
Il Giro di Lombardia è stato l’ultimo appuntamento importante dell’UCI World Tour e, come lo scorso anno, uno dei più spettacolari. La corsa è stata movimentata da subito, e con alcuni colpi di scena finali che hanno determinato, attraverso minimi dettagli, vincitori e sconfitti.
L’edizione di quest’anno si caratterizzava per una particolare durezza del percorso: 241 km da Como a Bergamo, con oltre 4500 metri di dislivello, e due salite inedite: Sant’Antonio Abbandonato e Miragolo San Salvatore. Un saliscendi continuo, senza un metro di pianura. Non è un caso che i bookmakers davano come principale favorito Esteban Chaves, un tipo di corridore difficilmente competitivo nelle classiche e più adatto ai grandi giri, ma che proprio per il percorso così duro in molti hanno immaginato protagonista.
In una delle rare occasioni in cui un corridore ha aderito alle aspettative iniziali, Esteban Chaves ha effettivamente vinto, battendo in volata uno strepitoso Diego Rosa: il primo extra-europeo a vincere in oltre cento anni di storia della corsa. Chaves è così riuscito a capitalizzare quasi all’ultima occasione utile una stagione corsa a grandissimi livelli ma in cui non aveva ancora ottenuto risultati all’altezza.
La prima fuga e la prima guerra
I corridori hanno subito dovuto affrontare una salita monumento del ciclismo italiano: il Ghisallo. Un tratto che viene di solito affrontato nella parte finale della corsa, dove questa viene decisa. Sono scattati quattro corridori: Chrel, Molard, Denfil e Damiano Caruso.
Tra i quattro però solo l’italiano decide di accelerare: Chrel, Molard e Denfil non riescono a tenere le sue ruote, e Damiano Caruso arriva così ad accumulare diversi minuti di vantaggio. Un coraggio che purtroppo, nel ciclismo contemporaneo, raramente paga in termini di risultati. Sono troppi i km da percorrere, e senza punti di appoggio, con un percorso così duro davanti, spingere da solo fino al traguardo è praticamente impossibile.
Come da pronostico la prima fuga viene progressivamente assorbita dal forcing del gruppo dei big, decisi a controllare la situazione ed evitare brutte sorprese. I primi attacchi del gruppo avvengono a circa 58 km dall’arrivo, nella parte finale della salita di Sant’Antonio Abbandonato. Il primo a muoversi – oltre a Gesink - non è un corridore qualsiasi, ma quello sui cui si concentrano le speranze dei francesi per ritornare dopo decenni a vincere un Tour de France: Romain Bardet. Il suo allungo permette di riprendere prima Caruso, e poi di formare un plotone zeppo di corridori di spessore: Chaves, Aru, Rosa, Brambilla, e Gesink. A pochi secondi di ritardo il, comunque temibile, duo composto da Uran e Valverde.
Il vero punto di svolta della corsa arriva a circa 30 km dal traguardo. Dopo aver affrontato le due inedite salite di Sant’Antonio Abbandonato e Miragolo San Salvatore, durante l’ascesa sul Selvino, penultimo strappo di giornata, Chaves rompe gli indugi.
La mezz’ora decisiva.
Senza compagni di squadra, con oltre 30 km ancora da percorrere, il colombiano è partito con grande decisione. Il suo allungo è diventato fondamentale per lo sviluppo tattico della corsa, perché l’azione ha finito per formare un gruppo di tre corridori – Chaves, Uran, e Bardet a cui si aggiunge poi Diego Rosa – che ha messo fuori gioco il resto del gruppo fino alla fine. Un’azione che, oltre a ridisegnare l’ordine di arrivo della corsa, ribalta anche i piani e le intenzioni iniziali dell’Astana.
Il capolavoro di Diego Rosa e il disastro Astana
L’Astana, insieme a Sky e Movistar, è una delle squadre più competitive del panorama ciclistico. Dotata di campioni veri – Nibali su tutti – e ottimi corridori adatti a diverse specialità – da Kangert in salita, a Guardini e Fulgsang per le volate – il team guidato da Vinokurov e Martinelli nel corso degli anni ha ottenuto diversi successi, conquistando tutti e tre i Grandi Giri, numerose tappe, due classiche monumento, e anche una medaglia d’oro alle Olimpiadi.
Questo non basta a chiarire alcuni dubbi che nel corso degli anni sono diventati sempre più pressanti: l’Astana è una squadra valida da un punto di vista tattico e nella letture della corse? È davvero in grado di guidare e valorizzare i propri (indiscutibili) talenti?
Considerando questa edizione del Giro di Lombardia, verrebbe da rispondere in modo negativo ad entrambe le domande. Non è solo una questione tattica: spesso l’Astana non sembra in grado di rischiare e scommettere sulla maggiore qualità dei propri corridori, puntando invece a scelte più conservative e rassicuranti. Quest’anno hanno deciso di puntare su Fabio Aru per vincere il Lombardia, nonostante l’ottima prestazione dello scorso anno di Diego Rosa, che grazie al suo aiuto ha lanciato verso la vittoria Vincenzo Nibali. Scelta rivelatasi disastrosa.
Diego Rosa ha corso un Lombardia straordinario. Nonostante la fatica accumulata per aiutare Fabio Aru, è riuscito a rendersi protagonista fino alla fine: giunto al traguardo secondo, beffato solo per pochi metri dallo sprint finale di Chaves. Se l’Astana non avesse deciso di affidargli i compiti del gregario, o quantomeno se avesse capito per tempo le difficoltà di Aru, oggi staremmo parlando di tutt’altra corsa. Probabilmente Rosa avrebbe conservato le energie necessarie a conquistare la sua prima classica.
L’attacco di Chaves a trenta km dal traguardo è stato decisivo da questo punto di vista perché ha spezzato il gruppo principale, mettendo in difficoltà diversi corridori tra cui proprio Aru. Solo Uran e Bardet sono riusciti a seguire l’azione del colombiano, mentre Aru, costretto alla resa, ha liberato in accordo con l’ammiraglia Diego Rosa dal ruolo di gregario. Ed è proprio a questo punto, quando il giovane piemontese è stato libero di poter spendere tutte le energie rimaste solo per sé stesso, che è iniziato il suo capolavoro.
Dopo aver tirato diverse volte il gruppo durante la corsa, dopo aver aiutato il suo capitano spendendo energie preziose in un percorso così duro, Rosa ha avuto lo stesso la forza e la determinazione per andare a riprendere da solo i tre battistrada rimasti: Chaves, Bardet e Uran. La straordinarietà dell’azione di Rosa non è tanto l’aver recuperato la testa della corsa – cosa già encomiabile di per sé– quanto l’essere riuscito a mantenere la forza, l’energia adatta a giocarsi la vittoria finale in uno sprint a tre.
Diego Rosa ha esercitato una sorta di controllo ipnotico sul proprio corpo dosando, con un grande senso dell’equilibrio, le proprie energie. Quando era il momento di attaccare, ha attaccato; quando era il momento di rimanere a ruota senza tirare è rimasto coperto. Una lucidità difficile da mantenere dopo 241 km in sella a una bicicletta. Dopo il traguardo Rosa ha dichiarato «Ci ho creduto davvero tanto e sapevo che Chaves era più forte nella volata secca, per cui non volevo farmi fregare da stupido. Sapevo di questa curva e ci ho provato, tenendo duro fino all’arrivo».
Compendio.
Anche nei metri finali è stato il primo a tirare la volata, mettendo fuori gioco Uran. Poi è sbucata quasi all’improvviso l’esile sagoma di Esteban Chaves, che ha cancellato una vittoria che avrebbe avuto dei contorni epici.
Lacrime e sorrisi
In pochi sport come nel ciclismo il confine che separa la vittoria dalla sconfitta è sottile. Questo soprattutto perché lo stress psico-fisico a cui sono sottoposti i corridori in alcune gare è difficile da immaginare altrove. E questo Giro di Lombardia ne è stato un caso paradigmatico.
Il sorriso di Chaves e le lacrime di Diego Rosa sono la rappresentazione perfetta di questa precarietà. Per quanto sarebbe ingiusto considerare Diego Rosa “lo sconfitto di giornata”, rimanere a mani vuote dopo una prestazione di quel tipo, condotta per 240 km, venendo battuto in volata a pochi metri dalla linea bianca del traguardo, anche un ottimo risultato come un secondo posto perde importanza.

Diego Rosa piegato dalle lacrime.
Esteban Chaves è il primo corridore colombiano della storia a vincere una classica monumento, dopo una stagione trionfante con due podi consecutivi nei Grandi Giri – il secondo posto al Giro d’Italia e il terzo alla Vuelta – il piccolo colombiano è riuscito ad alzare ulteriormente l’asticella delle proprie possibilità: non è solo un corridore competitivo nelle corse a tappe, ma anche un avversario da non sottovalutare nelle gare di un giorno.
Dopo la vittoria Chaves era giustamente entusiasta «È un sogno incredibile vincere qui, quando sono passato professionista vivevo qui a Bergamo e questo rende la vittoria di oggi ancora più speciale. Vincere una classica monumento, poi, è uno di quei sogni che si cullano fin da ragazzini». L’inno della Colombia, per la prima volta ha risuonato nel cielo nuvoloso del nord Italia, amplificato dal terzo posto di Rigoberto Uran. Bisognerà abituarsi.