Massimo Corcione è il direttore di Sky Sport, ha un’esperienza trentennale (è passato per la Gazzetta dello Sport, il Mattino, il Giornale ed è stato vicedirettore del Tg5) e insegna al master in giornalismo dell’università Cattolica di Milano. Approfittando dello spazio tra Europeo e Olimpiadi ho pensato fosse interessante sentire il suo punto di vista su come sta cambiando il mestiere di giornalista sportivo.
Il mio punto di vista è quello di chi non ha tesserino e non ha studiato giornalismo, nonostante diriga l’Ultimo Uomo e collabori con altre riviste non so fino a che punto io faccia parte di questo mondo. Corcione è stato così gentile da soddisfare la mia curiosità con trequarti d’ora di intervista un sabato mattina di lavoro.
Daniele Manusia: Vorrei cominciare chiedendole dei due diversi contesti, quello in cui ha cominciato e quello odierno.
Il punto quindi non è più dare la notizia.
Secondo lei questo incide sulla qualità?
Quali sono le specificità del giornalismo sportivo rispetto ad altri campi?
Questo però dipende dal fatto che nello sport il commento sembra alla portata di tutti, no?
È sempre per questo pregiudizio che è difficile costruirsi una reputazione con lo sport, un’autorevolezza nei confronti del pubblico contemporaneo super informato?
Un altro problema che riscontro io riguarda la piattezza (reale o solo percepita dal pubblico) del discorso tra giornalisti e allenatori o giocatori. E di solito si dice: è colpa dei giornalisti o del sistema che forma calciatori con la risposta pronta?
Se non le dispiace su questo torniamo tra poco. Vorrei fare un esempio concreto di quello che intendevo io: quando Higuain è arrivato alla Juventus in molti hanno espresso insoddisfazione per il rapporto tra l’emotività della situazione e la risposta sistemica del mondo del calcio che in questo tipo di situazioni si poggia su un’insieme di frasi fatte, dando l’impressione di chiudersi. Dico sistemica perché non è un problema solo di Higuain e in molti casi le dichiarazioni dei giocatori sono facilmente prevedibili. Il punto è che la percezione da parte del pubblico, che è anche la mia per la poca esperienza che ho con i calciatori, è che ci sia una sorta di patto implicito tra i media e club (o brand) che consentono l’intervista, per non uscire da un recinto invisibile.
Ok, ma al tempo stesso non si restistuisce neanche l’immagine del ragazzo di diciannove venti anni. Perché l’immagine è controllata. Sono d’accordo che non c’è un sistema che si mette d’accordo, ma di fatto club e brand hanno gli stessi scopi nel costruire e controllare l’immagine del calciatore. In questo caso il giornalismo non può neanche restituire il rapporto privilegiato, restituire la visione più da vicino…
È vero, ma molti social sono soprattutto strumenti promozionali…
Secondo lei il calcio non ha un problema di sincerità?
Ok. Tornando sull’evoluzione della professionalità e delle competenze: abbiamo parlato di Adani che è apprezzato universalmente, o di Vialli; però dall’altra parte Sky non ha un format tattico.
Ho l’impressione, però, che in questo modo sia un discorso sempre molto personale (Adani e Vialli come figure eccezionali) e che si perda la dimensione del linguaggio, no?
Perché però parliamo solo di ex calciatori?
Giornalisti formati sulla tattica.
Anche per quanto riguarda lo storytelling non capisco se sia una retorica autoriale, e quindi bisogna essere bravi come Buffa, oppure un linguaggio, una modalità con cui raccontare lo sport in tv e sui giornali?
Sono un grande appassionato di documentari, sportivi e non, sia nel formato lungo, tipo i di 30 for 30 di ESPN, ma anche i mix brevi di testo e documentario di Al Jazeera Plus. In Italia ho l’impressione che sia una forma ancora inesplorata.
La telecronaca invece in che direzione sta andando?
E dal punto di vista del linguaggio? Del ritmo e delle formule?
(A questo punto facciamo una pausa per pranzo e quando richiamo Corcione ho voglia di tornare sulla questione dell’immagine dei calciatore). Se, come dicevamo prima, non esiste più una distanza privilegiata da cui guardare i calciatori, cosa distingue il lavoro di un giornale da quello di un’agenzia che raccoglie e confeziona informazioni?
Il tesserino è ancora necessario per considerarsi giornalista?
Ad esempio?
Ha dei consigli da dare e un dovere da ricordare anche a chi ha semplicemente il piacere di scrivere sul proprio blog?