G.O.A.T è l’acronimo con cui nel mondo dello sport ci si riferisce al Greatest Of All Times, al più grande di tutti i tempi in una specifica disciplina. GOAT era Muhammed Alì; GOAT potrebbe essere Federer; GOAT possono essere Maradona, Pelé, Cruyff, e via dicendo. È una definizione piuttosto forte da usare, anche se circoscritta all’interno di uno sport relativamente giovane come quelle delle Arti Marziali Miste, difficile da manipolare con certezza. Eppure è quasi impossibile non parlare di questa categoria rarissima di atleti quando di parla di Anderson Silva.
Il suo nome entra per forza di cose nella discussione su chi debba essere considerato come il più grande fighter di MMA di sempre, ma essere il più grande di tutti i tempi è necessariamente legato anche ai risultati e – se si approfondisce il discorso – diventa un concetto in qualche misura fuorviante quando si parla di Anderson Silva, perché rischia di farci dimenticare la straordinaria bellezza del suo stile.
Anche se i paragoni tra sportivi di discipline diverse lasciano il tempo che trovano, per semplicità di esposizione possiamo dire che Anderson Silva è per le MMA quello che Roger Federer è per il tennis: persino nel suo periodo più di successo, quando i risultati sportivi hanno innalzato la sua carriera fino a vette in quel momento inesplorate, la bellezza del suo combattimento veniva comunque prima. Ed è paradossale associare ad uno sport a tratti brutale come l’MMA il concetto di estetica. È difficile essere, o anche solo apparire, rilassati e aggraziati, quando di fronte a te c’è qualcuno di veramente pericoloso, che vuole farti perdere i sensi il più velocemente possibile. In questo tipo di contesto, Anderson Silva riesce ad essere addirittura affascinante.
Farsi le ossa
Anderson Silva è stato cresciuto da degli zii a Curitiba, in ristrettezze economiche, pur senza drammatizzare. Ha iniziato a praticare brazilian jiu jitsu molto presto, ma non senza difficoltà: BJJ era ancora uno sport d’elite in Brasile e molte cose, come ha ammesso lui stesso, è stato costretto ad impararle da solo. A 12 anni, però, la sua famiglia ha trovato il denaro sufficiente per fargli imparare il Taekwondo, passando poi alla capoeira ed infine alla Muay Thai.
A dire il vero, la primissima passione sportiva di Silva non è il combattimento ma il calcio. Era così bravo che il Corinthians, il club per cui tifa, lo ha chiamato per un provino, a cui però è arrivato con un ritardo di quaranta minuti e per questo motivo è stato respinto. Lo stesso giorno, per un evidente segno del destino, lo hanno invitato ad allenarsi in una palestra di pugilato.
Silva esordisce come artista marziale misto nel 1997 al BFC – Brazilian Freestyle Circuit 1, ed inizia a combattere in giro per il mondo in diverse federazioni: prima al Meca (in Brasile) perdendo il primo match opposto a Luiz Azeredo ma vincendo i due incontri successivi; dopodiché combatte in Giappone allo Shooto vincendo un primo incontro abbastanza sofferto contro Tetsuji Kato, e più in scioltezza i tre successivi match: contro Israel Albuquerque al Meca, contro Hayato Sakurai per il titolo dei pesi medi Shooto e infine contro Roan Carneiro, di nuovo al Meca.
Silva chiude l’incontro con Carneiro dalla “montada”, dopo uno splendido scramble.
Nel Giugno del 2002 esordisce al Pride, federazione che all’epoca era ancora considerata la più importante nel mondo delle MMA. Le regole erano differenti rispetto a quelle odierne: con gli interminabili round da 10 minuti, la possibilità di utilizzare i soccer kick (calci alla testa quando l’avversario è a terra), e differenti parametri di giudizio. I match, come tutti quelli svolti finora da Silva, si disputavano ancora in un ring.
Al Pride vince i primi tre incontri contro Alex Stiebling, Alexander Otsuka e l’ultimo, particolarmente spettacolare, contro Carlos Newton. Durante quest’ultimo incontro Silva si è trovato in grande difficoltà nel ground game, con un passaggio di Newton in “full mount” dal quale ha inferto diversi colpi pesanti. Quando però l’arbitro li ha fatti rialzare Silva ha intercettato una cambio di livello di Newton e lo ha colpito con una ginocchiata saltata dal tempismo irreale.
Nel Giugno del 2003 la sua ascesa viene temporaneamente interrotta da una Triangle Choke di Daiju Takase dopo otto minuti di combattimento.
Dopodichè, Silva combatte un match al CF 1 in Brasile dove sconfigge Waldir dos Anjos, fermato dal suo angolo a fine primo round, per poi aggiudicarsi ai punti un match in Corea del Sud (al Gladiator FC contro Jeremy Horn, fighter che all’epoca aveva già combattuto tantissimo e terminerà infatti la carriera con 113 incontri da professionista e 91 vittorie).
L’11 Settembre 2004 fa la sua prima apparizione alla prestigiosa federazione inglese Cage Rage, dove combatte direttamente per il titolo dei pesi medi: per la prima volta combatte in una gabbia, e si impone su Lee Murray per decisione unanime.
Torna al Pride per quello che sarà il suo ultimo match: mentre Silva scherza, letteralmente, con Ryo Chonan dallo striking, quest’ultimo esegue un meraviglioso “Flying Scissor Heel Hook” che costa a Silva la terza sconfitta in carriera, la seconda consecutiva per sottomissione.
Ecco cos’è una Flying Scissor Heel Hook, nel caso non lo sapeste già.
Archiviata la sua parentesi non così fortunata al Pride, torna a combattere in Inghilterra al Cage per difendere la cintura appena conquistata: sconfigge prima Jorge Rivera (fighter che chiuderà la carriera con 10 match in UFC), che viene demolito di ginocchiate dal clinch al secondo round, e poi, alla fine del 2005, Curtis Stout, per KO al termine della prima ripresa.
Nel Gennaio del 2006 sfida un grande combattente come Yushin Okami (al ROTR 8) e viene squalificato per un up kick irregolare: colpendo cioè il suo avversario con un calcio al volto mentre quest’ultimo teneva le ginocchia a terra.
Il 22 Aprile 2006, contro Tony Fryklund, disputa il suo ultimo match prima della chiamata in UFC, e si inventa una gomitata verticale dallo stand up, una sorta di montante eseguito con il gomito, un gesto tecnico che fino ad allora non si era mai visto. Un colpo che non richiede soltanto pulizia tecnica ma anche molta immaginazione, una mente rilassata, sgombra dai pensieri e sempre pronta ad accogliere un’ispirazione. Doti decisamente rare in un fighter.
Potremmo chiamarla “reverse elbow”, se proprio volessimo dargli una definizione tecnica.
Gli anni del dominio
Il 28 giugno 2006 è il giorno del suo esordio in UFC, che diventerà presto casa sua, anche se l’accoglienza che la Federazione gli riserva non è delle più accomodanti: il suo primo avversario, infatti, è Chris Leben: con un record di 15 vittorie, 1 sconfitta e una faccia da galera che tende ad incutere un certo timore.
Non sono, ovviamente, soltanto le apparenze a renderlo temibile. Leben è un fighter feroce ed estremamente aggressivo, il perfetto prototipo di brawler (letterlamente rissoso), termine che nelle MMA è usato per definire un picchiatore che fa dell’irruenza, più che della tecnica, la sua migliori qualità di striker. In realtà è il tipo cliente ideale per Silva, uno dei migliori counterstriker che siano mai entrati in un ottagono; ma Leben non lo sa: lo minaccia pesantemente prima dell’incontro e come consuetudine parte molto aggressivo cercando il mento di Silva, caricando molto i pugni, trovando soltanto una sequenza spaventosa di colpi d’incontro, che si conclude con un perfetto high kick sul quale “The Crippler” (lo storpiatore, il soprannome di Leben) va una prima volta knockdown.
Silva a quel punto si ferma per un attimo, quasi a chiedersi “ne vorrà ancora?”. La risposta è affermativa: Leben si rialza e Silva lo impatta con un montante, a cui fa seguire un suo marchio di fabbrica: il “thai clinch”, cioè una ginocchiata violentissima che manda definitivamente a dormire Leben.
Il “thai clinch”, o se preferite “double collar tie”, è una tecnica che – ovviamente – proviene dalla Muay Thai: con le mani si fa pressione sulla nuca (non sul collo) dell’avversario, che prendono così il controllo della testa spingendola verso il basso in modo da arrivare a colpirla con le ginocchiate. Nessuno riuscirà mai ad elevare questa tecnica ai livelli di efficienza di Silva.
L’ingresso di Anderson Silva in UFC è così eclatante che lo proietta direttamente al titolo. Il campione in carica è Rich Franklin, detto “Ace”, professore universitario di matematica, ma anche un fighter straordinario e molto completo. Ha un record di 21-1 e in carriera ha perso soltanto contro Lyoto Machida. Il match si disputa a Las Vegas il 14 Ottobre 2006 a UFC 64. Silva, dopo un minuto e mezzo di combattimento, colpisce con il suo micidiale “thai clinch” ed è incredibile vedere Franklin sballottato per l’ottagono che cerca invano di sottrarsi.
Le prime ginocchiate di Silva sono al corpo, poi addirittura al volto. Silva va altissimo con le ginocchia e Franklin è totalmente inerme. I colpi sono così violenti che quando Anderson molla per la seconda volta la presa Franklin barcolla stordito. High kick seguito da un’altra ginocchiata dal clinch, l’ennesima. Franklin crolla al tappeto.
Silva diventa così, a 31 anni, campione del mondo UFC. Tutto l’universo delle MMA è sotto shock.
A quel punto ad Anderson Silva non resta che difendere la propria cintura il più a lungo possibile. E vale la pena dire subito che Silva resterà campione fino al 2013 (dal 2007: sono 2457 giorni), vincendo i successivi 10 incontri: la striscia più lunga della storia dei campioni UFC.
Comincia incontrando Travis Lutter, un fighter statunitense esperto di brazilian jiu Jitsu che fa soffrire Silva più del previsto ma cede a un perfetto “triangle choke” di Silva che gli immobilizza la testa e chiude l’incontro con una serie di gomitate.
Poi si trova di fronte un grande ground fighter come Nate Marquardt, uno che di soprannome fa “The Great”. Si inizia subito con un montante di Silva sul quale Marquardt perde quasi l’equilibrio, poi una “flying knee”. Quando The Great riesce a trovare l’atterramento, Silva lo limita così tanto dalla sua full guard che l’arbitro si vede costretto a farli rialzare. Una volta in piedi, Silva lo manda knockdown con un missile destro. Poi, da posizione dominante, mette fine all’incontro.
Rich Franklin nel frattempo ha sconfitto Jason MacDonald e Yushin Okami, meritandosi così la rivincita contro Anderson Silva che dodici mesi prima gli aveva strappato la cintura. La prima ripresa è molto più equilibrata rispetto al loro primo incontro, lo sfidante trova anche il takedown (seppur poco fruttuoso). Franklin si fa rispettare nelle fasi di striking e quando arriva con una buona combinazione Silva capisce che è giunto il momento di cambiare ritmo: schivate di corpo con la solita guardia abbassata e poi una serie impressionante di colpi che mostrano la sua grande creatività (spinning back fist, flying knee, di nuovo il thai clinch con ginocchiata, high kick) che si chiude con un destro sulla sirena che manda Franklin knockdown. Inizia il secondo round ma Franklin sembra ancora stordito, Silva si fa predatore e con una lunghissima sequenza di pugni e ginocchiate lo manda KO.
Passano soltanto quattro mesi e stavolta a sfidare Anderson Silva a UFC 82 è un fighter fra i più temibili in circolazione: Dan Henderson. Stella del Pride (dove qualche mese più tardi infliggerà la prima sconfitta al leggendario, anche lui nella discussione intorno al GOAT, Fedor Emelianenko). Non è un fighter particolarmente complesso dal punto di vista tecnico: buon wrestler, sa difendersi bene sia in piedi che a terra: ma ha una bomba a mano al posto della mano destra, tanto che il suo micidiale “overhand” è stato ribattezzato H-Bomb.
Silva non ha mai affrontato un fighter di questo livello. Dopo un paio di minuti dall’inizio “Hendo” trova il takedown e riesce a tenere la posizione dominante fino alla fine della prima ripresa, portando a segno anche qualche buon colpo. A metà del secondo round, dopo una situazione di generale equilibrio, si apre uno scambio dove è Henderson a colpire per primo, ma è costretto a subire l’immediata reazione di Silva che prima mette il sinistro, poi due ginocchiate al volto pesantissime. Henderson accusa i colpi e va in panic mode: cerca disperatamente le gambe di Silva per portarlo a terra ma finisce per subire subito una gomitata pesante e finisce sottomesso a terra.
Nel giro di un mese l’UFC gli organizza un incontro nei pesi Massimi Leggeri contro James Irvin (un fighter con le mani molto pesanti), perchè Silva sembra aver già fatto piazza pulita dei contendenti più credibili nei pesi Medi. Forse è una mossa strategica della UFC, che vuole togliere spettatori ad Affliction (un’altra azienda di promozione dell’MMA, il cui principale azionista era Donald Trump), che la stessa notte ospita un match attesissimo come Fedor Emelianenko contro Tim Sylvia. L’incontro dura meno di un minuto: Anderson Silva intercetta un leg kick, fa partire un missile con il destro che manda a terra Irving, finito poi con una manciata di colpi dal ground and pound.
Dopo il canadese Patrick Cote (fermato alla terza ripresa per infortunio, nonostante si stesse comportando abbastanza bene) Silva si trova di fronte un Thales Leites timidissimo e apertamente rinunciatario, che non fa che scappare e buttarsi ripetutamente schiena a terra, sperando nella clemenza di Silva di accettare la sua full guard. Silva domina con la sua boxe, e la sua superiorità è talmente netta che finisce per impigrirlo. Il pubblico, forse annoiato, inizia a invocare il nome di George Saint-Pierre, scandendo le parole “GSP, GSP, GSP”, sempre per rimanere in quel discorso su chi debba essere considerato il GOAT delle MMA.
L’8 agosto del 2009 Silva se la deve vedere con Forrest Griffin in un match che non è titolato perché si disputa al limite delle 205 libbre (ossia nei massimi leggeri). È una delle prestazioni più incredibili di ogni epoca, perché il brasiliano gioca letteralmente con il suo sfidante: lo invita a colpire per poi eludere i colpi di Griffin con la guardia abbassata, i piedi immobili e i movimenti della schiena così fluidi da sembrare una danza.
La superiorità di Silva è imbarazzante e fa sembrare Griffin un dilettante. Ma sono momenti magici anche per la discrepanza irreale fra l’apparente leggerezza dei colpi di Silva e il loro impatto devastante. In un’intervista successiva all’incontro, Griffin dirà: «Provavo a colpirlo ma lui toglieva letteralmente la testa e mi guardava con degli occhi che sembravano dirmi: “Perché hai fatto una cosa così stupida?”»