Perché sono partito
L'Italia è un paese di santi poeti e agenti FIFA. Siamo più di un migliaio (Germania e Inghilterra sommate non ci superano, la Francia arriva a 150 scarsi), anche se di conosciuti ce ne saranno al massimo una ventina. Il mercato è saturo e durante i primi anni di esercizio è necessario cercare di crescere investendo su prospetti giovani. Purtroppo i calciatori italiani sono dei forzati “late bloomers”: tolti quelli con maggior hype, per gli altri il recinto del professionismo tende ad aprirsi con molte difficoltà e dopo parecchio tempo. Oltretutto con la nascita e l'evoluzione della Lega Pro si sono persi per strada una trentina di club e almeno 600 giocatori. Al contempo, però, è aumentata di importanza la Serie D, ma qui il discorso diventerebbe troppo lungo. Ai fini del mio discorso basta sapere che la statistica “uno su mille ce la fa”, a diventare calciatore professionista, nei prossimi anni è destinata ad aumentare.
A spingermi in Giamaica è stato soprattutto il bisogno di aumentare la mia rete di relazioni. Gavetta, pazienza e relazioni sono i tre ingredienti fondamentali per fare del titolo di agente FIFA un lavoro vero e proprio (e tanta fortuna, quella non guasta mai). Quindi ho deciso di investire su me stesso e andare in Giamaica a vedere gli ultimi dieci giorni del campionato CONCACAF Under-20. Ho scelto questo torneo e non il “vero” Sub-20 che si stava giocando in Uruguay per due motivi principali: speravo di essere l'unico agente europeo o quasi (speranza che si è avverata) e avevo un paio di amici lì, tra scout e preparatori al seguito delle squadre. E poi credo parecchio nella crescita del “gioco” in Centro America, soprattutto in Nazioni come Panamá, Costa Rica e Honduras. I costaricensi non si sono qualificati, ma nel segno di Pinto penso che sia Costa Rica che Honduras possano sfornare un'ulteriore generazione di talenti, e nelle due settimane successive al torneo farò la spola tra San Pedro Sula e Tegucigalpa e tra San José, Alajuela e Heredia. Per ora mi fermo a Montego Bay e quelli che seguono sono gli appunti dei miei giorni giamaicani.
Il primo giorno
Parto da Malpensa, breve scalo a Francoforte poi arrivo a Philadelphia. Qui tra burocrazia varia e nuovo check-in rischio di perdere la coincidenza ma con uno sprint finale sono sul volo diretto a Montego Bay. Avendo dormito nelle 16 ore precedenti, accendo l'iPad e recupero Honduras - El Salvador giocata due giorni prima. Finisce il primo tempo, tolgo le cuffie e la mia vicina mi chiede di dove sono. Quando le dico che sono italiano, comincia a parlare a macchinetta di un suo ex compagno di college, Amedeo, chiedendomi cosa ne pensassi ora che è professionista. La fermo: Amedeo chi? «Amedeo Della Valle, eravamo ad Ohio State assieme, ora gioca in Italia... scusa ma non lavori in ambito sportivo?». Cerco di spiegarle che non ho una formazione a 360° e mi limito alle cose calcistiche, però non mi sembra cogliere la differenza e decido di cambiare discorso (Amedeo Della Valle, controllo dopo, è un cestista del '93 che adesso dovrebbe giocare nella Reggiana). Le chiedo se saranno ferie o lavoro, e mi racconta che è la terza volta che viene in Giamaica, le altre due era stata a Negril durante gli spring break... beati americani, penso io. Rimetto le cuffie e guardo il secondo tempo della partita.
Il campionato CONCACAF Under-20 è strutturato in due gironi da 6 squadre ciascuno, una settimana si gioca a Kingston, poi a Montego Bay. Le prime classificate vanno in finale, le seconde e le terze si giocano i due posti rimanenti per il Mondiale Under-20 (giugno 2015, Nuova Zelanda). Di solito preferisco vedere la prima settimana, ma a Montego Bay c'è un mare cristallino e al torneo poca concorrenza professionale.
Esco dall'albergo e nelle tre ore successive compro un pacchetto di sigarette, un accendino, una bottiglietta d'acqua, noleggio un ombrellone con sdraio e prendo il taxi per lo stadio a 5 minuti di distanza—a proposito, in Giamaica si guida a destra. In totale ho speso 100 e passa dollari; faccio due rapidi calcoli e convengo che forse è il caso di trovare una soluzione low cost. Allo stadio incontro il mio futuro angelo custode. Un amico honduregno mi presenta Eric, scout giamaicano, parliamo un’oretta del calcio locale, gli racconto dei miei primi passi da straniero e lui, ridendo alla creola, si offre di farmi da driver per i giorni seguenti. Ci stringiamo la mano schioccando il pollice (qui si usa così): Eric diventa il mio Mr. Wolf personale, in cambio di benzina, sigarette e vitto.
Nel frattempo è iniziata Trinidad - Panamá. I caraibici si stanno giocando le ultime possibilità di arrivare terzi nel girone, con un pareggio possono rientrare in corsa. Sono in dieci dal ventesimo del primo tempo e hanno tirato su un fortino epico. Al 70’ seconda espulsione, passano alla modalità muraglia cinese. Panamá fa tanto possesso ma non riesce a sbloccarla. Minuto 78: dopo un’azione prolungata la palla arriva sull'out di destra e un banalissimo cross viene schiacciato in porta dal... portiere di Trinidad. Primo dettaglio: è l'unico bianco in campo per i caraibici. Secondo dettaglio: nessuno dei compagni si avvicina a confortarlo, anzi. Nei quindici minuti successivi, Johan Welch vaga per l'area agitando i guantoni in un autodafé surreale. Nelle due successive partite Guatemala e USA battono facilmente Aruba e Giamaica.
Povero Johan.
Let's go Cuba
Scopro che con Eric il biglietto non serve più e posso anche fumare senza dover uscire dai tornelli. Mi tocca offrire cinque birre (Red Stripe) ad altrettanti steward, mi sembra un patto equo e acconsento. Nelle prime due partite Messico e Honduras vincono senza difficoltà contro El Salvador e Haiti. L'ultimo match è Canada - Cuba.
Nella mattinata avevo letto un’interessante intervista a Joey Saputo, nuovo presidente del Bologna, sulla Gazzetta. Recupero le distinte e comincio a scorrere la rosa canadese: solo due giocatori arrivano dai Montreal Impact. Stesso contributo per il Toronto FC che ha da poco firmato il nostro Giovinco con un contratto arabeggiante. Inizia la partita e il tifo è parecchio acceso. Le mie preferenze cadono presto su Cuba per via di una famiglia canuck che ogni cinque minuti fa partire un coro: «Let's go Canada/Let's go». Dopo quindici minuti di quella litania monotona avrei tifato per qualsiasi squadra tranne per il Canada.
Per fortuna i cubani non mi deludono e a fine primo tempo conducono due a zero. Cuba mi incuriosisce, i giocatori arrivano tutti da squadre locali (Villa Clara, Cienfuegos e Habana in ordine qualitativo) e giocano un 4-4-2 che odora molto di calcio sovietico: le distanze sono quasi sempre perfette e c'è molta rigidità nei movimenti dei giocatori. Questo schema resiste fino al goal canadese, poi esce fuori l'anima latina e negli ultimi 15 minuti conto almeno una decina di infortuni tattici. La partita finisce 2-1 e il Canada fa harakiri (Cuba era stata sconfitta 3-0 dall'Honduras e due giorni dopo 2-0 da El Salvador).
Almeno una decina i giocatori cubani calzavano delle americanissime Nike. Cuba era anche l’unica Nazionale senza nessun famigliare al seguito.
Il mio amico Eric #1
Giorno di riposo. Con Eric decidiamo di spostarci a Kingston per toccare con mano il calcio giamaicano. Ero molto preoccupato perché avevo letto che il sistema stradale non era propriamente all'avanguardia ma la prima ora fila via liscia.
A St. Ann's Bay c’è un raccordo che dovrebbe collegarsi all'autostrada per Kingston. Uso il condizionale perché la carreggiata è molto stretta e di asfalto ne è rimasto ben poco. Dopo mezz'ora la strada si allarga e imbocchiamo l’autostrada. Finisce il primo tratto e prendiamo una strada che costeggia un fiume avvolto in una foresta equatoriale. Ad un certo punto Eric inchioda rischiando un tamponamento di massa: siamo arrivati alle Pumpum Rock.
Patrimonio culturale del popolo giamaicano.
Rientriamo in autostrada e dopo circa tre ore e mezza arriviamo a Spanish Town, ex capitale che abbraccia la parte nord-ovest di Kingston. Ci fermiamo a vedere la prima amichevole: il livello è bassino ma ci sono quattro giovani con potenziale. Nella seconda partita si scontrano due squadre di seconda divisione e anche qui lo spartito è lo stesso: tanta intensità, tanta quantità, una costante difficoltà a sviluppare un sistema di gioco riconoscibile e due/tre prospetti interessanti. Prendo appunti, la mattina seguente avrò un appuntamento con alcuni presidenti delle squadre che giocano tra Kingston e dintorni.
Lo stato del calcio giamaicano
La riunione viene introdotta da un punto generale sullo stato del calcio in Giamaica. Ci sono tre divisioni: in ordine di importanza Premiership, Championship e Major League, che in totale comprendono una settantina di squadre. Al giamaicano medio il calcio non piace, gli spettatori scarseggiano e gli sponsor li seguono a ruota. I salari sono molto bassi, gli allenatori quasi tutti ex glorie locali e i giovani promettenti non mantengono le aspettative perché bloccati dal contesto tecnico e da una politicizzazione eccessiva a livello federale.
Il ranking FIFA è in picchiata libera (79° posto al momento) e i trasferimenti sono quasi ed esclusivamente verso gli Stati Uniti (MLS se va bene, spesso NASL o College, mentre anni fa, quando il ranking era migliore, i giocatori giamaicani finivano anche nella Premier League inglese). Le squadre di seconda e terza divisione hanno un budget inferiore ad una nostra Prima categoria e i giocatori sono pagati con l'accesso a scuole private e materiale tecnico. Il quadro è desolante soprattutto perché il materiale umano ci sarebbe.
In realtà sono più interessati al discorso trasferimenti, ma non potendo promettere granché, rimango un po' sul vago e mi limito a spiegargli i meccanismi della training compensation e l'importanza del passaporto sportivo (soprattutto il secondo, molto sottovalutato, è fondamentale per determinare le eventuali quote del primo).
Finisce il meeting, grosse strette di mano, lascio i miei contatti e mi appunto i nomi dei ragazzi visti il giorno precedente.
Ripartiamo da Kingston per le tre ed arriviamo a Montego Bay in tempo per il big match serale: Giamaica - Aruba. Una partita manifesto dei “reggae boyz” attuali: la Nazionale si è radunata il 30 dicembre, ha fatto la preparazione impostando il lavoro tattico su un 4-3-3 molto dinamico. Peccato che alla prima partita ufficiale si sia passati ad un 3-5-2 totalmente anarchico a cui i giocatori non si sono mai riusciti ad adattare durante il torneo. La partita finisce 0-0.
In compenso mi sono innamorato della Nazionale avversaria. Aruba era totalmente fuori dai miei radar fino a tre giorni prima: scopro che si tratta di un'isola caraibica fantastica, posizionata a nord del Venezuela, a ovest dell'isola di Curaçao e a poche centinaia di km da Maracaibo.
Ex colonia spagnola, poi passata all’Olanda diventando prima parte delle Antille Olandesi poi del Regno dei Paesi Bassi. Il capo di stato è Guglielmo Alessandro, l'erede al trono la principessa Caterina Amalia (anno di nascita 2003). Aruba conta circa centomila persone e da due rapidi calcoli, vista la delegazione presente allo stadio, almeno un arubiano su duemila in questo momento è in Giamaica. A livello calcistico siamo all’abc, però durante il torneo sono discretamente migliorati: nella prima settimana hanno subito 17 goal in tre partite, nella seconda hanno raccolto un punto e messo in difficoltà per un tempo pieno Guatemala (perdendo poi 2-0).
Aruba ha avuto l’occasione per vincere. Da rimessa laterale, la palla arriva al regista arubiano che alza un campanile sul lato opposto trovando la difesa giamaicana impreparata.
I migliori polli della mia vita
Eric indossa sempre dei pantaloni militari con stivali e polo sgargianti, calvo con la barba che gli avvolge la faccia, somiglia in qualche modo a Lupatelli. Alla carnagione creola fanno da contraltare gli occhi, chiarissimi. La voce altissima, un misto di inglese e patois che per fortuna non utilizza parlando con me. È sul metro e ottantacinque e veleggia verso i cento chili, un'ottima forchetta. Con lui ho mangiato i migliori polli della mia vita, l’importante era non fare caso alle cucine (spesso i bracieri erano ricavati da vecchi barili tagliati a metà e messi in orizzontale) e limitarsi ad aprire i comodi tupperware plastificati da asporto. In Giamaica il pollo viene declinato in tutte le modalità possibili (fried/barbecue/jerk chicken), e sempre accompagnato da riso in bianco e fagioli.
Sono al sesto giorno in Giamaica e purtroppo oggi gli organizzatori hanno dato il via libera alle vuvuzela. Ci sono due venditori autorizzati in tribuna e dopo ogni acquisto si premurano anche di spiegare come usarla a mo' di spinterometro. Il risultato sono due ore di rumore incessante durante la prima partita: alla successiva però tutto tace e vedo sequestrarne una dozzina. Ne deduco che qualche capoccione giamaicano la pensava come me.
L'Honduras cerca di complicarsi la vita finendo il primo tempo sotto 1-0 contro il Canada, ma riesce a ribaltare il risultato (finirà 3-2) e a qualificarsi al round finale. L'ultimo match ha poco da raccontare (Messico vs Haiti, con i primi già qualificati, e i caraibici già fuori dai giochi). Rimango affascinato dal riconoscere tra il numeroso staff tecnico a supporto dei messicani l'allenatore della Nazionale maggiore Miguel Herrera.
Non so quanti suoi colleghi possano dire di aver visto le proprie Nazionali giovanili a un torneo internazionale. Chapeau.
Balotelli in Giamaica
Dallo stadio mi sposto verso l'albergo dove alloggia la Nazionale giamaicana. Grazie all'intercedere di Eric, ho un colloquio con un ragazzo e la madre. Mi presento, spiego come lavoro e le opportunità che potrebbero nascere.
Ha il doppio passaporto (giamaicano-americano) però solo alcuni Stati in Europa hanno recepito in pieno il trattato di Cotonou che sancisce, in teoria, il riconoscimento di pari condizioni lavorative ai cittadini dei paesi dell'ACP (Africa, Caraibi, Isole del Pacifico) rispetto a quelli dell'Unione Europea. In Portogallo non vi sono limiti di tesseramento, negli altri Stati ci sono paletti a livello salariale o di tesseramento e solo in Italia non si è ancora presa una decisione: forse per la prossima sessione di mercato ci potrebbero essere dei cambiamenti circa il suo status, ma il futuro legislativo non è di facile previsione.
Gli racconto dei principali problemi che potrebbe riscontrare in Europa (clima e lingua in primis) ma mi blocca subito spiegandomi che ha vissuto sempre negli States, che il clima era differente dalla Giamaica, che parla già un po' di spagnolo e nel prossimo semestre incomincerà con l'italiano. Bene. Finiamo a parlare non so come di Balotelli e mi chiede se gli italiani sono veramente ancora così razzisti.
Il mio amico Eric #2
Altro giorno di riposo in attesa nelle finali. Chiedo a Eric se ha voglia di fare un salto a Negril: non solo acconsente ma rilancia caricando in macchina anche pinne, muta, torce e boccagli. La strada è una litoranea con qualche saliscendi ma abbastanza scorrevole e in un'ora siamo arrivati. Negril è divisa in due zone: gli occidentali vivono nella parte più a sud, chiamata Hanover, mentre i locali risiedono a nord, dove c'è il centro cittadino (Westmoreland). Pranziamo e passiamo il pomeriggio lungo la 7-Miles Beach, la spiaggia caratteristica di Negril.
Quando cala il sole ci spostiamo verso la parte nord vicino alle scogliere del West End: ci cambiamo e inizio quella che ad oggi è la sessione di snorkeling più lunga della mia vita. Finisco dopo due ore con i crampi e tanto freddo.
Ripartiamo verso Montego Bay e ci fermiamo a cenare al Pier 0 che, nella remota ipotesi che ci possiate capitare un giorno, è il locale nel quale è più facile incontrare occidentali (l'altro è il Margaritaville). Dopo mezzanotte usciamo e sulla strada verso il mio hotel ci ferma la polizia: niente di che, se non fosse che per ripartire devo versare 20$ di fee, di tassa, o almeno così l'hanno chiamata.
Le finali
Per esigenze televisive, per riempire lo stadio cioè, l'ingresso è gratuito. Trovo posto in tribuna vicino a una famiglia borghese giamaicana. Lui con doppio Rolex, uno per polso; lei con minigonna, collana di perle e tacchi a spillo. Però il pezzo forte sono i due maschi tra gli otto e i dieci anni: polo, orecchino, catena d'oro. Il giamaicano borghese, non troppo diversamente da quello italiano, non vuole passare inosservato.
La prima partita ha poco da dire: gli Stati Uniti vincono 2-0, complice la poca consistenza dell'attacco di El Salvador. Nel secondo match l'Honduras ha gioco facile contro un Guatemala con tanta tecnica e poca fisicità. Come in ogni partita gli honduregni hanno un black out e sul 2-0 riescono, nell'ordine: a sbagliare un rigore, prendere gol al primo tiro guatemalteco e sul 2-1 rischiano più volte di subire il pareggio. Riescono però a firmare il 3-1 in contropiede.
A questo punto la tribuna si riempie di tifosi messicani e panamensi e l'attesa aumenta per la finalissima. Entrambe le Nazionali hanno superato agevolmente il girone e sono di categoria superiore rispetto alle altre presenti. Nell'ultima partita hanno fatto rifiatare i titolari, quindi si prospetta un match di alto livello. I primi 20 minuti volano via, entrambe le squadre giocano con un'intensità pazzesca e i ribaltamenti sono frequenti quanto le occasioni sprecate.
Dopo cinque minuti il Messico passa in vantaggio, ma Panamá non demorde: un paio di occasioni nitide e una traversa. Poi un difensore messicano compie un'entrata kamikaze: rigore e 1-1. Ora le squadre alzano il piede dall’acceleratore e la partita si trascina ai rigori: il portiere messicano ne para due e il Messico diventa Campione U20 nordamericano.
«Uno spettacolo degno di una finale», si dice così.
Appunti in vista del Mondiale
Pensando al Mondiale in Nuova Zelanda credo che tutte e quattro le squadre qualificate (Messico, Panamá, Honduras e USA) abbiano la possibilità di passare ai quarti. Incredibilmente, Honduras e USA hanno pescato gironi molto più semplici di Messico e Panamá. L'Honduras se la vedrà con Germania, Fiji e Uzbekistan; gli Stati Uniti affronteranno invece Nuova Zelanda, Ucraina e Myanmar. Il Messico è finito con Uruguay, Serbia e la seconda qualificata dai gironi africani, Panamá con Argentina, Austria e la terza africana qualificata.
Il Messico, se non si complicherà la vita nella fase a gironi, sarà senza dubbio una delle candidate al titolo: centrocampo solido (retto dall'ottimo Gutierrez) con due esterni fuori categoria (Lozano e Ramirez) e tre attaccanti di livello (Martinez, Diaz, Lainez nell'ordine). Qualche pecca in difesa, dove personalmente mi è piaciuto solo il terzino destro Aguirre (uno dei pochi classe '97 della manifestazione, tra l'altro adattato, neanche naturale). Staff tecnico imponente, dettagli curatissimi e curriculum internazionale ne fanno una top 3 a livello mondiale in queste categorie.
Panamá potrebbe essere la mina vagante del torneo. Difesa muscolosa con il miglior portiere del Nordamericano Under-20 (De Gracia, un solo goal subito in sei gare) e due centrali granitici (Escobar e Hormochea), un centrocampo di gregari e portatori d'acqua ma ben organizzato, e la punta più interessante del torneo (Ismael Diaz). Il girone è complicato, però sulla partita secca sono una squadra rognosa difficile da battere.
L'Honduras invece si giocherà la qualificazione con l'Uzbekistan, che ultimamente ha delle selezioni giovanili molto interessanti. Gli honduregni non hanno un gioco eccezionale e sono abbastanza fragili psicologicamente, però hanno tanta qualità soprattutto davanti, con i due "punteri" di colore che stanno crescendo sperando di ripercorrere le orme di Suazo (Rochez ed Ellis). Discreti in difesa (due su tutti, il portiere Lopez e Kevin Alvarez a destra) vivono e muoiono sulle spalle dei 5/6 esterni offensivi che si alterneranno nel corso del torneo.
Infine gli Stati Uniti: sinceramente non mi hanno fatto una grande impressione ma il girone è talmente semplice (Ucraina! Nuova Zelanda!! Myanmar!!!) che sono già ai quarti. Di prospetti futuribili pochi, ma la spina dorsale su cui dovrebbe essere costruita la squadra, Carter-Vickers, Hyndman e Gall è di ottimo livello. Soprattutto Hyndman, che è stato uno dei migliori centrocampisti del torneo.
Conclusione
Per fare un bilancio di un viaggio simile, almeno a livello lavorativo, non basta il breve periodo. Ho messo dei soldi di tasca mia, ho investito del tempo e tutto quello che ne ricavo ha a che fare con la parte poco appariscente della semina, da cui spero di raccogliere i primi frutti a settembre.
Un agente giovane e poco conosciuto come me non può permettersi di attraversare i continenti e firmare mandati con i migliori giocatori della manifestazione, non è così che funziona. Su quello partivo senza aspettative particolari, anche perché tutti i più appetibili per il mercato europeo erano già blindati. Mi sono concentrato su giocatori di seconda fascia, ottenendo due procure—ovvero due giocatori hanno firmato un agreement per avere l'esclusiva nel cercare un approdo europeo—e tre mandati a vendere da parte di una squadra messicana, ovvero per intermediare eventuali trasferimenti verso l'Italia.
Questo è stato un di più, in realtà il mio obiettivo primario era iniziare a creare una rete di quelle che in gergo si chiamano "connections": conoscere agenti, scout, direttori sportivi per ogni Stato che possiede un movimento calcistico interessante. Tutti contatti che di certo non avrei potuto stringere da casa, dietro lo schermo del PC. Al torneo ero l’unico europeo e questo mi ha facilitato le cose.
Honduras, Costa Rica, Giamaica sono tutti paesi dove ho iniziato a tessere il mio filo di relazioni. Ora è arrivato il momento di provare a trarne i frutti: gran parte del lavoro inizia ora. Solo tra qualche mese potrò dire se si è trattato di un viaggio prolifico.