Il ritorno della leggenda
Dopo aver rivoluzionato l’idea di fighter nelle MMA, Georges St-Pierre torna a combattere a tre anni dall’ultimo incontro.
La piena, pienissima maturità
La capacità di St-Pierre di portare con successo i takedown non ha probabilmente rivali nella storia delle MMA. Ancora oggi, con i suoi 87 takedown positivi, è il fighter del roster UFC ad averne eseguiti di più. Tra l’altro, con una percentuale di riuscita elevatissima del 74%.
In occasione di UFC 100, George St-Pierre difende nuovamente il titolo con Thiago Alves, uno striker brasiliano molto pericoloso per via dello stile imprevedibile, che attinge a piene mani dal Muay Thai.
La strategia di Saint-Pierre è chiara: tanti leg kick e soprattutto tanti atterramenti. E infatti GSP riesce ad essere pericoloso soprattutto quando riesce a portare a terra il match, anche se non è affatto a disagio nemmeno nelle fasi di grappling, al punto che un suo diretto destro manda Alves knockdown nella terza ripresa.
Il quarto e quinto round vedono un GSP in pieno controllo grazie ai suoi spettacolari atterramenti (saranno ben 10 alla fine del match) e ad una capacità incredibile di mantenere alta l’intensità.
È talmente dominante nei confronti del suo avversario, che appena suona la sirena Alves gli alza il braccio per indicarne la vittoria.
Il match seguente, contro Dan Hardy, viene vinto da St-Pierre nettamente, ai punti. Impone la sua superiorità per tutto il match, con 11 atterramenti e andando per ben due volte vicinissimo alla sottomissione con un armbar e una kimura sventati da un Hardy incredibilmente resistente. A fine match St-Pierre si congratulerà con lui per aver resistito fino alla fine.
Nonostante il dominio schiacciante che GSP esercita in ogni occasione nei confronti dei suoi avversari, il suo stile viene comunque criticato da alcuni osservatori. Viene accusato di scarsa spettacolarità e di un eccessivo ricorso al Lay and Pray negli ultimi match: di controllare, cioè, l’avversario con il suo ground game, senza mettere troppi colpi e senza riuscire a sottometterlo.
La risposta di Georges ci dà la misura di quanto il suo approccio al combattimento (e probabilmente anche alla vita) sia razionale: per lui nell’MMA è impossibile non correre alcun rischio e il modo migliore per limitarli è quello di usare l’intelligenza, conoscendo alla perfezione i punti forti e i punti deboli dell’avversario, anche con opportunismo.
D’altra parte, una delle caratteristiche più evidenti di St-Pierre è proprio questa: la maestria nell’abbinare un grande eclettismo ad un game plan perfettamente cucito sulle caratteristiche dell’avversario.
Durante UFC 124, St-Pierre affronta nuovamente Josh Koscheck. St-Pierre è un fighter più versatile rispetto alla prima volta che i due si sono incontrati e stavolta arriva all’incontro con la consapevolezza che se c’è una sfera del combattimento nella quale la sua supremazia può palesarsi in modo più significativo è lo striking: per questo pianifica il suo game plan per far confluire il match sullo scambio in piedi. Il piano viene eseguito alla perfezione e St-Pierre finisce per impartire a Koscheck una vera e propria lezione.
A fine incontro i numeri sono impietosi: 110 a 16 il complessivo dei colpi significativi. St-Pierre ormai è all’apice della propria capacità di controllo sulla realtà esteriore, anche fuori dal ring. A fine match il pubblico se la prende con Koscheck riempiendolo di fischi, ma GSP, come un imperatore benevolente, dichiara: “Per piacere, ha detto molte cose per pompare l’incontro e prepararlo, ma è venuto qui per combattere con me e penso che meriti un po’ di rispetto”.
Gli ultimi 3 incontri
Le prime difficoltà, forse avvisaglie di un lento declino, arrivano con Carlos Condit, durante l’UFC 154. Condit costringe St-Pierre ad un match difficilissimo. Il fighter statunitense è fenomenale schiena a terra e fa della guardia attiva uno dei suoi punti di forza: concede spessissimo la top position a St-Pierre ma dalla full guard colpisce in continuazione, sopratutto con le gomitate.
St-Pierre nel primo round riesce comunque ad assestare i colpi più pesanti e ad aprire una vistosa ferita all’arcata sopraccigliare destra, con una gomitata. Nel secondo, invece, lavora bene alla distanza per poi rifugiarsi in un takedown che lo porta a controllare Condit, nonostante sia sempre più attivo schiena a terra.
All’inizio del terzo round arriva il primo upset: Condit mette il jab sulla guardia di GSP, poi fa un movimento anomalo e allo stesso tempo aggraziato: si sposta lateralmente abbassandosi quasi a voler scomparire e poi fa partire un high kick che St-Pierre non vede arrivare. Il canadese va knockdown ma, nonostante Condit si avventi su di lui per sferrargli finalmente dei colpi dalla top position, riesce comunque ad ottenere la full guard.
È il cardio alla fine a risultare determinante: GSP fatica tecnicamente a far valere il suo solito ground and pound, ma riesce a tenere l’intensità molto meglio del suo avversario e alla fine vince per decisione unanime. Soltanto uno dei tre giudici ha dato un round a Condit: un verdetto che non dà la misura di quanto complesso sia stato per St-Pierre quello che lui stesso ha definito il miglior fighter mai affrontato.
Anche quello con Nick Diaz, del marzo 2013, è un match decisamente complesso. Diaz è un fighter molto forte in piedi grazie ad un ottimo pugilato e un buonissimo allungo. Inoltre ha un BJJ fenomenale che lo rende pericoloso schiena a terra. Oltre al lato tecnico, comunque, Diaz è anche piuttosto abile a gestire il trash-talking, e con buoni esiti visto che St-Pierre ammetterà più tardi che la preparazione a quel match fu probabilmente la più stressante della sua carriera.
Nonostante ciò, GSP riesce ancora una volta ad esprimere una superiorità incontrovertibile nei confronti del suo avversario. I primi due round si svolgono a terra dove GSP dalla posizione dominante mette numerosissimi colpi (quasi 90 a fine secondo round), dimostrando per l’ennesima volta di aver studiato a fondo i punti di forza e debolezza del proprio avversario, gestendo alla perfezione la posizione dominante contro un fenomeno del BJJ.
Anche in questo caso, nonostante un buon ritorno di Diaz nel terzo e nel quarto round, a fare la differenza è la tenuta fisica sul lungo periodo, che permette a GSP di controllare senza troppi problemi il quinto round. Alla fine, anche Diaz riconosce la sua superiorità alzandogli la mano al termine dell’incontro.
L’ultimo match di GSP, contro Johny Hendricks, è il più duro e anche quello più vicino alla sconfitta. Nelle fasi di pugilato Hendricks fa sentire la pesantezza dei colpi, mentre nelle fasi di grappling riesce addirittura ad arginare GSP grazie al suo wrestling superlativo (e anche ai chili in più, data la sua concezione di taglio del peso piuttosto estrema).
È un match dall’andamento ondivago e ne viene fuori una delle vittorie di St-Pierre meno nette. I giudici si spaccheranno in una split decision: una decisione controversa, molto discussa e secondo alcuni illegittima.
“Senza dubbio il mio incontro più duro”, conferma George St-Pierre con il volto coperto di lividi “Ho perso la memoria a un certo punto dell’incontro, immaginate quanto è stato duro. Non ci vedevo da un occhio… mi ha veramente conciato male. Adesso ho bisogno di una vacanza”.
Pochi pensarono che quella vacanza sarebbe durata tre anni e mezzo. E al di là della stanchezza, comprensibile dopo tanti anni di uno sport fisicamente massacrante, probabilmente St-Pierre nemmeno non si divertiva più a combattere.
Sulla decisione hanno pesato poi altri fattori. Convivere con quel disturbo ossessivo compulsivo che lo costringeva ad una vita monodimensionale votata unicamente alla competizione nell’ottagono, ad esempio. Ma anche l’incedere del desiderio di una vita normale, lontane dalle logiche cannibali del business. Le MMA gli avevano dato tanto, ma in cambio si erano prese tutto. Era giunto il momento per St-Pierre di dedicarsi a tutte quelle cose fuori dal ring di cui probabilmente aveva iniziato a sentire la mancanza.
He’s back
Se è facile quindi capire perché Georges abbia deciso di appendere i guantini, è molto più complesso capire quali motivi lo abbiano spinto a tornare indietro. Forse ha pensato che sarebbero stati gli ultimi anni a disposizione per dare ancora qualcosa a questo sport, che alla fine è stato praticamente tutta la sua vita: tornare a combattere, cioè, prima che diventi soltanto un rimpianto.
Ma quale St-Pierre rimetterà piede sul ring? GSP non ha mai smesso di allenarsi come un professionista e questo potrebbe portarci a credere che le sue condizioni atletiche siano rimaste buone.
In più si è preservato dai colpi, e il tempo trascorso lontano dalle competizioni potrebbe anche averlo aiutato a perfezionare alcuni lati del combattimento, come il pugilato. Proprio su questo aspetto ha lavorato per perfezionarsi con specialisti del calibro di Freddie Roach.
“Secondo me, è un buon momento per tornare in scena, anche a 35 anni” ha dichiarato GSP su Instagram, sprizzando sincero ottimismo “Ho appena finito un training camp di livello mondiale, sento di aver raggiunto la forma migliore di tutta la mia vita, non sono mai stato così. Il GSP di oggi è il GSP migliore che abbiate mai visto. Non vedo l’ora di tornare e dimostrarlo a tutti, me incluso, testerò le mie abilità e vediamo come andrà.”
L’ultimo St-Pierre che abbiamo visto nell’ottagono, però, potrebbe non bastare oggi per dominare la categoria. Oltre ad un pugilato più coraggioso (che non verta in modo così preponderante sul jab), GSP dovrebbe elevare il suo BJJ in modo tale da essere più risolutivo una volta ottenuta la posizione dominante nelle fasi di grappling (le ultime 7 vittorie ottenute solo per decisione stavano iniziando a palesare qualche limite di troppo) e l’eccessivo controllo a terra visto negli ultimi match potrebbe essere penalizzato dai nuovi parametri di giudizio che tengono conto soltanto del grappling effettivo, ovvero non premiano la posizione dominante in sé ma valutano quanto questa è stata fruttuosa in termini di colpi, passaggi di guardia e i tentativi di sottomissione.
E questo senza contare l’aspetto psicologico, visto che nelle ultime uscite St-Pierre era sembrato piuttosto contratto, nonostante tutto.
L’avversario sarà il campione dei pesi Medi Michael Bisping, in un match che si disputerà al limite delle 185 libbre. Bisping, inglese di 38 anni, è un veterano con un record di 30 vittorie e 7 sconfitte. Approdò in UFC nel 2006 dopo aver conquistato la cintura dei massimi leggeri nella nota federazione britannica Cage Warrior ed aver vinto nella medesima categoria di peso la terza stagione del TUF (The Ultimate Fighter, reality della UFC). Da lì in poi la bellezza di 25 incontri in UFC, di cui ben 18 vittorie.
Bisping è uno striker solido, preciso e con un’elevata frequenza di colpi, come conferma il primato in tutto il roster per colpi significativi totali messi a segno (1533) e il terzo posto per colpi totali messi a segno (1879).
Non è campione per caso, ma non è nemmeno il miglior medio in circolazione. Bisping non era nel “giro titolato”, ha strappato la cintura ad un Luke Rockhold non al meglio delle sue condizioni (aveva un problema al ginocchio), subentrando all’infortunato Chris Weidman con un paio di settimane di preavviso (Rockhold, quindi, non era neanche preparato fino in fondo per combattere con Bisping e sicuramente lo ha sottovalutato), mandandolo KO alla prima ripresa dopo un inizio che lo ha visto in difficoltà e sembrava confermare la differenze di calore tra i due fighter vista un anno e mezzo prima, quando Bisping aveva perso.
Quella dell’UFC è una scelta controversa. In una categoria di peso dove fighter come Yoel Romero o Jacare Souza aspettano la tanto agognata title shot da tempo, questa scelta toglie loro una possibilità che in questo momento avrebbero meritato decisamente più di George St-Pierre, a cui è stata concessa come una sorta di titolo onorifico.
Come detto, inoltre, GSP è un Welter naturale che ha sempre tagliato relativamente poco al limite delle 170 libbre (con la tendenza odierna che vuole un taglio del peso sempre maggiore, i pesi Welter sono oggi più grossi rispetto a quando li lasciò GSP) e scendere di peso sarebbe stato più logico che salire.
Certo, St-Pierre è un fighter decisamente superiore a Bisping e può batterlo nonostante la discrepanza di stazza fisica, ma dubito che GSP possa competere in futuro con altri contendenti, come appunto Luke Rockhold, che è alto ben 13 centimetri più di lui. Le MMA sono molto cambiate negli ultimi anni e i pesi medi oggi sono semplicemente enormi per lui: anche se dovesse conquistare il titolo non avrebbe un futuro in quella categoria. Più facile pensare, qualora lo conquistasse, che lo lascerebbe poi vacante per tornare a 170 libbre.
Una scelta, quindi, prevalentemente di tipo commerciale. Non troppo affascinante, certo, ma nemmeno priva di una logica (seppure cinica): questi rimangono comunque gli ultimi anni in cui GSP può guadagnare qualcosa facendo quello in cui eccelle, e tornare con la possibilità di portarsi via una cintura è affascinante per lui quanto per il pubblico che pagherà per assistere all’evento.
Al netto dei rischi connessi ad un ritorno ai massimi livelli dopo un lungo periodo di inattività, quella di St-Pierre rimane è una scelta tutto sommato razionale e pragmatica, non una follia dettata esclusivamente da un’immediata necessità di denaro ma anche dalla sensazione di poter ancora dimostrare di essere il migliore.
È una cosa su Georges St-Pierre ha insistito molto, anche nel podcast di Ariel Helwani: la sua volontà principale è quella di consolidare il suo stato di (potenziale) GOAT, vuole incontri che possano confermarlo nel Pantheon dello sport (per questo, ad esempio, ha già accennato alla possibilità di competere nei Welter se Damian Maia – fighter quasi esclusivamente centrato sul bjj – batterà Woodley – pugile durissimo).
In fin dei conti GSP non ci deve niente, semmai è il contrario: se ritiene di avere ancora qualcosa di importante da donare a questo sport non possiamo far altro che cedere ai suoi modi, sempre rassicuranti, educati e sinceri. Comunque vada, è un bene indiscutibile che GSP sia tornato a prestare il suo volto a uno sport che continua a essere frainteso e stereotipato. Perché, dopotutto, anche per chi lo dovesse conoscere solo adesso, George St-Pierre è un atleta difficile da non amare.