esperienza sulla panchina del Portsmouth (in cui aveva resistito solo dieci mesi prima di essere esonerato). Era la sua grande occasione, seppur in un contesto difficile: la squadra navigava in cattive acque e il mercato non aveva dato una grande mano. Il rischio era quello di tornare in Second Division dopo la promozione dell'anno precedente. A guidare la società c'era un consorzio di businessmen islandesi che aveva acquisito la squadra nel 1999 con l'intento di riportarla in Premier e ampliare la sua dimensione internazionale con un calciomercato che guardasse più all'estero.
Insieme a Pulis erano arrivati giocatori come Ade Akinbiyi, a cui l'allenatore era particolarmente legato, visto che lo aveva avuto da ragazzino ai tempi del Gillingham. La condizione fisica di Akinbiyi non era ottimale, ma anche al 50% Pulis pensa di poterlo utilizzare. A conti fatti lo schiera poco e l'attaccante nigeriano segna solo una rete prima dell'ultima giornata di campionato, in cui si decide la salvezza dello Stoke. Akinbiyi parte dall'inizio nella partita della vita contro il Reading e porta in vantaggio lo Stoke con un colpo di testa su cross di Neal. Lo Stoke si salva, dopo aver fatto 14 punti nelle prime 12 partite, quando in panchina c'era Cotterill, e 36 in 30 con Pulis che lo ha rimpiazzato. È l'inizio del mito ingombrante del "never relegated manager".
Un gol che vale una storia.
Non tutto è sempre filato liscio tra Pulis e lo Stoke. Nel 2005 la proprietà islandese lo esonera, reo di non aver saputo sfruttare al meglio la campagna acquisti. È un colpo difficile che lo porta a Plymouth, dove però resterà un solo anno. Nel 2006 alla presidenza dello Stoke torna Peter Coates, che pensa immediatamente a lui per la panchina. Il primo anno arriva ottavo e in quello successivo con un secondo posto ottiene la prima promozione in Premier League dopo ventitré anni.
Pulis ricorda quei giorni della svolta: la domenica dopo la promozione accende il telefono e trova ottantasette nuovi messaggi, la maggior parte nuovi amici "occasionali" e agenti. Decide di abbandonare l'Inghilterra per l'estate e di andare in Florida, dove il fuso orario poteva dargli tregua dal cellulare.
Ma il momento più alto nel suo percorso con lo Stoke arriva cinque anni più tardi, nel 2011. In FA Cup, lo Stoke parte da lontano ma arriva fino in fondo, battendo il West Ham nei quarti e il Bolton in semifinale, con un secco quanto atipico per Pulis 5-0. Si tratta della prima volta dello Stoke in finale della coppa più prestigiosa d’Inghilterra, in cui affronta il contrario di tutto ciò che Pulis ama e rappresenta: il Manchester City degli sceicchi.
Il rigido 4-4-2 di Pulis, con Pennant e Etherington ali, Jones e Walters in attacco, crea poche difficoltà alla squadra di Mancini, di fatto una solo una chiara occasione da rete, e a un quarto d'ora dal termine arriva il gol di Yaya Touré. Pulis ha fatto buon viso a cattivo gioco: «Il Manchester City era la squadra migliore, hanno meritato di vincere».
L'occasione che poteva trasformare una favola in realtà.
L’amore tra Pulis e lo Stoke poggia sul rapporto speciale tra l'allenatore gallese e il presidente Peter Coates. Coates si sente uno "Stoke boy": è nato sul Trent, il padre lavorava nelle miniere e ogni domenica lo portava a guardare i biancorossi al Victoria Ground. La passione diventa lavoro quando, ormai ricco, decide di diventare l'azionista di maggioranza della società nel 1989.
Pulis apprezza il fatto che Coates lo lasci lavorare tranquillo, che non ficchi il naso nelle questioni di campo e si goda qualche drink con lui (il presidente regge meglio l'alcol dell'allenatore) e che sia, secondo la sua opinione, un solido socialista. Calcisticamente, un allenatore così legato al contesto cittadino non può che essere d'accordo con la politica intrapresa dai Coates che favorisce l'academy e i giovani della città.
Persino quando, nel 2013, Coates ha esonerato Pulis, il dispiacere del tecnico gallese non ha ridimensionato la considerazione verso il suo ex presidente: «Con Peter e la sua famiglia ho sempre goduto di ogni momento della giornata; è stato veramente un uomo fantastico con cui lavorare».
Il controrivoluzionario
Il calcio di Pulis in un certo senso è demodé. Un 4-4-1-1 con un trequartista classico alle spalle di un centravanti classico, o in alternativa un 4-4-2 con due punte di peso. Il gioco è quello inglese classico: intensità, aggressività, compattezza e spinta sulle fasce. L’ossatura delle squadre è composta da due ali brevilinee (Etheringhton e Pennant), tessitori di gioco con grande spirito di sacrificio (Charlie Adam) e centravanti molto fisici (Kenwyne Jones).
Le squadre di Pulis hanno sempre avuto una statura media piuttosto alta e in risposta ad alcune critiche ricevute per il proprio gioco poco spettacolare ha citato il suo manager ai tempi di Bournemouth, Alec Stock: «Quando la mia squadra entra in campo, mi piace vedere uomini, non ragazzi».
Proprio a causa dell’altezza media delle proprie squadre, nel sistema di Pulis ha trovato posto un giocatore unico e di assoluto culto come Rory Delap. L’irlandese era un centrocampista senza troppe qualità tecniche, ma con una dote che lo ha reso unico nel panorama europeo: la rimessa laterale. A scoprire questa qualità era stato in realtà Martin O'Neill, l’attuale allenatore della Nazionale irlandese, che aveva notato come Delap (ex campione di giavellotto al liceo) riuscisse a lanciare il pallone anche a 40 metri di distanza all’impressionante velocità di 60 km/h. Pulis cercò fin da subito di sfruttare a suo vantaggio questa "fionda umana", come la definì l'allora manager dell'Everton, David Moyes.
Nella stagione 2008 Delap ha collezionato 7 assist nelle prime 13 reti della stagione: la difficoltà nel difendere la sua rimessa stava nel fatto che la palla non viaggiasse a parabola in aria, ma fosse piatta, diretta come un calcio d'angolo o una punizione verso il centro. Se in molti hanno ammirato l'inventiva di Pulis, come Moyes e Scolari, tra i più aspri critici c'è forse il principale "nemico" del gallese: Arsène Wenger.
Per il francese il suo è un vantaggio sleale, tanto che ha immaginato, ironicamente, di cambiare le regole introducendo una rimessa veloce con i piedi stile calcetto. Forse la questione brucia particolarmente a Wenger, perché lo Stoke nel novembre del 2008 ha sconfitto l'Arsenal con due reti, entrambe causate proprio dalla rimessa di Delap. O forse, più semplicemente, perché il francese ha sempre sopportato poco il tecnico gallese.
Tra le varie reti ci sono anche quelle incriminate di Fuller e Olofinjana contro l'Arsenal.
Pulis, Mou e Wenger
Wenger non si è adattato al sistema calcistico anglosassone: ha provato a vincere a suo modo, con i suoi schemi e i suoi uomini; e Pulis non disdegna questa mentalità, anzi, ha sempre affermato di non essere contrario agli allenatori stranieri perché alimentano il calcio inglese di nuove idee. Si è però sempre lamentato dell’immediato credito che ricevono arrivati in Premier League. Pulis ha definito “fantastiche” le liti andate in scena con Wenger e ha considerato un complimento le frecciate che il francese gli ha sempre rivolto: «Odia venire qui. Se fossimo solo una passeggiata al parco, Arsène ci avrebbe lasciato in pace». Allo stesso modo, lo scorso anno Wenger ha definito “una sopresa” l’esonero di Pulis «considerando il miracolo che aveva compiuto» (ne parleremo tra poco), riconoscendogli in qualche modo l’onore delle armi.
Se il rapporto con Wenger ha avuto più di un'asprezza, quello tra Mourinho e Pulis è stato all'insegna della dolcezza. Ogni volta che si incontrano danno spettacolo, con abbracci sinceri e un comportamento che non si vede spesso. Si sono reciprocamente riempiti di lodi, sia come uomini che come allenatori. Pulis, oltre a considerare Mou un grande allenatore, gli ha riconosciuto di essere un leader (il "Churchill" del Chelsea) e un signore nelle sconfitte.
Mourinho ha perso per ben due volte contro Pulis (con Crystal Palace e West Bromwich) e secondo lui il gallese è l'allenatore che lo mette più in difficoltà, anche se alla terza giornata di questo campionato è arrivata l'agognata prima vittoria dello Special One sul "never relegated manager". L'opinione però non è cambiata: «Se possedessi un club, Tony Pulis sarebbe il primo manager che contatterei. È perfetto, è una garanzia per raggiungere l'obiettivo che il club vuole. Tony Pulis è matematica e il suo record è incredibile».
Ma è lo stesso Mourinho di quello vs. Guardiola-Vilanova-Wenger?
Mourinho e Pulis sono accomunati dalla considerazione del lato umano dei giocatori, anche sopra quello tecnico, ma a renderli simili è anche un certo modo complessivo di interpretare il calcio. Tra i tecnici stranieri di Premier, Mourinho è il più pragmatico e in qualche modo finisce per sembrare anglosassone per la sua aggressività tattica. In un certo senso, Mou è stato bravo a importare il gioco delle piccole in quello delle grandi squadre ed è legittimo domandarsi se la stessa equazione sarebbe stata possibile per Pulis, nel caso in cui avesse allenato un club di vertice inglese.
L'allenatore dell'anno e la ventunesima stagione
Le ultime due stagioni hanno rafforzato il mito di Pulis. Due squadre, due situazioni disastrose, due salvezze insperate prima dell'ultima giornata. Nell'estate 2013, dopo lo shock della fine del rapporto con lo Stoke, Pulis resta senza squadra, ma pochi mesi di dopo viene chiamato a salvare il Crystal Palace, che dopo otto partite con Ian Holloway aveva già perso sette volte, e nel mese successivo, con il traghettatore Keith Millen in panchina aveva raccolto solo quattro punti. All'arrivo di Pulis, il 23 novembre, il Palace era all'ultimo posto con soli sette punti in dodici partite, e il record di Pulis sembrava a rischio.
Pulis sa che per riuscire in situazioni simili bisogna conoscere a fondo i giocatori, scoprire i loro punti forti e deboli, così da creare un sistema che possa portare risultati, unica cosa che conta nel calcio. Per farlo deve essere rivoluzionario e conservatore al tempo stesso: lo staff non deve essere modificato più di tanto, perché rappresenta il legame con la società e può aiutarlo nella comprensione dei giocatori; il modulo e gli interpreti, però, devono cambiare in base alle sue scelte.
Responsabilizza i calciatori che ritiene più carismatici, cioè, in questo caso, Mile Jedinak e Joel Ward, e quelli più dotati: su tutti, Yannick Bolasie. Il francese ha raccontato il primo breve discorso di Pulis alla squadra: «Ci ha detto che lui non era mai retrocesso e che credeva che non sarebbe successo neanche questa volta». Poi parlando direttamente con lui: «Mi disse di esprimere me stesso e usare le mie abilità, e di godere del fatto che avrei lavorato più duramente. Non appena l'ho fatto il mio gioco è completamente cambiato».
È una rimonta strana quella del Crystal Palace di Pulis. Con Holloway la squadra faceva più passaggi sbagliandone meno, aveva più possesso palla e manteneva un ottimo livello di aggressività. A differenza della gestione precedente, la squadra del gallese è più corta e bassa, l'aggressività quasi tutta centrale (con Jedinak in cima alle classifiche dei contrasti e palle rubate in Premier League), il possesso il terzo più basso (34,5%, davanti solo a Cardiff e Norwich retrocesse).
È la rapidità nelle ripartenze sulle fasce a essere in molti casi letale: i tiri aumentano e la difesa inizia a subire molto meno (ben 10 partite senza subire reti) e il Palace costruisce il suo miracolo tra la 32.esima e la 35.esima giornata: vince tutte e 5 le gare, tra cui quelle con Chelsea, Everton e West Ham. Ottiene così un'impensabile undicesimo posto, guadagnando nove posizioni. Mai nessuno ci era riuscito. 38 punti in 26 partite valgono a Pulis un trofeo inatteso, quello di Manager of the year, davanti a Brendan Rodgers.
Selhurst Park, i nove minuti che hanno portato il Liverpool a perdere il campionato e Pulis (già salvo) a superare Rodgers per il Manager of the year.
L'estate del 2014 Pulis l'ha passata a sorpresa senza squadra, a causa di una lite con la dirigenza che lo ha allontanato da Londra. Stavolta le buone notizie sono arrivate da West Bromwich, dove la squadra in mano guidata da Alan Irvine era sedicesima con solo 17 punti in 19 partite. In situazioni drammatiche si opta per il solito nome: ma in questo caso la scelta non era così scontata, perché Pulis non era granché amato dai tifosi del West Brom. I fan lo beccavano ogni volta che scendeva in campo e i giornali locali disprezzavano il suo gioco fin dai tempi dello Stoke.
Il modo più semplice per convincere un ambiente ostile, ancora una volta, era portare a casa i risultati: tredicesimo posto e salvezza ottenuta in anticipo con una mescola di veterani come Fletcher e Lescott associati alla gioventù e alla grande qualità di Ideye e Berahino. Quest'ultimo, a fine stagione, diventa il nodo al pettine di Pulis: l'allenatore aveva promesso al giocatore la cessione in estate, rispettando la sua volontà di dare slancio alla propria carriera, ma poi le tante voci sul ragazzo originario del Burundi lo hanno indispettito: «Non è un pezzo di carne». Così alla fine Berahino è rimasto controvoglia al West Brom, nonostante un’estate in attesa del trasferimento al Tottenham, e Pulis si è ritrovato con il suo miglior giocatore da recuperare psicologicamente, una missione fondamentale per ottenere, quest'anno, una nuova salvezza.
La ciliegina sulla torta grazie a un altro gallese, Boaz Myhill.
Nelle prime nove partite il West Brom ha undici punti, conditi da due vittorie fuori casa. Pochi gol fatti (7, di più solo del Watford) e subiti (11), il West Brom resta tra le squadre più solide da affrontare di tutta la Premier e galleggia a un paio di sconfitte di distanza dalla zona retrocessione. La rete della vittoria al Villa Park siglata da Berahino alla sesta giornata potrebbe segnare il riavvicinamento del talento inglese con il pubblico e la società.
Tony Pulis e il suo pragmatismo dovranno spuntarla anche in questa stagione in un mondo, come lui lo ha definito, “dominato dall'immagine”. Il suo mantra lo ha mutuato dal golfista Gary Player, ma rende davvero bene i suoi anni da allenatore iniziati nel lontano 1992, a Bournemouth: «The harder you work, the luckier you get»: più lavori duramente, più avrai fortuna.