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Il Napoli è tutto qui?
07 nov 2016
07 nov 2016
La squadra di Sarri ha sbattuto contro il muro della Lazio e dei suoi stessi limiti.
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Questo articolo è stato realizzato in collaborazione con NOW TV.

Quella tra Napoli e Lazio, per l’intensità mostrata dalle due squadre, è stata una partita piacevole per gli spettatori, ma soprattutto una partita dai forti significati emotivi per le stesse squadre, che potrà avere un forte impatto sul resto campionato. Lo si è visto al fischio finale: il tecnico della Lazio è uscito dal campo praticamente festeggiando, mentre Sarri ha terminato una gara vissuta in maniera nervosa a bordocampo con un’uscita che sapeva di sconfitta. Il motivo delle reazioni diametralmente opposte dei tecnici non stava tanto nelle diverse conseguenze di classifica del pareggio finale, quanto piuttosto nel fatto che la partita stessa aveva di fatto premiato il piano gara della Lazio di Simone Inzaghi. Una strategia semplice ma in grado prima di tutto di dettare il contesto di gara, e di far uscire la Lazio dal campo con il risultato che probabilmente Inzaghi voleva dall’inizio.

A Napoli, la Lazio di Inzaghi ha cercato (quanto meno, come minimo) il pareggio, puntando anzitutto sul rendere sterile l’attacco napoletano, sfruttando il fatto che il sistema di Sarri da questo punto di vista sembra sempre più di fronte a un vicolo cieco. Volendo si può interpretare la partita contro la Lazio come la fine di un primo piccolo ciclo giocato dal Napoli senza una prima punta di livello: e da questo punto di vista sembra evidente che Sarri sia arrivato al “tetto” del proprio sistema di gioco, specialmente contro le squadre migliori del campionato.

Va detto subito che la scelta di Sarri di rimanere fedele al proprio sistema, in un periodo tanto difficile della stagione, sembra comunque la migliore: cambiare senza avere abbastanza informazioni a disposizione sarebbe semplicemente irrazionale, e rischierebbe di minare le basi di un gioco la cui efficacia sul lungo periodo potrà compensare comunque qualche settimana problematica. Ma adesso il Napoli ha capito qual è il tetto del proprio sviluppo, sia con Gabbiadini che Mertens al centro del tridente offensivo, e forse è arrivato il momento di ammettere che entrambe le soluzioni non sono all’altezza delle ambizioni di club e allenatore. Qualche misura va presa, Sarri ha due settimane per capire che piega dare alla sua squadra senza snaturarla.

Misure e contromisure

Contro la Lazio, esattamente come accaduto contro la Juventus, il Napoli riusciva a trovare le combinazioni per liberare il terzo uomo, o a giocare un filtrante tra le linee, solo in situazione di attacco posizionale. Il sistema del Napoli sulla carta sembra perfetto, ma in campo non crea una reale pericolosità offensiva in area di rigore. Vuoi perché Mertens, al di là della prima fase di ricezione, non gioca realmente come falso 9, e come vero 9 ha evidenti limiti fisici: vuoi perché i suoi compagni non riescono ad adeguarsi a un tipo giocatore diverso rispetto a Higuain e Milik; vuoi per l’insieme delle due cose. Fatto sta che il Napoli ha creato, ma ha creato male, basta guardare gli xG della partita per rendersi conto che il gioco impostato da Sarri produce troppo poco.

È merito anche di Inzaghi, certo, che ha costretto il Napoli a tirare solo da fuori o da posizioni defilate, e che per ottenere questo risultato ha persino abdicato alla propria pericolosità offensiva. La strategia della Lazio era improntata a bloccare il centro, grazie alla superiorità numerica del 3-5-2, garantita dal blocco centrale di 6 giocatori ulteriormente rafforzato dalla scelta di schierare Basta tra i centrali, con il compito di uscire in raddoppio nella zona destra del campo, da cui nasce tutto il gioco del Napoli.

A completare il tutto, la presenza di due punte veloci come Immobile e Keita, pronte a sfruttare la transizione. Il solo vezzo di Inzaghi è stato quello di schierare Felipe Anderson esterno destro a tutta fascia, per minacciare lo spazio che si crea naturalmente nella zona di Ghoulam una volta che il Napoli perde palla, considerato quanto spesso e quanto in alto sale l’algerino.

La Lazio recupera palla davanti alla propria area e può iniziare la transizione servendo Felipe Anderson che riceve libero nella zona alle spalle di Ghoulam dove anche Immobile era andato a posizionarsi, costringendo il povero Diawara a fare il record mondiale dei 60 metri per non lasciare Koulibaly ad affrontare due giocatori.

Oltre a Felipe Anderson, anche le due punte si sono mosse a turno sulla fascia a ricevere palla, per poi andare a giocare sul famoso difetto della difesa del Napoli nel difendere l’ampiezza. Una mossa solo di facciata, perché tutto il gioco della Lazio era focalizzato in realtà nella difesa posizionale e alle transizioni veloci in zona centrale, dove Inzaghi ha messo in atto un altro meccanismo per infastidire il sistema del Napoli: posizionandoci Milinkovic-Savic che con il suo strapotere fisico ovviava al pressing del Napoli sulla costruzione bassa della Lazio. Marchetti doveva solo alzare la testa e lanciare nella zona del serbo per fare sì che il pallone uscisse dalla propria metà campo.

Marchetti ha lanciato 7 volte nella zona di Milinkovic-Savic, e 7 volte la Lazio ha risalito il campo in modo diverso dal passaggio per gli esterni, che era il piano A per attaccare il Napoli.

La Lazio ha avuto successo nello sfruttare il proprio sistema per un’ora, prima di arrendersi a un calo fisico che ha fatto uscire dal campo sia gli esterni, Lulic e Felipe Anderson (tanto importanti per salire il campo in velocità), ma anche ridotto Parolo con le sue cavalcate e i movimenti di Immobile e Keita, portando tutto il volume del gioco laziale nei piedi del capitano Biglia.

Inzaghi ha provato ad intervenire inserendo Djordjevic, più “fisico” di Keita, così da avere due giocatori a ricevere i lanci della difesa, ma il baricentro della squadra ormai era esageratamente basso per poter sfruttare lo spazio alle spalle della la difesa del Napoli. Praticamente costretto ad accettare il pareggio come risultato migliore possibile, Inzaghi è passato alla difesa a 4 con l’entrata di Patric per Lulic, e si è affidato a Biglia per portare a casa il punto. Con successo.

Le cose positive

Il Napoli da parte sua ha controllato sufficientemente bene l’impostazione della Lazio, alzando a turno un giocatore per schermare Biglia e non lasciargli mai la possibilità di saltare facilmente la linea. La squadra di Sarri ha anche mantenuto intatto il successo nel proprio meccanismo di pressing. Le mezzali, Hamsik e Zielinski, e Diawara come mediano, sono stati perfetti. Diawara è andato a difendere sia alto su Biglia che nella zona di Parolo e Felipe Anderson, azzerando da solo la superiorità numerica creata dai movimenti nello spazio del centrocampista della Nazionale. L’ennesima grande prestazione di un giocatore che si sta rendendo indispensabile per Sarri.

Biglia sta per ricevere il passaggio di Basta e Diawara, scattato appena visto il passaggio partire, arriva di corsa per frapporsi all'argentino una volta ricevuta palla e costringerlo ad un passaggio laterale conservativo

Ancora una volta è stata evidente l’abilità del triangolo di sinistra (Hamsik, Insigne e Ghoulam) nel gestire il pallone e gli spazi, con Diawara alle loro spalle in marcatura preventiva sul resto del mondo. Proprio da questo triangolo è nato il gol del Napoli, con Ghoulam che sfrutta il movimento di rara intelligenza di Hamsik dietro le spalle di Parolo, e sempre da questo triangolo sono nate tutte le idee di reale valore per arrivare in area di rigore. Ma quando dal triangolo di costruzione laterale si deve passare agli altri due giocatori offensivi, allora il sistema del Napoli mostra i suoi punti deboli.

Le cose negative

La scelta di Inzaghi di avere sempre un corpo da frapporre tra il giocatore in possesso del Napoli e la porta è stata magari poco sofisticata, ma chiaramente di successo contro un attacco che sembra impossibilitato a leggere con successo una difesa posizionale di questo tipo. Il tridente del Napoli non ha la capacità individuale di superare un blocco centrale se non quando in inferiorità numerica, vuoi per caratteristiche, è il caso di Callejón, vuoi per letture, è il caso di Insigne e Mertens.

Per quanto riguarda lo spagnolo il discorso è semplice e limitato al fatto che è un giocatore di spazi, che quando questi spazi non esistono non ha la capacità tecnica per incidere. Il suo movimento sul secondo palo contro una difesa che non si fa mai attaccare alle spalle è inutilizzabile e il suo voler comunque arrivare al cross perde ogni utilità se a ricevere ci sono due giocatori che non arrivano al metro e settanta in area.

Per quanto riguarda Insigne e Mertens, invece, vanno in difficoltà non appena si trovano un giocatore davanti quando portano palla, questa specie di ansia da prestazione li costringe a cercare di uscire al più presto da quella situazione. In fase di attacco posizionale questo crea una serie di fraseggi nel corto che sfociano in scariche verso l’esterno (ovvero un’ammissione di sconfitta), in transizione offensiva la cosa diventa ancora più problematica: la soluzione che scelgono spesso i due giocatori napoletani è quella di avanzare incuranti dei compagni e di tirare verso la porta qualunque sia la distanza.

Questo è Mertens che ignora Callejón:

E questo è Insigne che ignora Hamsik due minuti dopo:

Sembra, semplicemente, che Insigne e Mertens non si capiscano tra loro, volendo entrambi fare la stessa cosa in transizione: risolvere la gara con un gol da 30 metri.

Se almeno Insigne può incidere sulla gara quando partecipa al triangolo alterale, Mertens è stato letteralmente annullato dal blocco a 6 centrale che la Lazio ha imposto davanti alla propria area. Ma attenzione: non che il Napoli non riuscisse a trovarlo una volta che il belga avesse effettuato il movimento tra le linee, anzi la precisione con cui la palla arriva sui suoi piedi è ammirevole visto il contesto imposto dalla Lazio, ma le giocate scaturite dalla sua ricezione erano destinate a spegnersi fuori dall’area.

Solo una volta un suo passaggio raggiunge l’area di rigore della Lazio e lo fa verso l’esterno dell’area e per di più senza successo.

Che fosse un suo passaggio per un compagno o direttamente un suo tiro da fuori area, tutto rimaneva nel reame dell’innocuo. L’incapacità di Mertens a dialogare con i compagni oltre l’appoggio nello stretto ha reso il suo stesso lavoro un manifesto alla frustrazione: il suo gioco si limita allo scarico centrale nello stretto per un compagno o alla scelta del tiro da fuori. Sono 4 le sue conclusioni in porta, tutte e 4 da fuori area, di cui solo 1 finita nello specchio.

L’entrata di Gabbiadini per Insigne a venti minuti dal termine, con lo spostamento di Mertens a sinistra, ha portato il belga a modificare il suo modus operandi in questo senso: anziché provare a risolvere la partita calciando, l’ha provata a risolvere saltando l’uomo, sempre e comunque rimanendo in una sfera d’influenza che si andava spegnendo una volta che si avvicinava l’area di rigore. Gabbiadini, a conti fatti, con pochi minuti a disposizione, non ha cambiato in nessun modo le criticità interne al sistema.

Davanti ai microfoni, Sarri ha provato a mantenere l’ambiente tranquillo: “Abbiamo fatto una grande partita, ma in questo momento non concretizziamo le occasioni che creiamo e facciamo sempre risultati inferiori alle prestazioni. Siamo forti e ci stiamo esprimendo forse meglio di altre squadre. I risultati? Arriveranno”. Ma le sue parole non rispecchiano quanto visto in campo e non spiegano il motivo per cui il Napoli si trova con questi risultati.

Il Napoli non è mai riuscito a liberarsi dalla prigione imposta dalla Lazio (a cui è bastato un tiro in porta per segnare a Reina) e basta guardare la rappresentazione degli xG per vedere come non ha creato reali pericoli (e Sarri è un amante delle statistiche). Le occasioni ci sono state, ma sempre e comunque di basso livello di pericolosità. Giocando così, difficilmente il Napoli potrà concretizzare il suo volume di gioco. Le partite si vincono anche con poco, ma non è questo che voleva dire Sarri.

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