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Immagine tratta da internet
Sport Andrea Minciaroni 6 ottobre 2015 9'

Il nuovo Sagan

Con la vittoria ai Mondiali di Richmond Peter Sagan è entrato in una nuova fase della sua carriera?

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Al termine della gara vinta domenica scorsa, a titolo mondiale acquisito, al culmine della propria carriera finora, quando è stato chiesto a Peter Sagan cosa lo avesse motivato a superare i propri limiti ha dichiarato: «Vedere quello che sta succedendo in Europa. Credo che il mondo deve cambiare e lo voglio dire». È una frase che può lasciare interdetti: Peter Sagan è pazzo o ci sta prendendo per il culo? Nell’impossibilità di rispondere fino in fondo a questa domanda risiede il fascino indiscutibile che lo slovacco esercita sul pubblico del ciclismo.

 

È difficile misurare i confini dell’autenticità del personaggio Sagan. La sua popolarità è davvero solo una questione mediatica? Bastano delle dichiarazioni sopra le righe, l’aver costruito un personaggio poco ortodosso per gli standard un po’ soporiferi dell’attuale ciclismo, per renderlo così apprezzato dal pubblico?

 

Sagan il fenomeno

Partiamo da una considerazione semplice: nessun corridore al mondo è in grado di guidare la bicicletta come lui. Non c’entrano i vezzi con cui può ricevere qualche applauso, perché rimane fondamentalmente un intrattenitore, ma c’entrano cose più essenziali. Nessun corridore ha un controllo così efficace della bicicletta: una capacità così sviluppata di evitare gli ostacoli senza perdere velocità.

 

Un proiettile.

 

Un talento e una tecnica in parte probabilmente mutuati dalla Mountain Bike, con cui ha iniziato ad appena nove anni. In questa specialità si aggiudica tutti i campionati di categoria juniores: nazionale, europeo, mondiale. Un anno prima, nel 2007, conquista invece la medaglia di bronzo agli europei di ciclocross di Hittnau, in Svizzera. Un corridore con un passato da ciclocrossista, mountainbiker, ma anche come pistard, ha un controllo del mezzo superiore rispetto a chi si è formato unicamente su strada.

 

La postura, la dimestichezza, e l’agilità di controllo del mezzo, rendono i corridori con un background di questo tipo più abili a sfruttare i momenti imprevedibili della corsa, a ridurre i margini di errore e volgerli a proprio favore, sia in un supporto a sé stessi che alla squadra. Un esempio è il supporto da gregario fornito ad Alberto Contador nell’ultimo Tour de France.

 

Eppure il controllo della bicicletta spiega solo in parte l’eccezionalità di Peter Sagan. Non sono solo le abilità tecniche a determinare la sua unicità, ma anche una dimensione atletica non così conosciuta. Sagan possiede precise caratteristiche fisiologiche e biomeccaniche che lo rendono una macchina perfetta. Non a caso in molti lo hanno paragonato ad Eddy Merckx, paragone da lui stesso smentito con un calembour: «Non sono il secondo Eddy Merckx ma il primo Peter Sagan».

 

I test medici di idoneità sportiva del 2013 hanno mostrato una serie di dati fisici interessanti riguardo Sagan. Le sue funzioni respiratorie, ad esempio, superano abbondantemente quelle dei suoi colleghi. Durante il test di spirometria, che valuta le capacità di resistenza dei polmoni, è stata misurata la sua capacità di espirazione dell’aria: 7,23 litri di aria contro i 5,3 dei suoi colleghi. Numeri che lo avvicinano solamente ad atleti olimpionici di canottaggio e nuoto, e questo è anche uno dei motivi che spiega perché quando scatta va in apnea più tardi di tutti.

 

 

Non solo la resistenza, ma anche la sua forza rappresenta un’anomalia. Il cuore di Sagan batte a 32 colpi al minuto, e l’elasticità del suo muscolo cardiaco arriva a toccare 185 battiti nel pieno dello sforzo, per poi precipitare a 80 in due minuti e a 50 a cinque secondi dalla fine dello sforzo. In sintesi una capacità di recupero fuori dal comune. Anche la sua muscolatura lo avvicina di più a un atleta di triathlon o a uno sciatore di fondo che a un ciclista vero e proprio.

 

Sagan ha una distribuzione della massa muscolare sulla parte più alta del corpo—busto, braccia e collo—che gli permette di raggiungere potenze elevate in tempi brevi e di sostenerle a lungo. Nei test in bicicletta è stato misurato che lo slovacco è in grado di passare da 0 a 1580 watt in cinque secondi, per poi rallentare e passare a 825 watt per un minuto intero, nonostante la produzione di acido lattico.

 

Paragonando questi numeri a test effettuati su altri corridori, è come se Sagan riuscisse a raggiungere una potenza massima in tempi brevi al pari di un Mark Cavendish, per poi mantenerla più a lungo come fa un Fabian Cancellara. In sintesi un ibrido tra uno sprinter e un passista di livello internazionale. L’unica cosa che, a livello biomeccanico, rende irraggiungibile Eddy Merckx è il peso: Sagan è alto un metro e 82 per 77 kg, una struttura pesante, che tende a limitarne le qualità di scalatore e che quindi lo rende meno competitivo nelle grandi corse a tappe.

 

Per il resto Sagan è un corridore completo: forte come velocista, intelligente come finisseur, abile come passista, e discreto in salita. Una completezza che gli permette di essere competitivo lungo tutto l’arco della stagione, come dimostrano i numeri. Quest’anno ha conquistato la classifica a punti di tre corse a tappe del circuito UCI World Tour: la Tirreno-Adriatico (11/17 marzo), il Tour de Suisse (13/21 giugno) e il Tour de France (4-26 luglio).

 

Nel mezzo di queste tre competizioni, ha conquistato sette vittorie tra cui il Mondiale e un numero di piazzamenti incredibile: quindici volte secondo, e cinque volte terzo. Considerando che molti di questi piazzamenti possono essere considerate vittorie sfiorate, spesso durante una volata finale dove a determinare la differenza tra primo e secondo sono millesimi di secondi, adesso potremmo parlare di venticinque vittorie comprese in un periodo che va da marzo fino a settembre. Numeri notevoli, soprattutto nel ciclismo attuale, dove la programmazione delle squadre privilegia la preparazione specifica su pochi appuntamenti.

 

Pochi corridori oggi possono permettersi di essere competitivi per tutta la stagione, e questo a causa di una serie di fattori. Dalla lotta al doping (le grandi prestazioni concentrate su pochi appuntamenti sono più credibili) all’evoluzione generale della disciplina, dove spesso i corridori rimangono vittime delle logiche degli sponsor, che preferiscono puntare tutto su singoli appuntamenti, ovviamente quelli più importanti in termini di visibilità e di incremento dei profitti.

 

Sagan l’indisponente

I post-vittoria sono i momenti preferiti di Peter Sagan per dire cose Peter Sagan. Si va dal fatalismo di «vivo ogni mio sogno come se fosse l’ultimo» al «era tanto che volevo esultare con un’impennata”, detto con tono serissimo, passando per i gorgoglii motivazionali Wolf of Wall Street.

 

La NBC ha sottolineato come questo atteggiamento mentale, più che una posa, sia un modo di essere che Sagan si porta dietro anche dentro le proprie gare: «Sagan riesce a rimanere estremamente tranquillo in situazioni che manderebbero nel panico chiunque». Il protagonismo di Sagan lo rende naturalmente il personaggio mediaticamente più appetibile. Eppure quasi tutti considerano assolutamente spontaneo l’atteggiamento dello slovacco.

 

 

Peter Sagan restituisce agli occhi del pubblico l’immagine di una persona poco costruita, che dice, pensa, e fa quello che gli viene in mente senza pensare troppo alle conseguenze. È come se la sua personalità, il suo modo di essere, riuscissero a trascendere la costruzione mediatica di cui si circonda e di cui si nutre restituendo l’immagine di una persona naturalmente portata a entrare in contatto con l’emotività dei tifosi.

 

Una capacità empatica, una persuasione inconscia che prescinde dalle sue qualità di atleta. Molto probabilmente Sagan è semplicemente così come appare in televisione, nel bene e nel male. Un persona priva di filtri, e questo è anche uno dei motivi per cui molti corridori non lo sopportano.

 

È come se Sagan—probabilmente senza rendersene conto—volesse continuamente ribadire un concetto: voi faticate, io mi diverto. In uno sport così duro come il ciclismo, vedere un corridore con il sorriso sempre stampato sulla faccia, che all’apparenza sembra non conoscere la sofferenza, ma che anzi, si diverte, con una certa sfrontatezza, a ribadire di essere il più forte, può attirare antipatie.

 

Matthew Beaudin ha dichiarato: «Sagan ha tendenze da cannibale quando è in bici, ma poi sorride come se fosse tutto uno scherzo, un gioco che sta giocando con tutti gli altri». Non è semplice saper mantenere un equilibrio nel quale dominare gli avversari senza che nessuno riempia di spilli una bambola voodoo con la tua faccia. Peter Sagan attira su di sé antipatie, soprattutto quando la sua esuberanza trascende verso comportamenti stupidi e superficiali.

 

Chi ha avuto modo di seguirlo fin dall’inizio della sua carriera da professionista è consapevole degli innumerevoli comportamenti stupidi e irritanti di cui si è reso protagonista. Nel 2013, sul podio del Giro delle Fiandre, proprio in occasione della premiazione di Fabian Cancellara, al consueto rito del bacio delle miss al vincitore, Sagan, piazzato secondo sul podio, si è messo a palpare il sedere di una delle due miss.

 

Difficile non avere voglia di prenderlo a pugni.

 

Naturalmente il video ha fatto il giro del mondo, attirando ovvie critiche e costringendo Sagan a postare un messaggio di scuse. Fino alla vittoria di Richmond questo tipo di situazioni finivano per sminuire le sue qualità di corridore, e a renderlo parzialmente incompiuto. Il Mondiale rappresenta però forse l’atteso punto di svolta nella carriera di Peter Sagan.

 

La consacrazione

La vittoria dei Mondiali di Richmond potrebbero rappresentare l’ingresso di Peter Sagan in una dimensione di definitiva consacrazione. Soprattutto perché il trionfo assume i contorni di un’impresa tipicamente Peter Sagan, non perfettamente coincidente con il copione generalmente offerto dal ciclismo attuale.

 

Peter Sagan ha vinto il Mondiale praticamente da solo, senza il supporto della squadra, un elemento fondamentale nel tatticismo esasperante del ciclismo di oggi. Il percorso di questa edizione misurava ben 259,2 km, divisi in un circuito cittadino di 16,2 km da ripetere 16 volte, con tre strappi finali, due sul pavé e uno su asfalto posti negli ultimi 5 km. In molti hanno accostato questo tipo di percorso a una classica, talvolta identificandola con la Milano-Sanremo, pronosticando le sorti della corsa proprio in quegli ultimi 5 km.

 

Un po’ come accade appunto durante la Milano-Sanremo: una corsa lunga, di attesa, dove per vedere qualche azione che rompa gli indugi bisogna quasi sempre aspettare lo strappo finale del Poggio. Ed è andata esattamente così anche a Richmond. Solamente negli ultimi 4 km, durante gli strappi finali, gli scatti di Stybar e Degenkolb hanno dato una scossa decisa alla corsa. Ma è nella seconda parte che si è deciso il Mondiale: negli ultimi 3 km lo scatto di Peter Sagan, abile nel rimanere coperto durante tutti i 259,2 km, lo ha lanciato verso la vittoria. Un’azione impressionante, proseguita anche durante la discesa, dove Greg Van Avermaet è stato l’unico a restargli dietro.

 

Quante volte viene pronunciata la parola “consécration” dal telecronista francese?

 

Nessuno ha aiutato Peter Sagan, ha fatto tutto da solo. Se togliamo il supporto—tra l’altro poco incisivo, considerando le qualità di soli due compagni che gli sono rimasti accanto nel finale, mentre gli altri capitani avevano a disposizione molti più gregari—possiamo dire che Sagan ha compiuto sulle strade di Richmond un vero e proprio capolavoro.

 

È stato tatticamente perfetto nel rimanere coperto durante tutto lo svolgimento della corsa, e ha saputo sfruttare al meglio il percorso nel finale. Uno scatto deciso che ha fatto il vuoto, e una grande capacità di aumentare il proprio vantaggio in discesa. Negli ultimi metri ha anche perso velocità per colpa dello sgancio del pedale destro, ma alla fine il risultato è stato la maglia iridata come primo corridore della storia della Slovacchia a vincere i Mondiali di ciclismo su strada.

 

Le prospettive

Peter Sagan è il prototipo ideale di corridore da classiche eppure non ne ha mai vinta una. Per essere corretti fino in fondo, non ha mai vinto un classica monumento, quelle che contano veramente. Ci è arrivato vicinissimo per due volte nello stesso anno, con i due secondi posti alla Milano-Sanremo e al Giro delle Fiandre del 2013. Questo ha contribuito a una certa immagine di “eterno secondo”, che ha saputo tuttavia scrollarsi di dosso con la vittoria al Mondiale.

 

Considerando le sue potenzialità, resta comunque ancora un senso di incompiutezza. Cosa manca, in sostanza, a Peter Sagan per diventare uno dei più forti corridori della storia del ciclismo?

 

Nonostante le capacità di rendersi protagonista in qualsiasi frangente di corsa, non possono passare inosservati tutti i piazzamenti di quest’anno. Secondi e terzi posti che potevano trasformarsi in vittorie. A Sagan forse manca ancora una reale capacità di lettura della corsa, quello che viene definito come il “saper cogliere l’attimo”, capire cioè il momento in cui è opportuno piazzare l’affondo sulla gara. Una dote imprescindibile nel ciclismo di oggi, dove le vittorie si costruiscono quasi sempre negli ultimi 3-4 km.

 

La vittoria ai Mondiali di Richmond è l’esempio di cosa Sagan dovrebbe essere capace di fare più spesso. Lo slovacco ha saputo rimanere coperto durante l’intera fase della corsa per poi sviluppare negli ultimi 3 km una potenza che lo ha lanciato verso la vittoria, sfruttando anche le abilità da discesista per incrementare ulteriormente il vantaggio.

 

Se fino a questo momento Peter Sagan aveva fatto di tutto per rimanere invischiato nella figura dell’incompiuto, la vittoria del Mondiale potrebbe rappresentare la prima tappa di un percorso di crescita di cui ancora non si intravedono i confini.

 

Tre possibili scenari

Scenario 1 (non plausibile): Sagan continua a essere un cazzone, ma la maglia iridata gli dona maggiore consapevolezza propri mezzi. In sintesi comincia a vincere, trasformando tutti i piazzamenti della stagione 2015 in vittorie e conquista almeno cinque classiche, di cui tre monumento: tipo una Milano-Sanremo, una Parigi-Roubaix e un Liegi-Bastogne-Liegi.

 

Scenario 2 (plausibile): Anche in questo caso Sagan continua a essere Sagan, capisce però che è arrivato l’anno buono e che può togliersi la soddisfazione di vincere vestendo la maglia di campione del mondo. Continua a segnare i record nelle classifiche a punti del Tour, riconquistando senza fatica la maglia verde con l’aggiunta di alcune vittorie di tappa. Riesce infine a vincere quello che gli manca di più, ovvero una classica monumento, probabilmente la Milano-Sanremo.

 

Scenario 3 (impossibile): Sagan non ride più, né in pubblico né nella la sua vita privata. È diventato una macchina da guerra: conquista tutte le classifiche a punti delle corse a tappe a cui prende parte, e in cinque anni vince tre Parigi Roubaix, quattro Milano-Sanremo, cinque Liegi-Bastogne-Liegi, tre Giri delle Fiandre, quattro Lombardia e tutte le classiche minori che restano. I piazzamenti non esistono più: o si vince o si vince. Nel frattempo, dopo aver vinto tre Mondiali di fila, prende ulteriormente consapevolezza della sua forza e si trasforma anche in un corridore da grandi corse a tappe. Dal 2016 al 2021 vince tre Tour de France, due Giri d’Italia, e una Vuelta. Nel 2019 realizza la tripletta nello stesso anno di Tour de France, Giro d’Italia, e Vuelta. A Bratislava tirano su una statua di dieci metri che lo raffigura sorridente, con l’aria di chi ci ha preso tutti in giro.

 
 

Tags : chris froomeciclismofabian cancellaramark cavendishpeter sagan

Andrea Minciaroni vive a Roma, dove gira con vecchie biciclette usate sfidando le buche e il famoso traffico della capitale.

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