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Federico Principi
Il nuovo Juan Martin Del Potro
14 ago 2016
14 ago 2016
Il tennis ha definitivamente ritrovato un campione?
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Federico Principi
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Lo scorso febbraio, all’alba della sua quinta carriera, dopo quattro operazioni, Juan Martin Del Potro era stato accolto da un misto di scetticismo e di entusiasmo: aveva impressionato in positivo per la violenza e la sicurezza del suo dritto; spiccava, però, anche l’incessante difficoltà di dare velocità al rovescio, per colpa dei dolori al polso sinistro. Per questo Del Potro ha dovuto modificare il suo colpo, diventando un giocatore differente. Con la finale delle Olimpiadi di Rio ancora da giocare viene da pensare che Del Potro stia prendendo sempre più confidenza in questa nuova dimensione tecnica, e che il tennis stia finalmente ritrovando uno dei suoi giocatori migliori e dei suoi personaggi più amati.

 

Quattro anni fa, in una vita precedente, cioè, Del Potro vinceva il bronzo a Londra battendo Djokovic nella finale per il gradino più basso del podio. È riuscito a migliorarsi a Rio de Janeiro, su una superficie che, in linea teorica, non avrebbe dovuto favorirlo troppo. Come accennato, Del Potro ha modificato radicalmente il proprio rovescio quest’anno: adesso non flette il polso sinistro verso il basso (come

da Luca Baldissera) e di conseguenza la testa della racchetta non scende più sotto la palla. In questo modo Del Potro produce colpi molto piatti, che necessitano quasi solo di appoggio sulla velocità della palla avversaria. Con un movimento del genere è quasi impossibilitato a caricare di spin, e il proprio rovescio dipende completamente dalla velocità della palla che gli arriva.

 



 

Da quando è tornato a giocare Del Porto ha fatto molta fatica sulla terra, dove è più difficile sia appoggiarsi sulla palla, sia effettuare un back efficace. Sull’erba, invece, ha potuto sfruttare il suo rovescio di puro impatto approfittando della velocità della superficie, anche per far schizzare il proprio back. Ha battuto Dimitrov e Simon a Stoccarda e Wawrinka a Wimbledon, cedendo solo di fronte a un Pouille in stato di grazia.

 



 

Nonostante la superficie delle Olimpiadi di Rio (un cemento ruvido tipico degli anni Duemila che rallenta e fa saltare in alto la palla, diverso da un cemento liscio e rapido) sia stata descritta come “estremamente lenta”, Del Potro ha battuto al primo turno Djokovic, teoricamente strafavorito e che aveva preparato bene tatticamente la partita. Djokovic insisteva sulla diagonale sinistra (rovescio contro rovescio) ma ha anche studiato attentamente i tagli da dare alla palla per rendere il più debole possibile il rovescio di Del Potro.

 

Il serbo si spostava spesso sul dritto appena ne aveva l’occasione, sapendo che poteva lasciare il rovescio lungolinea libero all’argentino, così da caricare la palla di più top spin rispetto a quanto avrebbe potuto fare con il proprio rovescio, che pure non colpiva pieno e piatto, ma sempre in diagonale con rotazione, oppure in back. Il tutto, per sporcare più possibile la palla al rovescio di Del Potro, rendendolo inefficace perché incapace di spingerlo. Con questa strategia un po’ cinica, il serbo mirava a dominare lo scambio.

 

Un esempio: nell’azione qui sotto Djokovic gioca un rovescio molto arrotato e profondo; un dritto lento ma molto arrotato; un back di rovescio volutamente stretto e corto su una palla in cui poteva tranquillamente giocare un normale rovescio a due mani. Del Potro non spinge mai e poi è chiamato in una situazione scomoda, decide di seguire la palla a rete ma viene passato piuttosto facilmente.

 



 

Questa strategia mostra da un lato l’ottima conoscenza tecnica e tattica di Djokovic, ma dall’altro un'eccessiva passività che ha finito per rallentare eccessivamente la spinta dei colpi del serbo. La passività di Djokovic ha permesso anche a Del Potro di spostarsi velocemente sul dritto e fare male con il suo colpo migliore, per di più in giornata di grazia, e anche di tirare due passanti decisivi nel tie-break del secondo set dopo due attacchi trattenuti del Numero 1.

 

Qualche leggero tentennamento di Djokovic nei tie-break ha fatto la differenza: il serbo ha probabilmente sentito la pressione della medaglia d’oro mai vinta e di un avversario molto competitivo già al primo turno.

 



 

Paradossalmente, Del Potro ha fatto più fatica a superare nei turni successivi Joao Sousa e, soprattutto, l’insospettabile giapponese Taro Daniel, a testimonianza che in questa sua quinta carriera può ancora essere letale come ai tempi d’oro, ma rimane inevitabilmente meno solido. Anche nei quarti di finale contro Roberto Bautista Agut, Del Potro ha preso immediatamente due break di vantaggio ma ha poi sofferto sia nel primo che nel secondo set, aggiudicandoseli per 7-5 7-6.

 



 

In semifinale ha trovato Nadal, al rientro dopo il ritiro shock durante il Roland Garros e fresco di medaglia d’oro nel doppio maschile con Marc Lopez. Dopo aver faticato contro due mancini (Pella e Zeballos) molto più modesti di lui in una superficie molto simile a Rio come quella di Miami, ci si aspettava che Nadal dominasse sul lato del rovescio dell'argentino, favorito dal suo dritto mancino.

 

In molti dei loro confronti diretti, Del Potro sembrava uno dei pochi in grado di impattare bene in avanti con il rovescio in diagonale i dritti sempre molto carichi di Nadal. A Rio, nonostante la nuova tecnica di rovescio, è sembrato a proprio agio sulla diagonale sinistra proprio come in passato. Arrivati al tie-break decisivo, quando i punti scottavano di più, Nadal non se l’è sentita di insistere su quel lato per più di due colpi consecutivi, cercando soluzioni alternative come il dritto lungolinea o il rovescio in diagonale, stretto sulla parte destra di campo di Del Potro che rimane sempre un po' più scoperta.

 

Qui sotto si vede come Nadal si sposti molto a sinistra per servire sul rovescio di Del Potro, ma poi giochi subito un dritto lungolinea. Per venire fuori da questo scambio non prende in mano la diagonale sinistra, ma stringe sempre di più il rovescio incrociato fino a tirarlo vincente.

 



 

Ovviamente, Nadal è rimasto negativamente sorpreso e questo gli ha fatto perdere sempre più fiducia: lo spagnolo è celebre per la sua tendenza ad alzare il livello nei punti importanti e l'errore di dritto a campo aperto sul secondo match point per Del Potro è più che sintomatico.

 



 



 

Dopo aver preso parte a quello che molti hanno definito “il match dell’anno" (con break e contro-break nelle fasi finali del terzo set) Del Potro giocherà stasera una difficile finale per l'oro contro Andy Murray e sarà probabilmente provato a livello psico-fisico dopo la battaglia di ieri. Oltretutto, si troverà di fronte un giocatore che sul cemento lento si trova perfettamente a proprio agio e ha appena vinto Wimbledon, rafforzando il proprio status di Numero 2.

 

La retorica su Del Potro si è sviluppata in abbondanza e questo ha contribuito a generare giudizi frettolosi e spesso estremi. All’epoca della sua vittoria Slam allo US Open del 2009 Del Potro era visto come

, mentre recentemente qualcuno ha scritto che

. Sembra oggettivamente difficile pensare che, senza la fragilità dei suoi polsi, Del Potro non avrebbe avuto una carriera da top 5 per 6-7 anni, e riguardando

del suo periodo migliore viene da chiedersi se quello in dote all’argentino non fosse a tutti gli effetti un talento da campione.

 

La medaglia di Rio potrebbe segnare l’inizio dell’ennesima carriera di Del Potro. La strada per recuperare la dimensione del giocatore

(uscendo da quella di giocatore

che lo fa sentire in parte inadeguato ad altissimi livelli nei momenti di pressione) è in discesa dopo questi pesanti risultati. Del Potro sarà forse un giocatore meno solido del passato ma sembra tornato già al livello dei top 10, nonostante una classifica bugiarda che lo vede ampiamente fuori dalla top 100. Se Del Potro saprà trarre ogni tipo di giusta indicazione dal torneo olimpico, qualunque sia il colore della medaglia, il tennis potrà a tutti gli effetti sperare di aver ritrovato un campione.

 

 

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