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Il rookie dell'anno: Mattia Caldara
05 giu 2017
05 giu 2017
Continua la premiazione dei nostri Awards stagionali. Signori e signore, il miglior esordiente.
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Il voto per il rookie dell’anno è stato un testa a testa combattutissimo tra Mattia Caldara e Patrik Schick, che hanno scavato un fosso incolmabile con gli altri due finalisti, Kessié e Gagliardini, e si sono giocati la vittoria finale fino all’ultimo. Alla fine l’ha spuntata Caldara, ma di pochissimo.

 

Il concetto di rookie va un po’ oltre la semplice traduzione del termine inglese, che letteralmente si riferisce ad un esordiente. Secondo una definizione così stretta anche giocatori come Fazio o Joao Mario, che non avevano mai giocato in Serie A, erano tecnicamente dei buoni candidati come rookie dell’anno. Ma rookie, che in inglese viene utilizzato anche in maniera più informale per definire un principiante, un novellino, fa in realtà riferimento a chi è davvero alle prime armi, a chi si ritrova per la prima volta a competere ad un livello così alto ritrovandosi perfettamente a suo agio, a quel tipo di giocatori, insomma, che ti fanno chiedere “e questo da dove è uscito fuori?”.

 

Caldara e Schick, in questo senso, personificano alla perfezione il concetto di rookie. Entrambi giovani (il primo ha 23 anni, il secondo 21), ed entrambi per la prima volta calati in un campionato di primissimo livello, si sono ritrovati ad avere un impatto tale sulla Serie A che il primo è stato già comprato dalla Juventus mentre il secondo è finito in un’asta di mercato tra i più importanti club italiani ed europei. Ma il loro percorso di affermazione è stato molto diverso, quasi opposto, rappresentando due modi altrettanto diversi di essere rookie, e, dall’esterno, di interpretare l’evoluzione futura dei giovani calciatori.

 

Schick è atterrato sulla Serie A a fari spenti. Ha giocato soprattutto nella seconda metà del campionato, ma raramente dal primo minuto. I suoi 1504 minuti stagionali sono stati impreziositi da una classe e una sensibilità tecnica unica per un ragazzo della sua età. L’attaccante della Sampdoria è arrivato nel campionato italiano come un talento misterioso dopo appena un anno in Repubblica Ceca, al Bohemians 1905.

 

Caldara, al contrario, quest’anno ha giocato titolare praticamente sempre, se si escludono le prime cinque disastrose giornate dell’Atalanta, e ha fatto quella che ci piace chiamare “gavetta”. Per la verità, ha esordito in Serie A nel secondo tempo di un Catania-Atalanta di tre anni fa, ma poi ha passato due anni ad accumulare minuti ed esperienza in Serie B, prima al Trapani e poi al Cesena. Caldara spicca per acume tattico e per l’intelligenza con cui utilizza la sua fisicità, come ben descritto da Fabio Barcellona

.

 

Il fatto che alla fine abbia prevalso Caldara su Schick, e cioè un centrale di difesa roccioso e intelligente nei confronti di un attaccante tecnico ed elegante è interessante. Non può essere un caso in un paese ossessionato dalla solidità difensiva come l’Italia. Ma, al netto di confronti tecnici comunque impossibili per questioni di ruolo, quello che mi sembra più importante nell’assegnazione di questo premio è proprio l’andamento della stagione.

 

Schick ha sfruttato l’onda lunga della sua incredibile seconda parte di campionato - fattore che di converso ha finito per penalizzare Kessié e Gagliardini che, per ragioni diverse, hanno brillato in momenti diversi della stagione – mentre Caldara ha fatto della continuità e dell’affidabilità (sia sui 90 minuti che nell’arco delle 38 giornate) il suo punto di forza principale. Questo è il punto di svolta che penso abbia finito per decidere il voto popolare, forse giustamente.

 

Caldara quest’anno ha dimostrato di poter toccare l’eccellenza in tanti aspetti. Ha messo in mostra un tempismo nell’anticipo unico (e di questo dovrà ringraziare Gasperini per un bel po’) e una grande saggezza nella gestione dei tempi di aggressione e attesa.

 

Ha compensato la sua limitata mobilità nei primi passi con delle letture da primo della classe e, cosa mai banale per un centrale di difesa, ha segnato 7 gol, diversi dei quali bellissimi. Ma soprattutto l’ha dimostrato per tutta la stagione.

 



Il momento più alto della stagione di Caldara: la doppietta al San Paolo che decide la sfida col Napoli.



 

Personalmente non sono della scuola di chi dice che entrare dalla panchina sia in ogni caso un vantaggio. Anzi, subentrare a partita in corso ha anche molti aspetti negativi, soprattutto per un giovane calciatore, in relazione alla pressione psicologica di dover dimostrare di più (perché se sei entrato dalla panchina probabilmente non sei una prima scelta per il tuo allenatore) in un tempo molto più limitato.

 

Ma anche solo matematicamente, con dei numeri parametrati sui 90 minuti, più cresce il minutaggio più è più difficile avere delle statistiche d’eccellenza. E se è vero che un minore tempo di gioco significa una possibilità più ristretta di mostrare le proprie qualità, è anche vero allo stesso modo che un minutaggio più grande significa più tempo (e più fatica accumulata, quindi) per commettere errori, soprattutto per un centrale di difesa.

 

Quest’anno, tra i giocatori con almeno mille minuti di gioco in Serie A, Caldara è secondo per intercetti solo a Toloi (3.42 ogni 90 minuti) ed è tra i difensori che hanno commesso meno errori difensivi in assoluto (0.03 ogni 90 minuti).

 

E non è solo questione di continuità di rendimento e concentrazione, che comunque sono fattori fondamentali nella valutazione di un centrale di difesa, ma anche di varietà tecnica degli avversari affrontati. Essendo titolare, Caldara quest’anno ha affrontato le partite più diverse e gli attaccanti più diversi, ed ha sempre dimostrato, al netto degli inevitabili limiti, di essere all’altezza della situazione.

 

Nella valutazione della sua stagione non bisogna nemmeno dimenticare il sistema di gioco in cui era inserito. È vero che il gioco di Gasperini rende più facile la crescita dei giovani (3 su 4 dei candidati al premio erano giocatori dell’Atalanta) perché composto da compiti semplici in cui si lascia poco spazio all’interpretazione. Ma è vero allo stesso modo che un sistema di marcature a uomo così rigido è molto stressante sia fisicamente che mentalmente, ed espone soprattutto i difensori centrali a figuracce contro avversari più tecnici e/o fisici. Nella difesa a tre dell’Atalanta, Caldara era l’unico giocatore alle prime armi, ma nessuno ha notato la differenza d’esperienza con Toloi e Masiello.

 

Il processo di adattamento di Caldara alla Serie A è stato talmente veloce e naturale che non è sembrato ci fosse un reale processo di adattamento. Vederlo a gennaio con la maglietta della Juventus, anche se solo per

, è sembrata una conseguenza logica di quanto aveva mostrato in campo: il rookie del campionato che va a giocare per la squadra più forte del campionato.

 

 

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