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Il ruolo dell'allenatore
24 gen 2016
24 gen 2016
Estratto dal libro "La scienza dei goal", di Carlo Canepa e Luciano Canova.
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Nel 1º tempo abbiamo analizzato i risultati che i metodi di analisi quantitativa forniscono per valutare il contributo di un allenatore; questo 2º tempo è invece dedicato agli studi che utilizzano il calcio come contesto sperimentale per analizzare un importante fenomeno in ambito economico: il licenziamento di un manager. Nella letteratura economica e finanziaria, esistono numerosi studi che si pongono l’obiettivo di stimare l’impatto del cambio di un manager sulle performance di un’azienda, incontrando, però, diversi problemi. Innanzitutto, le stime calcolate sono sensibili alle misure di performance prese in considerazione, le quali sono rilevate in maniera soddisfacente nelle aziende quotate in borsa, ma sono largamente ignote nelle aziende di dimensioni più piccole. In aggiunta, la tempistica con cui un manager è sostituito non è sempre chiara. Spesso, chi ha compiti dirigenziali all’interno di un’azienda non è allontanato, ma gli è conferito un incarico differente. Infine, le decisioni dei manager riguardo investimenti, assunzioni e strategie di azienda sono in molti casi sconosciuti, ma svolgono un ruolo fondamentale per i risultati di una società.

 

I dati sul calcio hanno quattro vantaggi per studiare questo fenomeno, attraverso l’analogia con l’esonero di un allenatore. La performance è misurata su base settimanale, attraverso tre semplici indicatori: la vittoria, il pareggio, o la sconfitta della squadra; le scelte dell’allenatore sono osservabili da tutti, per esempio vedendo i giocatori schierati e il tipo di gioco adottato; le competizioni calcistiche sono relativamente omogenee tra loro, confrontando tra loro squadre con gli stessi obiettivi; le caratteristiche importanti degli allenatori sono conosciute, come l’esperienza pregressa nello sport, l’età, e i risultati ottenuti in passato. Sfruttando questa analogia, si è sviluppato all’interno della letteratura scientifica un ampio numero di ricerche, volte a testare il fenomeno dell’esonero. Su quest’ultimo sono state formulate tre teorie diverse. La prima è la teoria del “senso comune”, secondo la quale un allenatore è il responsabile dei risultati deludenti di una squadra. L’allontanamento di un allenatore ha così lo scopo di dare un effetto positivo alla performance, portando idee nuove ed evitando gli errori commessi dal predecessore.

 

La seconda teoria è quella del “circolo vizioso”: nonostante l’esonero, la squadra continuerà a fare male, a causa della confusione all’interno delle relazioni societarie. Il cambio allenatore avrà allora un effetto destabilizzante, negativo.

 

La terza teoria che tenta di spiegare il fenomeno dell’esonero prende il nome del “rito del capro espiatorio”. Sollevare un allenatore dal suo incarico non ha alcun impatto sulla performance della squadra. Un tecnico è allontanato solo per placare l’animo dei tifosi e la pressione dei media. In generale, i presidenti delle squadre di calcio sembrano essere guidati dalla teoria del “senso comune”, visto l’altissimo numero di panchine saltate nelle massime competizioni europee. Ma si comportano in maniera corretta, aumentando così le possibilità di massimizzare il numero delle proprie vittorie? Dall’Argentina all’Inghilterra, dall’Austria al Belgio, dalla Colombia alla Germania, dalla Spagna all’Italia, dalla Norvegia all’Olanda, i risultati parlano chiaro: licenziare l’allenatore non serve.

 

Tutti gli studi sono d’accordo nel quantificare in nullo il contributo di un esonero nel migliorare le prestazioni di una squadra, validando così la teoria del “rito del capro espiatorio”. In alcuni casi, addirittura si rileva un lieve peggioramento dei risultati, confermando l’ipotesi del “circolo vizioso”. In pochi altri, i risultati migliorano nel brevissimo termine, ritornando al loro corso naturale dopo poche partite, giusto in tempo per giustificare l’ipotesi del “senso comune”.

 

Ma com’è possibile testare empiricamente e in maniera rigorosa gli effetti del licenziamento di un allenatore? Come modello di riferimento per tutti gli studi, prendiamo un articolo pubblicato nel 2011 sul

da Maria De Paola e Vincenzo Scoppa, i quali esaminano i cambi di allenatore nella Serie A durante dodici stagioni, dal 1997 al 2009. Sono prese in considerazione le sostituzioni solo nel corso del campionato: quelle nella pausa estiva possono infatti essere legate ad altri fattori, come una diversa composizione e qualità della propria rosa e di quella degli avversari.

 

La prima osservazione che appare evidente è che gli esoneri sono un fenomeno diffuso nel nostro calcio. In media, il 37% delle squadre del dataset ha cambiato l’allenatore nel corso di una stagione. Come può sembrare scontato, un cambio di panchina è più frequente nelle squadre di bassa classifica (il 61% delle squadre classificate tra le ultime 10 ha cambiato allenatore), mentre è più raro nelle squadre più performanti (solo il 16% delle squadre classificate tra le prime 10 ha cambiato allenatore). A livello di analisi, non sono distinti i cambi di allenatore dovuti a dimissioni, in quanto la maggioranza di questi casi è comunque il risultato di scelte della società, che mettono il proprio allenatore non più in condizione di svolgere serenamente il proprio lavoro.

 

La performance dell’allenatore è misurata attraverso diversi indicatori: il numero di punti guadagnati in ogni partita dalla squadra, il numero di goal segnati e il numero di goal subiti. Un primo approccio consiste nel confrontare quanto ottenuto in questi indicatori dal nuovo allenatore rispetto a quello precedente. In media, un nuovo manager sembra ottenere più punti per partita rispetto al precedente (1,122 contro 0,994), portando la propria squadra a segnare più goal (1,150 contro 1,023) e concederne meno (1,455 contro 1,509, sebbene quest’ultima differenza non sia statisticamente significativa).

 

Sulla base di questi dati, si potrebbe concludere che l’esonero di un allenatore di una squadra in serie negativa possa condurre a risultati migliori. I risultati ottenuti sul campo, però, possono essere influenzati da diversi fattori, che non sono presi in considerazione da un approccio comparativo così naive. Innanzitutto, il nuovo allenatore e quello precedente non giocano contro gli stessi avversari. Per esempio, è possibile che l’allenatore esonerato abbia iniziato la stagione affrontando gli avversari più forti, mentre il nuovo si trovi lungo il percorso avversari meno performanti. In aggiunta, le squadre che cambiano allenatore tendono a essere di qualità diversa rispetto a quelle che non cambiano allenatore. Gli allenatori non sono esonerati in maniera randomica (casuale), seguendo il lancio di una monetina, ma sono sollevati dal proprio incarico in seguito a una serie di risultati negativa. Quantificare l’effetto dell’esonero vuol dire tener conto di questo fatto, in quanto il cambio di panchina dipende esso stesso dalle performance precedenti e dal miglioramento percepito che può emergere nelle partite successive. La Figura 3.2 rappresenta la performance media di una squadra prima e dopo il cambio di allenatore. Mostra chiaramente quanto scritto sopra. Il punto fondamentale da comprendere è che l’andamento del grafico, e quindi della squadra, potrebbe migliorare semplicemente per effetto della “regressione verso la media”, e non per il fatto che sia stato mandato via il vecchio allenatore. La “regressione verso la media” è quel fenomeno statistico per il quale, dopo osservazioni inaspettate estremamente negative o positive, si assiste a una tendenza successiva ad accostarsi alla media. Come verificare che il miglioramento non sia dovuto a una differenza di abilità negli avversari o frutto di un’illusione statistica?

 


La performance di una squadra prima e dopo il cambio di allenatore.


 

I due ricercatori hanno rilevato come, tenendo conto della differenza di classifica tra la squadra con il nuovo allenatore e gli avversari, e controllando quindi la differenza di bravura delle squadre affrontate dopo il cambio, l’apparente contributo dovuto all’esonero scompare del tutto. Per confermare, invece, che l’andamento positivo ritrovato sia frutto della regressione verso la media, è stato utilizzato un ingegnoso escamotage. Dal momento che non è possibile osservare la performance della stessa squadra contemporaneamente sotto il comando del vecchio allenatore e di quello nuovo, sono state selezionate squadre con indicatori di performance simili. Queste a loro volta sono state divise in due gruppi. Nel gruppo di trattamento, sono state inserite le squadre che hanno cambiato allenatore. Nel gruppo di controllo, quelle che hanno deciso di continuare con lo stesso tecnico.

 

Confrontando i risultati dei due gruppi, si evince come anche le squadre del secondo gruppo vivono un miglioramento dei risultati, semplicemente per effetto della regressione verso la media. Come detto in precedenza, questa evidenza empirica è constatata in numerosi campionati, in ogni parte del globo.

 

La domanda da porsi è allora perché, nonostante i fatti ne evidenzino l’inutilità, l’esonero sia un fenomeno così diffuso. Cinque sono le possibili spiegazioni. Innanzitutto, la cacciata di un allenatore può essere la risposta all’insoddisfazione di diversi soggetti: i presidenti, gli sponsor e i tifosi.

 

In secondo luogo, i media, con i loro programmi televisivi e radiofonici, internet, i quotidiani e le riviste specializzate, esercitano una forte pressione sulle dirigenze. Non è da escludere, inoltre, che se anche i risultati sono in linea con le aspettative, c’è sempre la possibilità che si generi un conflitto tra l’allenatore e la dirigenza, o con la squadra, lo staff tecnico e gli altri impiegati del club. Una quarta motivazione riguarda un’errata interpretazione della serie negativa di risultati che precede un esonero. Essa può semplicemente essere frutto di contingenze, e non il risultato di una cattiva gestione. Infine, i dirigenti decidono di sollevare un tecnico dal proprio incarico solo perché nei momenti di difficoltà agire sembra sempre meglio che non fare nulla. In conclusione, mentre non è semplice isolare con precisione gli effetti di un esonero servendosi di una grande quantità di dati, sembra semplicissimo giungere a conclusioni errate sulla base di un confronto superficiale tra la performance di una squadra prima e dopo il cambio tecnico. A rendere il tema ancor più accattivante, è una ricerca pubblicata nel 2015 da Gerd Muehlheusser e colleghi, i quali accorrono in soccorso dello Zamparini9 di turno. Utilizzando un dataset relativo a diciassette stagioni della Bundesliga tedesca, dal 1993 al 2010, i ricercatori hanno tentato di approfondire il metodo d’analisi visto sopra, indagando la diversa qualità dei calciatori all’interno di una squadra.10 A ogni calciatore, hanno assegnato un valore in una scala da 1 a 10 punti, con un maggior valore che indica una miglior performance. In questo modo hanno potuto calcolare quale fosse l’eterogeneità all’interno delle squadre. Alcune, infatti, mostrano una notevole differenza tra il calciatore peggiore e quello migliore, mentre altre sono più omogenee. I risultati della ricerca mostrano come la sostituzione di un allenatore possa avere risultati positivi proprio nelle squadre più omogenee. Ciò è spiegato dal fatto che nuovi schemi utilizzati non dipendono eccessivamente dalla bravura dei singoli e permettono quindi un impiego di tutti i giocatori.

 




 

In conclusione, l’applicazione dei metodi quantitativi per stimare il contributo di un allenatore e l’effetto di un esonero forniscono risultati solo apparentemente contraddittori. L’errore da evitare è considerare il tecnico come il principale responsabile delle vittorie e delle sconfitte. Un manager svolge un ruolo casuale necessario, ma non sufficiente da solo per il verificarsi di determinati risultati.

 

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