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Il miglior panchinaro del mondo
08 mar 2017
08 mar 2017
Morata è ormai esploso da qualche anno, eppure continua a essere usato come riserva di lusso.
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Foto di Francesco Pecoraro / Getty
(copertina) Foto di Francesco Pecoraro / Getty
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Al ventottesimo minuto di Bayern Monaco – Juventus, ritorno degli ottavi di Champions League 2015/2016, Álvaro Morata riceve un passaggio pigro nella propria trequarti da Khedira e inizia a risalire il campo. Pochi secondi dopo scarica su Cuadrado appostato al limite dell’area, che mette a sedere Lahm con una finta e batte Neuer.

Quello che succede nel mezzo, e che non saprei neanche spiegarvi bene, è il più fulgido esempio delle qualità superiori di Morata. Lo spagnolo gioca in campo aperto contro le difese con la stessa facilità con cui un coltello bollente taglia il burro. Il suo corpo sembra costruito per giocare a calcio: potente e veloce, in grado di occupare tutto il fronte offensivo. Ogni cosa che fa Morata è di altissimo livello: calcia benissimo, un tiro secco e preciso che gli darà tante soddisfazioni; può saltare l’uomo e creare superiorità, sia in corsa che nello stretto, ed è così bravo nel gioco aereo da essersi guadagnato il soprannome di El Ariete. A questo aggiunge una tecnica individuale non comune e una lucidità nelle scelte chiara anche nel modo in cui ha fatto collassare la difesa su di sé. Anche se spesso tiene la testa bassa per troppo tempo quando corre. È pure bello, che non guasta mai.

Eppure tutto questo non basta: a 24 anni compiuti Morata non è ancora diventato titolare in una grande squadra. A due anni dalla sua esplosione, che possiamo far coincidere sempre con degli ottavi di Champions in cui segnò due gol al Borussia Dortmund, Morata si trova ancora in quella terra di mezzo dei panchinari d’elite, ma pur sempre panchinari.

L’esordio di Morata con la Juventus. Due anni e mezzo dopo entrare in campo a partita in corso è ancora la cosa che fa meglio.

Se il picco per un attaccante arriva più tardi rispetto ad altri ruoli, molti dei migliori interpreti del mestiere alla sua età erano già titolari inamovibili nelle loro squadre. Suarez stava per passare al Liverpool dopo aver incendiato la Eredivisie, Lewandoski esplodeva definitivamente a Dortmund segnando più o meno in ogni partita giocata, Cavani arrivava a Napoli scoprendo di poter segnare più di venti gol a stagione con estrema facilità. Il discorso sembra essere differente solo per gli attaccanti del Real Madrid: a 24 anni Benzema viveva la sua dualità con Higuain, che a sua volta viveva quella con il francese, che a loro volta non avevano fatto i conti con Cristiano Ronaldo. La stessa situazione sembra ripetersi ora con Morata.

Super riserva

I numeri fin qui spaccano Morata praticamente a metà, rendendo ancora più difficile tirare le somme sul suo ruolo al Real e su quello avuto alla Juventus. Lo spagnolo ha accumulato 63 presenze in Serie A, ma 36 di queste entrando dalla panchina; 54 in Liga, ma solo 16 dal primo minuto (qui la statistica è gonfiata dai due anni in cui era ancora un canterano, quest’anno su 17 presenze, 9 arrivano a partita in corso). In Champions League, dove Morata ha statistiche eccezionali, ha collezionato 33 presenze di cui 16 da subentrato. Sono numeri ambigui: non lo rendono un vero titolare, ma d’altra parte sarebbe ingiusto trattarlo come una semplice riserva. Morata si può definire come un titolare aggiunto, ruolo prodotto delle stagioni sempre più lunghe e logoranti.

Paradossalmente l’unico momento in cui Morata è stato veramente sicuro del suo posto nell’undici iniziale risale alla prima stagione a Torino, nel momento in cui Allegri decise che Llorente – quello che partiva davanti ad Alvaro nelle gerarchie – non era adatto per la campagna europea della Juventus. Morata giocò da titolare tutte e sette le partite che portarono la Juventus al secondo posto nella competizione, segnando 5 gol, fornendo un assist e guadagnandosi il rigore che permise il passaggio del turno contro il Monaco. Dopo la finale di Berlino, il futuro di Morata sembrava il futuro della Juventus, se non fosse per la particolare clausola legata al suo acquisto.

Morata è infatti uno dei panda della recompra, forse il più conosciuto. Quando la Juventus acquisisce le sue prestazioni paga al Real Madrid 20 milioni di euro, che ha la possibilità di riprenderlo alla fine della prima o della seconda stagione pagandone 30. Questo particolare contratto è un po’ ambiguo per due squadre di profilo così alto: può una società come la Juventus, con gli obiettivi della Juventus, puntare su un attaccante che può perdere in qualsiasi momento senza alcun diritto? Alla fine di quella stagione Tevez torna in Argentina e arriva Dybala, con l’idea che con lo spagnolo possa fare una coppia di enorme prospettiva, ma sempre con il dubbio della recompra. Come assicurazione, ma anche con l’idea che Morata non possa fare il titolare unico, il 22 giugno (con il Real che può ancora esercitare il diritto) la Juventus compra Mario Mandzukic. In assenza del trequartista, mai arrivato, a questi tre si aggiunge Zaza (Llorente viene svincolato a fine Agosto).

Se a Giugno Morata sembrava pronto per fare il titolare di una squadra importante come la Juventus, la stagione successiva non ha confermato queste aspettative. Durante l’anno Allegri alterna molto i suoi attaccanti, Morata giocherà anche da esterno offensivo senza però dare l’impressione di poter occupare quel ruolo, ma dopo Empoli e il ritorno al 3-5-2 sembra trovare maggiori garanzie nella coppia formata da Dybala e Mandzukic, dando ancora l’idea di un Morata come di una riserva. Con lo spagnolo Allegri userà il bastone e la carota. Quando ne parla, lo fa benissimo, ma sempre usando il termine crescita, come per sottolineare i limiti che gli impedivano di giocare di più. Limiti che non manca di far notare, come quando pochi minuti dopo averlo fatto entrare lo minaccia dicendogli "se abbassi la testa ti levo dal campo" oppure quando lo riprende pesantemente in conferenza stampa dopo che era stato costretto fuori dal campo per più di tre minuti a causa di calzettoni di un colore non regolamentare.

L’epilogo della carriera dello spagnolo alla Juventus è abbastanza indicativo: parte dalla panchina nella finale di Coppa Italia contro il Milan, entra nei supplementari e decide la partita dopo un minuto. Ancora più indicativa è l’intervista che rilascia dopo, dando l’idea di un ragazzo preso in mezzo, in mezzo al suo amore per il Real Madrid e alla riconoscenza per la Juventus; in mezzo alla possibilità di diventare grande a Torino, di farlo a casa o chissà dove.

Per capire quanto fosse una riserva atipica basta seguire tutte le piste di mercato che la scorsa estate hanno riguardato lo spagnolo e la sua situazione precaria. L’Arsenal offre 60 milioni per strapparlo al Real, stesso comportamento del PSG. Il Napoli pare avesse fatto un sondaggio dopo aver perso Higuain, il Chelsea si dice avesse pronti 80 milioni, giusto per il gusto di vederlo giocarsi il posto con Diego Costa. Per non farsi mancare nulla, anche il Bayern Monaco dovrebbe averci pensato. Quello che è certo è che anche la Juve abbia fatto un’offerta importante per lui al Real, senza però riuscire a convincerli.

Anche se queste sono tutte suggestioni di mercato, danno l’idea della credibilità di Morata a livello europeo. Sta di fatto che o non arriva nessuna offerta abbastanza buona oppure il Real decide di tenerlo. In estate Morata gioca per la prima volta un torneo da titolare fisso, l’Europeo in Francia, segnando tre gol in quattro partite e poi torna a casa.

Morata vs Benzema

A Madrid Morata si trova davanti Benzema, un attaccante che segna almeno 20 gol a stagione da sette anni, eppure ancora prima di arrivare afferma che “non deve dimostrare nulla a Zidane”, come se avesse già capito cosa lo aspettava. Nel 4-3-3 di Zidane, oltre a finalizzare il gioco, il francese ha il compito di preparare gli spazi per Cristiano Ronaldo coi suoi movimenti. Giocare centravanti nel Real Madrid, vuol dire soprattutto assecondare l’istinto del portoghese a entrare dentro al campo per segnare i suoi 50 gol stagionali. Benzema e Ronaldo fanno questo gioco da anni.

Il gioco offensivo di Zidane, privo di trequartisti, si basa molto sulle capacità di Benzema di essere parte integrante della manovra, abbassarsi e dettare i tempi nella trequarti avversaria, capacità che Morata ha dimostrato di avere solo in parte. Nella prima partita della stagione - la Supercoppa Europea - con Bale e Cristiano Ronaldo assenti, Zidane schiera Asensio, Vazquez e Morata, che però gioca male e viene sostituito da Benzema.

Morata parte titolare anche nelle successive tre partite di Liga segnando due gol, sempre a causa degli infortuni di Benzema e Ronaldo, ma dalla quarta giornata torna alla sua condizione naturale, quella di riserva. Una condizione che continua ancora oggi, sei mesi dopo, nonostante i numerosi infortuni occorsi al Real e ai successivi cambi di modulo. Anche in assenza di Bale, e nonostante avesse giocato in quel ruolo con la maglia della Juventus, Zidane non ha mai provato Morata come attaccante esterno, se non per brevi scampoli di partita, accantonando definitivamente l’idea che possa occupare ruoli che non siano quello di prima punta.

Finora nella Liga Morata ha giocato 814 minuti, Benzema 1226. Il francese è partito dal primo minuto per sedici volte, lo spagnolo per otto (in cinque di queste occasioni Benzema non era convocato), in Champions i numeri non cambiano, anzi le differenze si dilatano. Insomma, per quanto ingiusto considerare Morata come una semplice riserva, le gerarchie di Zidane sono chiare, persino nella peggior stagione realizzativa di Benzema, che sta sbagliando gol come non mai. Morata, giocando molto meno, ha segnato più del francese (9 contro 7).

In questo grafico, riferito alle partite di inizio stagione contro Osasuna e Legia Varsavia (nella prima il titolare è Morata, nella seconda Benzema) si capisce bene la differenza tra i due. Il francese va ad occupare lo spazio sinistro dell’attacco del Real, lasciando il centro a Ronaldo. Morata invece - almeno nelle prime partite - tende a rimanere più stabilmente al centro dell’attacco. Col tempo Morata sembra aver affinato leggermente la sua interpretazione, ma rimane poco coinvolto nel gioco.

Ronaldo deve avergli fatto il lavaggio del cervello.

Nello spazio che Zidane gli concede, Morata sta dimostrando una certa applicazione: se all’inizio della stagione era facile vederlo in episodi di egoismo abbastanza estremi, con il passare delle partite è diventato sempre più utile per la sua capacità di risalire velocemente il campo e aprire il gioco per i compagni. Qui strappa il pallone al difensore, lo porta fino alla trequarti avversaria, lo passa a Cristiano Ronaldo e poi si allarga per permettergli la sua classica azione. Col Napoli una sua accelerazione ha creato la migliore occasione per segnare il quarto gol.

Zidane però preferisce usare Morata come un’arma quando gli spazi si allargano, sfruttando il suo istinto a essere più diretto verso la porta. Benzema serve per controllare il gioco, Morata come carta da giocare quando le cose vanno male o quando c’è bisogno di un cavallo da lasciar correre nelle praterie avversarie.

Morata del resto non ha bisogno di molto tempo per accendersi. Per dire: contro il Las Palmas ha trovato la rete dopo 29 secondi bruciando la difesa con uno scatto, che sebbene in fuorigioco, evidenzia bene la rapidità di pensiero di Morata. In quella partita lo spagnolo ha segnato 3 gol in fuorigioco, forse un record, una dimostrazione di come nello spagnolo convivano freddezza e impazienza.

Dei 13 gol segnati finora, 7 li ha fatti entro i venti minuti dal suo ingresso in campo, solo Carillo del Monaco e Cavani segnano in media più di lui negli ultimi 30 minuti di gioco. A fronte di tutti i motivi per cui Zidane gli preferisce Benzema, il rapporto gol/minuti giocati è totalmente a favore di Morata: nella Liga segna un gol ogni 101 minuti, in Champions addirittura ogni 54.

Lusso

In questa stagione Alvaro Morata è un lusso che il Real Madrid può ancora permettersi. Né Barcellona, né Atletico Madrid o Siviglia, hanno in panchina un attaccante così decisivo, e se i “Blancos” dovessero vincere la Liga bisognerebbe anche andare a guardare i 6 gol segnati da Morata partendo dalla panchina (il migliore della Liga in questo). Ma quanto può durare questo lusso?

Prima della partita con il Villareal, dopo essersi accomodati in panchina, Isco parlando con qualcuno in tribuna ha detto di essere “il secondo piatto” riferendosi al suo essere una seconda scelta per Zidane, e Morata ha ironicamente aggiunto “e io sono il dolce”. Dal prossimo anno Morata non potrà più permettersi di fare il dolce. Il rischio è di ripercorrere la strada di Isco e James Rodriguez, risucchiati dalla BBC, che dà e toglie. Anche il Real è a un bivio: questa stagione sta confermando quello che è inevitabile, ovvero che Cristiano Ronaldo e Benzema sono in calo. Le prestazioni offerte dai due non sono a livello degli scorsi anni e in qualche modo bisognerà preparare il passaggio di consegne. La politica dei Zidanes y Pavones sta in qualche modo cambiando: alle spalle del trio d’attacco, composto da giocatori arrivati già affermati a Madrid, sta crescendo un gruppo giovane e di prospettiva. Giocatori come Asensio, Lucas Vasquez, Mariano e lo stesso Morata rappresentano un’inversione di tendenza nel club di Madrid, ma Morata rischia di essere di nuovo preso in mezzo.

Se Asensio, a 19 anni, può ancora permettersi di aspettare il suo momento, Morata non può aspettare ancora. Nella prossima estate la società dovrà decidere tra lui e Benzema, oppure guardare altrove. Morata non ha mai nascosto il suo desiderio di giocare nel Real, essendo nato e cresciuto a Madrid, e dimostrando sia a parole che nei fatti di meritarsi un’occasione, ma dopotutto - lo ha detto anche Gesù - nessuno è profeta in patria.

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