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Il sacrificio di Ranocchia
14 mar 2017
14 mar 2017
Storia d'odio tra l'Italia e Andrea Ranocchia.
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1.

È il 25 settembre del 2016 e a San Siro si gioca Inter - Bologna, una di quelle partite in cui la squadra di de Boer domina senza concretezza. Dopo 20 tiri verso la porta di Da Costa, al 92esimo il risultato è ancora sull’uno a uno. La palla della vittoria cade sulla testa di Andrea Ranocchia, appena davanti al dischetto del rigore, ma il difensore tira tre metri a lato. Dopo l’errore Ranocchia si accoscia a terra per qualche secondo con le mani nei capelli. Su YouTube è ancora possibile trovare il video della reazione disperata di de Boer. Nonostante una partita solida - è stato il migliore dell’Inter per tackle e duelli aerei vinti - Ranocchia è riuscito a mettere la faccia anche su quella mancata vittoria.

Si tratta di uno dei tanti turning point negativi di Ranocchia, uno dei giocatori più criticati e vezzeggiati della storia recente del calcio italiano. L’ennesimo momento in cui la sua narrazione avrebbe potuto prendere una piega diversa. A fine partita in zona mista gli viene fatto notare che con un gol sarebbe diventato un “eroe”: «Dal più scarso del mondo a eroe... Sono cose che non mi toccano».

Il profilo twitter di Ranocchia ha il tag un po’ patetico @23_frog, accompagnato dal logo di una rana. Non esattamente un simbolo di forza e affidabilità nella nostra cultura, dove anzi è spesso considerata solo come il rovescio sfortunato della nobiltà di un principe.

Ranocchia usa twitter come strumento motivazionale. In ogni post ci tiene a trasmettere una grinta e una positività che si fatica a considerare sincera: è tutto un fioccare di bicipiti tesi, lavoro duro e concentrazione massima per la prossima partita. Due giorni dopo la partita contro il Bologna Ranocchia ha pubblicato una foto di lui sul ring che tira di boxe, con la didascalia: “Working and fighting hard to win challenges !!”, provando a ricalcare una retorica da uomo forte che suona molto distante da lui. Il risultato è una collezione di commenti d’odio dei suoi stessi tifosi; tra i più diffusi: “finalmente hai cambiato sport”.

2.

Passano ancora due giorni e Ranocchia è di nuovo in campo nelle vesti di Capitan Sciagura nella disastrosa sconfitta contro lo Sparta Praga, la caporetto dell’Inter di de Boer. Nel primo gol esce con i tempi sbagliati e permette a Kadlec di inserirsi alle sue spalle; nel secondo è nel branco di assonnati che si fa sorprendere dal calcio di punizione battuto velocemente.

A inizio secondo tempo, nella prima azione dello Sparta, si fa saltare sulla fascia con una facilità ridicola e il telecronista lo definisce “birillo”. Sul 2 a 1 entra completamente fuori tempo su un avversario. È un intervento inconcepibile - sul serio, in che modo pensava di fermare l’avversario? - come di qualcuno non del tutto in controllo del proprio corpo. Eppure a Ranocchia queste cose succedono incredibilmente spesso.

Viene espulso e sulla punizione arriva il 3 a 1 dello Sparta.

In un articolo della Gazzetta dello Sport la scelta di schierare Ranocchia titolare viene definita “accanimento terapeutico”.

Quelle contro il Bologna e contro lo Sparta Praga non sono le due partite più significative della carriera di Ranocchia, ma sono quelle che sanciscono definitivamente la sua irrecuperabilità. Il momento a partire da cui non avrebbe potuto far altro che continuare a coincidere con l’idea peggiore che i tifosi avevano di lui: quello di un centrale difensivo che ha sprecato il proprio talento per mancanza di carattere.

3.

A poche ore dalla fine del calciomercato Ranocchia viene ceduto all’Hull City per 1 milione di euro di prestito. Lasciato andar via come il figlio più amato ma più problematico. Nel trasferimento c’è stata la certificazione della fine di un’idea di Ranocchia, ormai da tempo declassato da “miglior giovane difensore italiano” a “sciagura con le gambe”. Alla notizia, i tifosi dell’Inter esultano come liberati da una maledizione.

Guardandoci all’indietro, l’inarrestabile declino della carriera di Ranocchia dà le vertigini. Al punto che non è chiaro se siamo stati noi a sbagliarci su di lui sin dall’inizio, o se è stato il suo spessore calcistico ad assottigliarsi sempre di più, anno dopo anno, una figuraccia alla volta.

Il controllo dello spazio di Ranocchia alla stagione d’esordio in Serie A.

4.

Raccolta parziale di pagine facebook dedicate ad Andrea Ranocchia:

  • Gareggiare nei 100 metri con Kuzmanovic e Ranocchia.

  • Ranocchiate (che attorno a Ranocchia ha costruito un blog con tutto il suo immaginario di meme)..

Ma non potremmo capire l’odio dei tifosi interisti (e il sarcasmo di quelli italiani) nei confronti di Ranocchia se non avessimo presente quanto era stato amato a un certo punto della sua carriera, quando Ranocchia non era solo un giocatore promettente ma il simbolo di qualcosa di più grande: l’erede diretto di una generazione di difensori leggendari che si erano appena ritirati o stavano per farlo.

L'odio è il rimpianto del perduto amore”, scriveva Nino Salvaneschi, poeta italiano del ‘900.

5.

Ranocchia ha esordito tra i professionisti nel 2006 nell’Arezzo allenato da Antonio Conte. Dai 18 ai 20 anni la sua carriera è stata una curva in continua ascesa. Nel 2007 riceve la prima convocazione in Nazionale U-21, mentre l’Arezzo è retrocesso in Lega Pro e Ranocchia è stato al centro di un’asta in cui sembra poter andare alla Fiorentina. La cosa salta perché non ha ancora un procuratore e il padre non si fida a decidere per lui. Un anno dopo è stato acquistato dal Genoa, che lo ha girato in prestito al Bari, dove è stato richiesto da Antonio Conte.

Ranocchia gioca un’ottima stagione nella promozione al Bari, e una grandissima stagione d’esordio in Serie A. A San Siro, contro l’Inter del triplete alla prima giornata, Ventura vuole lanciare Bonucci titolare perché gli piacciono le sue doti di distribuzione del gioco. Il tecnico pensa a mettergli al fianco un difensore più esperto come Stellini ma, dopo un colloquio con Perinetti, si decide a inserire Ranocchia: «mettere davanti a Eto’o e Milito due difensori giovani e incoscienti era la soluzione migliore».

Bonucci causa un rigore, ma in generale la coppia difensiva gioca molto bene e sarà la prima di tante partite di alto livello che fanno innamorare l’Italia, e riguardando i video di quegli anni non è neanche così difficile capire il perché.

Con Conte prima e con Ventura dopo, Ranocchia gioca da centrale di una difesa a 2, dove difende in maniera aggressiva, con una sfrontatezza e un’eleganza nelle uscite che, in Italia, fa subito gridare al nuovo Nesta. Da parte sua, Ranocchia conferma la filiazione: «Il giocatore che ammiro di più è senz’altro Nesta. Di lui mi piace il gioco ordinato e pulito che riesce ad esprimere, il suo essere lineare, ma anche veloce e abile nel gioco aereo».

Ranocchia dice di aver preso coscienza di essere arrivato quando, col Bari, ha affrontato il Milan di Nesta: «Durante il riscaldamento non riuscivo a smettere di guardarlo». Quando parla della sua ammirazione per Nesta parla di aspetti che vanno oltre il campo da gioco: «Un giocatore con gli atteggiamenti giusti, consoni a questo sport e al lavoro che facciamo».

6.

Da giovane Ranocchia aveva l’altezza e la velocità per giocare in attacco. Poi il piede è cresciuto tanto da avergli fatto perdere sensibilità sulla palla, facendone un difensore. Ma Ranocchia fa parte di quel ristretto club di difensori che riesce a far sembrare quello della difesa un mestiere più nobile di quello dell’attacco.

Le sue gambe lunghe, il corpo filiforme, la conduzione a testa alta, l’aspetto vagamente efebico - tutte le cose che oggi vengon letti come segni esteriori del suo poco carattere - lo facevano sembrare un nobile erede della nostra tradizione difensiva.

Ranocchia controllava con tranquillità l’ambiente circostante, difendendo con movimenti calmi e precisi in mezzo ad attaccanti sempre in affanno. Come i difensori destinati a una carriera nobile, difendeva mettendo ordine in una stanza di ragazzini, con quello spirito vagamente zen con cui i difensori ripuliscono in un’armonia apollinea il caos generato dagli attaccanti.

7.

È un’idea nota, ma fa sempre impressione ricordarla. In coppia con Bonucci nel Bari, sembra Ranocchia quello davvero forte: più dominante nel gioco aereo, più in controllo nelle chiusure e spesso anche più pulito nelle uscite (anche se, già all’epoca, Bonucci mandava in porta gli attaccanti con lanci di 50 metri).

Una sensazione confermata di recente anche da Giampiero Ventura: «Dal punto di vista difensivo Ranocchia era meglio di Bonucci».

Perinetti ricorda: «Bonucci aveva ancora qualche vuoto di concentrazione mentre Ranocchia era, in quel momento, il miglior giovane difensore in Italia».

Assecondando la logica, il miglior giovane italiano viene acquistato dalla miglior squadra italiana. L’Inter post-triplete, che vuole rifondare da lui la difesa, pensa di lasciarlo un anno a Genova per crescere, ma Ranocchia gioca così bene e l’Inter così male che Ausilio lo chiama già a gennaio.

Materazzi, a cui Ranocchia faceva da raccattapalle quando era al Perugia, si prende subito i meriti dell’operazione: «Ho portato io Ranocchia all’Inter» e sul dualismo con l’altro centrale, Bonucci, non ha dubbi: «Credo che ci sia poco da dire a Ranocchia. È un ragazzo con la testa sulle spalle, è genuino e come piace a me, è contadino. Ha la corteccia forte e sa dove vuole arrivare. Io un anno fa quando si parlava di Ranocchia e Bonucci dissi, senza nulla togliere all'attuale bianconero, di puntare a occhi chiusi su Ranocchia».

8.

Marco Materazzi è, forse, l’essere umano più lontano da Ranocchia. Eppure, per il semplice fatto che veniva dall’Umbria e dal Perugia come lui, ha voluto subito metterlo sotto la sua ala protettiva. Lo ha indicato come suo erede sin dall’inizio e ancora oggi non smette di commentare la sua carriera e le sue prestazioni dall’alto verso il basso.

Ranocchia vince un premio Gillette nel 2010 come miglior giovane, appena davanti a Bonucci. «Quando ho saputo di essere candidato al premio mi sono un po' spaventato. Quando mi faccio la barba, bello rasato, mi danno 16 anni. Ho la faccia da bambino». Durante la premiazione deve prestarsi a questa cosa.

Al suo esordio da titolare, in coppia con Materazzi in Coppa Italia, contro il Genoa, l’Inter vince 3 a 2, ma su entrambi i gol subiti c’è la piccola firma di Ranocchia, che causa il rigore del primo gol e si perde Sculli sul secondo, beccandosi i rimproveri di Materazzi. Poi le cose cominciano a migliorare. Contro il Bayern Monaco in Champions League, un mese dopo, salva un gol sulla riga che permette poi la rimonta finale.

A fine anno Materazzi si ritira e chiede a Ranocchia di indossare la sua maglia numero 23: «Deve essere meno timido, ma può diventare il miglior difensore italiano».

Quello della timidezza è un topos importante nella storia di Ranocchia. La timidezza, nel calcio, può essere una certificazione di umiltà; ma quando le cose iniziano ad andare male si trasforma in un segno di mancanza di carattere.

Per Ranocchia hanno funzionato entrambi i lati della medaglia. Quando era considerato il nuovo prodigio del calcio italiano, ci siamo innamorati di lui non solo per l’eleganza con cui difendeva ma anche per il candore della sua immagine fuori dal campo.

La normalità, per Ranocchia, è quasi un segno di distinzione: «Sono una persona normale. Perciò nel mondo del calcio sembro diverso, ma ci sono tanti colleghi tranquilli, come me». Nelle domande più personali è scrupoloso nel voler restituire l’immagine del ragazzo acqua e sapone: «Avere una ragazza è difficile per chi fa questo lavoro, posso uscire poco e non avrei molto tempo da dedicarle. Le ragazze poi, ti fanno perdere la testa, soprattutto se vivono nel mondo dello spettacolo, e non è questo il momento. Sinceramente in futuro non mi vedo con una “velina”, mi vedrei piuttosto con una persona più semplice, con pochi grilli per la testa, magari, perché no, con una ragazza di Bastia».

9.

Qualche altra citazione di Ranocchia che restituisce la sua ossessione per la normalità:

«Quando ero più giovane andavo in discoteca, ma ora ho mille impegni».

«Mi perdo negli scaffali del supermercato, mi piace molto cucinare il pesce»

«Non mi piace esagerare, ma soprattutto so che nella città dove gioco sono diventato un personaggio noto e credo sia importante anche dare il buon esempio».

«Gli unici momenti di libertà li ho quando torno a Bastia, dove per tutti sono solo Andrea e ho la possibilità di non pensare al calcio per qualche giorno, ogni tanto c’è anche bisogno di questo».

Uno dei video parodici dedicati ad Andrea Ranocchia.

10.

Quando ha iniziato a giocare male, Ranocchia è passato dall’essere un difensore umile a essere un difensore “senza palle”. Qualsiasi suo problema tecnico, a quel punto, viene ricondotto alla sfera dell’intangibile psicologico. In un’intervista del 2011 - che si apre con le parole “Puntuale, umile e monogamo” - gli si chiede se il fatto che abbia segnato ancora poco - come se poi fosse un rimprovero da prendere con serietà, per un difensore di 23 anni con già 4 gol in Serie A - si può ricondurre a un problema di “motivazioni”.

A quel punto lui è costretto a rispondere con una razionalità che non sembra appartenere al mondo che lo circonda: «Non credo ci sia un problema di motivazioni, credo piuttosto che devo migliorare il mio tempismo».

Due anni fa Mancini ha dichiarato che il problema di Ranocchia è che è “troppo buono”. In un’intervista recente Ranocchia ha confessato di essere stato vittima di nonnismo da spogliatoio quando era più giovane. Una dichiarazione che ha lasciato un’ombra ancora più cupa sulla sua storia: «Ho iniziato a giocare negli anni del nonnismo pesante in spogliatoio». Poi fa anche i nomi dei suoi “persecutori”: «Carrozzieri, Abbruscato e Mirko Conte nell’Arezzo, avevo 17 anni e come se non bastasse andavamo a giocare in campi terribili: l’Arezzo era la squadra più a nord del girone».

In seguito Carrozzieri ha commentato queste dichiarazioni dicendo che, anzi, Ranocchia dovrebbe ringraziare lui e Mirko Conte per avergli insegnato i trucchi del mestiere: «Aveva davanti a sé due difensori come me e Mirko Conte ed è anche merito nostro se ha fatto tutta questa strada».

11.

Non è chiaro, in realtà, quando le cose hanno iniziato a mettersi male per Ranocchia. Se nei quarti di finale di Champions League contro lo Schalke 04, quando ha fatto il primo autogol della carriera, il gol del 4 a 2 per i tedeschi; oppure nella trasferta a Novara, l’anno successivo, quando l’Inter ha perso per 3 a 1 contro una delle peggiori squadre mai passate in Serie A. Quel giorno Ranocchia non era riuscito a marcare Morimoto, su cui causa il rigore del 2 a 0, facendosi anche espellere. Dopo quella partita Ranocchia ha perso il posto da titolare e ricorda quello, il 2011-12, come l’anno peggiore della sua carriera, ma anche quello che gli ha permesso di crescere di più (in Ranocchia c’è, sempre, questa visione, un po’ calvinista, per cui la sofferenza eleva e nobilita).

Nel girone di ritorno dell’anno con Ranieri ritrova qualche presenza ma continua a impreziosirle con errori così imbarazzanti e peculiari da essere diventati una specie di signature move in negativo.

Come ad un esempio.

In quest’azione Ranocchia ha tante attenuanti. È la fine di una partita compromessa, è stanco, e viene puntato in campo aperto da uno dei Cavani più straripanti di sempre. Farsi saltare sarebbe comprensibile, ma farsi saltare appallottolandosi come una cartaccia sporca è patetico. Ricordando quella stagione Ranocchia riconosce un punto di cesura: «Prima di allora la mia carriera era sempre stata in ascesa. Una stagione così mi ha aiutato a crescere. Quando giochi poco poi fai fatica a trovare il ritmo e non sbagliare nulla. E le poche volte che Ranieri mi ha mandato in campo ho fatto errori gravi».

Ma contrariamente da quanto dice, probabilmente spinto a emulare una retorica per cui si può crescere solo attraversando a nuoto un oceano di difficoltà, giocare male non ha aiutato in nessun modo Ranocchia a diventare un calciatore migliore.

Certo, non è una regola universale, ma per uno sportivo cresciuto protetto dall’aura della sua predestinazione, affrontare dei momenti negativi talvolta può aiutare solo a scalfire il muro di sicurezze, a mettere dei tarli nella testa.

12.

Torniamo un attimo sulla nozione di “Ranocchiata”. Cioè quel genere di errori gravissimi che hanno segnato in maniera indelebile la carriera di Ranocchia. Hanno scavato così a fondo nel nostro immaginario perché non sono errori normali, ma momenti in cui Ranocchia non sembra perfettamente in controllo delle proprie facoltà psicomotorie e i suoi 195 cm sembrano finire in cortocircuito.

Fra i miei momenti preferiti del video qui sopra, con sottofondo di Tchaikovsky, c’è quello in cui Ranocchia va a chiudere sulla fascia con totale convinzione, ma calcola male praticamente tutto e si fa saltare cascando.

E poi tutti quei momenti in cui Ranocchia non riesce a limitarsi a “farsi saltare”, ma deve sempre mettersi in imbarazzo. Come quando contro la Sampdoria perde un duello fisico in campo aperto con il 34enne Gilardino costringendo De Silvestri al recupero miracoloso.

Quasi tutti gli errori gravi di Ranocchia, in un modo o nell’altro, causano un gol: il passaggio sbagliato contro il Bologna diventa un gol di Donsah da fuori area; la palla sbucciata contro il Palermo diventa un altro gol da fuori di Barreto, e poi quello più umiliante, quando si fa scavalcare da Icardi, l’uomo che gli ha tolto la fascia da capitano, che poi va a segnare.

A volte sembra che gli attaccanti riescano a passargli attraverso, mentre Ranocchia riduce la propria figura occupando il minimo spazio possibile, fin quasi a scomparire.

Ma anche guardando i video dei suoi anni a Bari Ranocchia non sembra un difensore impeccabile. In una partita contro il Napoli, ad esempio, è molto in difficoltà contro Quagliarella. Se lo perde in area in occasione di un gol e poi si fa espellere nel finale per un’entrata in ritardo su Lavezzi. In quest’altra partita, contro la Roma, perde una palla da ultimo uomo che compromette l’intera partita. In un servizio di Telenorba si dice «Anche Ranocchia può sbagliare ogni tanto».

Forse Ranocchia non è mai davvero stato il difensore che volevamo tantissimo che fosse?

13.

Il rapporto tra Ranocchia e il pubblico italiano si è fondato su un grosso equivoco. L’idea che Ranocchia fosse l’archetipo del difensore moderno: forte, agile, atletico, tecnico. Elegante nelle chiusure, efficace nel gioco fisico, tecnico nella costruzione dal basso.

Un equivoco ribadito anche da un recente articolo di Michele Dalai sul cartaceo di Rivista Undici, secondo cui il problema di Ranocchia sarebbe averlo cresciuto sotto i precetti del “sacchismo”, facendone un difensore “decorativo”, bravo più a creare che a distruggere il gioco.

In realtà, il problema di Ranocchia sembra essere l’opposto: l’anacronismo, più che l’eccessiva modernità. Non solo Ranocchia non sembra avere le doti atletiche per fronteggiare l’iperdinamismo degli attaccanti contemporanei; ma non ha neanche aggirato i propri limiti fisici attraverso un’interpretazione cerebrale del gioco come quella di Bonucci.

È difficile dire che Ranocchia ha iniziato a giocare davvero peggio, a un certo punto; mentre è senz’altro vero che ha iniziato ad essere trattato sempre peggio. In Italia le opinioni si formano e cambiano molto velocemente, quando uno sportivo finisce la propria curva ascendente ha due strade davanti: può diventare un “venerato maestro” , consolidandosi come una specie di monumento vivente; oppure può sgretolarsi, un po’ alla volta, facendo proliferare il risentimento dei tifosi nello spazio che si apre fra ciò che è e ciò che avremmo voluto che fosse.

Alla seconda categoria di giocatori appartengono talenti sfioriti del calcio italiano. Giocatori che dopo tutta una trafila giovanile gonfia di promesse non si sono rivelati all’altezza dell’idea che i tifosi avevano di loro. Ciò che non perdoniamo, nel profondo, a questi giocatori è di non aver disperso il proprio talento per eccesso ma per fragilità.

Nella scala morale del pubblico italiano, fallire per mancanza d’attributi è peggio che fallire perché si è poco professionali.

Il vitalismo, anche quello più distruttivo, è sempre più rispettato della debolezza.

14.

Sui social network Ranocchia viene quotidianamente massacrato. Ecco qualche commento che esemplifica il tono, tutti presi da una foto di Ranocchia che si allaccia gli scarpini:

  • Se Ranocchia è in seria A io in nazionale ci posso gioca..

  • spero che a gennaio te ne vada ,ora che è tornato Andreolli non dovremo piu' vederti in campo

  • Che ti alleni a fà, sei l anticalcio

  • Da quando hai le gambe Andrè?

  • Altro che Nike, servirebbero delle Bibbie per farti giocare bene

  • te rompissi tutto

  • Brava persona eh, ma il calcio è un altra cosa.

15.

Per questo trattamento speciale che i tifosi gli riservano, un accanimento spietato e totale che si distacca dal suo reale rendimento calcistico, Ranocchia viene spesso accostato a Montolivo. Anche Montolivo fa parte di quei talenti italiani che, nell’opinione comune, hanno promesso molto e mantenuto poco per mancanza di carattere. Per entrambi le critiche sui social oltrepassano i limiti della civiltà.

Persino quando Montolivo si è rotto il legamento crociato, per la seconda volta in carriera, a inizio della stagione in corso, ha ricevuto insulti e odio gratuito, a cui ha risposto con una sobrietà dolorosa: «Una carezza a chi mi ha augurato il peggio. Siate più educati».

Ranocchia ha dichiarato di aver scritto a Montolivo dopo aver letto i messaggi di chi gli augurava il peggio: «Io ho partecipato a una campagna contro il cyberbullismo, perché penso a tutti i ragazzi che non hanno la forza di reagire. Una soluzione non ce l’ho. Posso solo parlare per me, e dire che sono arrivato al punto che non è più un problema».

Per entrambi, da quando sono stati ricoperti di una specie di scorza di negatività, è stato molto difficile far cambiare opinione nei loro confronti: un centravanti come Pazzini, o come ora Gabbiadini, ha sempre a disposizione la concretezza del gol come fatto incontestabile; per giocatori come Montolivo e Ranocchia, che giocano in ruoli meno appariscenti, è difficile giocare così bene da convincere gli altri a cambiare opinione.

Per un difensore è più semplice mettersi in luce in negativo, con qualche errore decisivo che arriva a vanificare, agli occhi del pubblico, mesi di rendimento costante.

16.

La stagione 2012-13, con Stramaccioni in panchina, è forse la migliore di Ranocchia. Gioca in difesa insieme al coetaneo Juan Jesus e lascia pensare che l’Inter possa essere ricostruita sulle loro spalle. Dopo un periodo di difficoltà iniziali, l’Inter mette insieme dieci vittorie consecutive, espugnando per la prima volta nella storia lo Juventus Stadium.

In un articolo di quel periodo, Bleacher Report lo indica come il principale motivo della rinascita dell’Inter; lui, in un impeto di vanagloria, dice: «Sembrava quasi che in un anno storto si fosse cancellato tutto quello che di buono avevo fatto negli anni precedenti, ma ora sono partito bene e mi sto divertendo, sono convinto che continuerò a farlo».

Anche provando a leggere le statistiche, quella stagione sembra essere la migliore di Ranocchia: più tackle, più intercetti, più duelli aerei vinti.

Ma ormai i pregiudizi erano troppo solidi, e quando la stagione dell’Inter comincia a naufragare, insieme a Stramaccioni, Ranocchia viene inghiottito di nuovo dalle critiche, cancellando forse l’ultima possibilità di riscatto di Ranocchia. Nell’arco discendente della sua esperienza interista, in pochi ricordano le ottime prestazioni di quei mesi, risucchiati da pregiudizi eterni come la roccia.

Di fronte alla spietatezza del trattamento che il pubblico gli ha riservato, Ranocchia è stato ambiguo. Da una parte si è sforzato di mostrarsi indifferente, se non addirittura fortificato, dalle critiche. Ma dall’altra parte, per molti dei suoi atteggiamenti, come per molte delle sue prestazioni, Ranocchia sembra giocare da qualche anno con qualcosa di rotto dentro.

Solo qualche mese fa ha confessato di essere seguito da un mental coach, anche se ci ha tenuto a specificare che non si tratta di uno psicologo: «Da tre mesi vado in un centro in cui mi seguono dal punto di vista fisico e psicologico. C’è una persona con cui parlo ma non è uno psicologo: è laureato in Fisioterapia ma è anche esperto di mental training».

Quanto ha inciso su questo suo atteggiamento, la difficoltà nell’ambiente sportivo di parlare di problemi di fragilità psicologica?

Viviamo in un paese in cui sono state stimate 4 milioni e mezzo di persone depresse, nonostante ciò non esiste alternativa, per un calciatore, all’ideale machista classico. Problemi mentali sono sinonimo di debolezza, la debolezza è tabù.

17.

Lo scorso anno è stato chiesto a Zradko Kuzmanovic di raccontare un aneddoto sulla sua esperienza all’Inter: «Ogni giorno con Ranocchia facevamo scherzi. Devo confessarti che il migliore scherzo che ho fatto l’ho fatto proprio a Ranocchia quando gli ho tolto tutte le gomme dell’automobile. Avresti dovuto vedere la faccia».

Certi aneddoti su Ranocchia sono semplicemente ridicoli. Quel tipo di dettagli che in un modo o in un altro definiscono la figura pubblica, se non l’identità dell’uomo in questione. Nel 2015 a Faenza è andata in scena una rapina in una lavanderia. Dopo qualche giorno il ladro è stato riconosciuto perché al momento del furto indossava una maglia di Ranocchia. Con senso dell’umorismo, il giorno dopo Ranocchia ha scritto su facebook: «Stavolta io non c’entro niente».

18.

Probabilmente, più di ogni altra cosa, sulla reputazione di Ranocchia ha inciso il fatto di essere stato il simbolo più evidente di un ciclo estremamente grigio della storia dell’Inter (così come Montolivo lo è stato per il Milan).

Ranocchia è arrivato 6 mesi dopo la vittoria del triplete, doveva essere l’ambasciatore di una ricostruzione graduale sui migliori giovani italiani ma con le sconfitte è diventato il capro espiatorio principale del fallimento del progetto. Tutti i giovani passati all’Inter in quegli anni sono stati trattati con una severità inconsueta persino per gli standard del calcio italiano: Guarin, Santon, Alvarez, Juan Jesus, Kovacic, Schelotto, Pazzini. Tutti loro hanno lasciato nei tifosi un ricordo amaro, sgradevole o in altri casi di totale risentimento.

Il valore simbolico di Ranocchia è stato aumentato dal fatto che a un certo punto della sua carriera, e senza motivi che lo giustificassero, è stato nominato capitano dell’Inter. Forse perché in un certo senso rispecchiava l’ideale archetipico del capitano dell’Inter, stabilito da Facchetti e Zanetti: una persona umile, seria e con una vaga sfumatura di stoicismo.

In panchina c’era Walter Mazzarri, che si dice abbia bloccato una sua cessione alla Juventus (lo voleva Conte) e che ha indicato la scelta come un fatto di professionalità: «Colui che dimostrerà di essere più professionale, i requisiti sono tanti. Per me Andrea Ranocchia è il più adatto, perché ha i requisiti per prendersi questa responsabilità».

Quando gli viene chiesto che tipo di capitano vuole essere risponde con la solita leggera schizofrenia: «Vittorioso. Io di non vincere mi sarei anche un po’ rotto».

Uno dei primi gesti di Ranocchia da capitano è quello di sottoscrivere il “Manifesto del partito dell’Inter”, in cui lo spogliatoio nerazzurro ha firmato una serie di regole, un po’ sgrammaticate, che definiscono un certo atteggiamento mentale della squadra. Tra cui: “si vince, si perde, tutti si prendono le responsabilità”. E: “Non arrendersi mai”.

Ma l’eterno ritorno dei cicli di speranza di riscatto e delusione sono il filo che lega Ranocchia all’Inter. Un anno dopo, un anno estremamente negativo nella percezione pubblica di Ranocchia, la fascia di capitano gli viene tolta. «La fascia di capitano mi fu tolta per essere affidata ad Icardi. Venivo da una stagione decisamente negativa, nella quale subii feroci attacchi da parte di tutti».

Non mi viene in mente un altro esempio di destituzione di un capitano nella storia recente del calcio italiano e non è facile capire, dall’esterno, le dinamiche che governano scelte di questo tipo. Quello che possiamo dire è che, in un certo senso, Icardi rappresenta ciò che Ranocchia si sforza di essere: un giocatore che fagocita le critiche e l’odio dei tifosi trasformandolo in energia positiva sul campo. Ranocchia sembra il tipo di giocatore che si sforza da una vita a tenere un comportamento esemplare - tra le altre cose, ha una sua onlus - senza riuscire a diventare davvero un esempio, mentre Icardi è diventato un esempio, nel bene o nel male, per puro carisma.

Commentando la perdita della fascia, Ranocchia è stato ambiguo. Da una parte ha definito la fascia da capitano “un pezzo di stoffa”: «Ciò che conta è dentro di te. Ed io sono consapevole di essere un giocatore che per l’Inter dà tutto se stesso»; ma alcuni mesi più tardi ha menzionato la perdita della fascia come una delle cose brutte che gli sono capitate in carriera.

19.

Adesso l’Inter sta vivendo il periodo di forma più positivo degli ultimi anni, lasciando intravedere un puntino di luce alla fine del tunnel, ma Ranocchia è in Inghilterra, con la pace del reduce. Pochi giorni fa ha postato un video di lui che sorride davanti a una straziante costa portoghese: nei commenti sottostanti i toni d’odio sono svaniti e sono rimasti solo gli autentici fan di Ranocchia, tutti accomunati da una specie di senso di rivalsa verso la crudeltà della cultura sportiva italiana.

Al suo esordio, contro il Manchester UTD, Ranocchia gioca 25 minuti di livello, difendendo in modo molto intenso e aggressivo, vincendo ogni duello aereo in cui è coinvolto in una fase in cui lo United lancia spesso la palla alla rinfusa.

Alla prima da titolare, contro il Liverpool, è addirittura il migliore in campo. Una partita in cui è sembrato saper fare tutto: tagliare il campo con passaggi in verticali precisi e intelligenti; difendere in avanti sulle tracce filtranti degli avversari; mostrarsi solido nell’uno contro uno in campo aperto; e ovviamente dominare nei duelli aerei, vincendone addirittura 7.

A 10 minuti dalla fine, per ripulire una palla sporca sotto pressione, si inventa una palla in verticale di 30 metri che manda in porta Niasse. Un passaggio di ambizione fantascientifica per un difensore umile fino all’insicurezza come Ranocchia. Alla fine è stato eletto migliore in campo ed è entrato nella Top-11 della Premier League.

È già un idolo dei suoi nuovi tifosi e qualche giorno fa ha rilasciato un'intervista in cui sembra già aver capito molto da questi pochi mesi: «La più grande differenza è il modo in cui è vissuto lo sport. Tutti mi avevano avvertito che sarebbe stato difficile, e invece sto dicendo a tutti che è grandioso. Sono più felice qui di come ero in Italia».

Ma questa condizione durerà o è solo un paradiso temporaneo? Cosa farà Ranocchia dopo il primo errore, si rialzerà dimostrando che gli serviva solo un contesto che credeva in lui, dando finalmente spessore alle parole con cui si è sempre detto fortificato dalle critiche, oppure crollerà di nuovo? Basteranno questi mesi a distinguere una volta per tutte i suoi problemi tecnici da quelli mentali?

Lo scorso dicembre, nella stessa intervista in cui parlava di nonnismo, gli è stato chiesto qual è l’obiettivo della sua carriera, e Ranocchia ha messo il piano sportivo in secondo piano rispetto a quello umano: «Che tante persone mi prendano da esempio. Non solo e non tanto per i successi, i gol, i salvataggi, i tackle. Ma per quello che ho fatto nel calcio dal punto di vista della voglia di reagire, di non farsi abbattere. E vorrei che l’esempio servisse anche a chi fa altri lavori».

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Il concetto di “capro espiatorio” è stato introdotto nella psicologia dei gruppi prendendolo dalla religione ebraica. Nel rito del Kippur, il giorno dell’espiazione, la comunità chiede il perdono dei propri peccati. Al termine della cerimonia il sacerdote caricava le colpe dell’intero popolo su un capro, mandato poi via nel deserto insieme a tutto il male della comunità.

Nel Levitico il rito viene raccontato così: «Aronne farà accostare il capro vivo e stendendo le mani sopra la testa di esso, confesserà sopra di lui tutte le colpe e tutti i falli e tutti i peccati degli Israeliti, e fattili passare sulla testa del capio, lo manderà via nel deserto.... Così il capro si porterà addosso tutte le colpe loro…».

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