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Il manuale del lanciatore
27 ago 2015
27 ago 2015
Guida ragionata alle varie tecniche di lancio nel baseball.
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«Non uso particolari trucchi o strane tecniche per aumentare la mia concentrazione. Metto solo tutte le altre cose da parte e mi focalizzo completamente sull’eliminare i battitori. Mantenere la concentrazione dipende da quello che chiamo “tunnel vision”: non esiste nient’altro al mondo che la zona di strike, il battitore e il mio lancio».

Nolan Ryan, 5174 strikeouts in carriera—nessuno finora ne ha collezionati più di lui—, era uno che il suo mestiere sul monte sapeva farlo piuttosto bene. La descrizione dell’attitudine mentale di un lanciatore, che ha messo nero su bianco nel volume Nolan Ryan’s Pitcher’s Bible, restituisce il peso della sfida che ogni partita un lanciatore si trova ad affrontare. La bellezza della performance del lanciatore risiede nel fatto che è un insieme di tensione muscolare, abilità tecnica e saldezza d’animo. Ma anche una partita a poker durante la quale due uomini, distanti l’uno dall’altro poco più di 60 piedi, si sfidano con gli sguardi dissimulando i propri timori e provando a calare l’asso al momento giusto.

La carta vincente di Ryan, quella che gli ha permesso durante le 27 stagioni in MLB di far fuori schiere di battitori avversari, era una fastball, scagliata intorno a 100 miglia orarie. Ogni pitcher possiede nel suo arsenale una serie di lanci. A quelli più collaudati si fa ricorso durante i momenti topici della partita, quando magari serve uno strike. Gli altri si usano per confondere le idee. L’obiettivo è sempre lo stesso: eliminare il battitore.

La legge del più forte: la fastball

A volte la strada che porta a uno strikeout è molto semplice: tira la pallina più forte e più veloce che puoi. A pensarci, un modo molto “yankee” per risolvere una contesa. La fastball è infatti l’arma prediletta della gran parte dei lanciatori. Il termine parla chiaro: si tratta dei lanci più veloci del repertorio, in genere sopra le 90 miglia orarie. La fastball ha una tecnica di lancio molto naturale che ogni pitcher possiede e coltiva fin da giovanissimo.

La palla parte carica di backspin e arriva nel guantone del catcher più o meno dritta. È questo il caso della four-seam fastball, o a 4 cuciture, dal tipo di grip con cui il pitcher impugna la pallina, ovvero con l’indice e il medio sulle cuciture parallele al terreno. Durante il volo, il backspin crea una certa pressione al di sopra e al di sotto della pallina, contrastando parzialmente la forza di gravità; le cuciture contribuiscono a stabilizzare la pallina che compie quindi una traiettoria piuttosto costante e dritta. In alcuni casi la pallina sembra sfidare la forza di gravità stessa, cadendo molto più tardi di quanto ci si può aspettare (in fisica si chiama effetto Magnus). Gli americani la chiamano rising fastball, perché l’effetto ottico che dà è quello di alzarsi durante il volo. Colpire una fastball è complicato, perché il battitore deve anticipare il timing del proprio swing.

Un esempio di four-seam fastball.

Leggermente diversa è la two-seam fastball, che il lanciatore impugna con l’indice e il medio sulle cuciture perpendicolari al terreno. La diversa posizione delle cuciture imprime al volo della pallina degli effetti che la fanno muovere lateralmente e verso il basso. In generale la pallina tende a deviare in prossimità del piatto, rendendo difficile il contatto, che, qualora avvenga, di solito si trasforma in una battuta debole. Simile alla two-seam è la sinker, che si distingue per la minore velocità. Diverso è anche il movimento del lanciatore, che prona l’avambraccio come fanno i tennisti al servizio. Questo tipo di lancio, se eseguito bene, “affonda” al momento di arrivare sul piatto, ingannando il battitore, che nella migliore delle ipotesi riesce a ottenere una innocua ground-ball. Basta però sbagliare di qualche decina di centimetri per servire loro un home run sul piatto d’argento.

Se vedi un proiettile arrivarti addosso a più di 100 mph forse è il caso di spostarsi.

I fireballers sono i lanciatori più potenti e anche i più efficaci. Attualmente il lancio più veloce mai registrato appartiene ad Aroldis Chapman, closer dei Cincinnati Reds, che ha raggiunto le 105 miglia orarie e forse anche le 106, ma su quest’ultima misurazione non c’è unanime condivisione. Un lanciatore che ha fatto della fastball la propria ragione di vita è Roger Clemens, 7 volte—mai nessuno come lui—vincitore del Cy Young Award, il premio stagionale per il migliore lanciatore. The Rocket ha collezionato 354 vittorie in carriera e a lui appartiene l’incredibile record di 20 strikeouts in una sola partita, nel 1986 quando vestiva la casacca dei Red Sox. Doveva incutere un certo timore nei battitori a giudicare dal suo sguardo torvo: «Molti mi credono arrabbiato. Non è rabbia, è solo motivazione».

Il grip di Mariano Rivera.

La cut fastball, o cutter, è invece una peculiare tipologia di lancio a metà strada tra una fastball ed una breaking ball. È più veloce di una breaking ball, ma si “muove” molto di più rispetto a una fastball. Il grip è simile a quello della four-seam ma leggermente più decentrato. Il battitore la vede partire come fosse una fastball, ma al momento del contatto si sposta verso il guantone del catcher. È un’ottima opzione che consente al lanciatore di mischiare le carte, ingannando quei battitori che si aspettano una “palla veloce” vera e propria. Il movimento laterale infatti la tiene lontana dal centro dell’area di strike e nel caso di contatto genera una battuta debole. La cutter è stata l’arma letale di Mariano Rivera, closer dei New York Yankees ritiratosi dal baseball due stagioni fa. Il panamense pare abbia trovato il micidiale lancio quasi per caso durante un allenamento dopo aver fallito—incredibile a dirsi—tre salvezze su sei all’esordio da closer nei Bronx Bombers. La palla cominciò a muoversi e nemmeno Rivera sapeva spiegarsi il perché, se non con un approccio fideistico, dovuto anche a un intenso senso religioso: «La cutter è stato un regalo di Dio. Me l’ha data il Signore e io non ho cambiato niente: il grip, il movimento, proprio niente».

Esempio di cutter di Mariano Rivera. Oops.

Breaking ball, ovvero l’illusione.

La seconda famiglia di lanci prende il suo nome dalla meccanica del movimento. Il lanciatore “rompe” il suo polso durante la fase di rilascio consentendo alla pallina di acquistare una particolare rotazione il cui effetto è quello di generare dei movimenti laterali o discendenti. Ma il significato è anche riconducibile alla “rottura” quasi innaturale della traiettoria durante il volo. La differenza con le fastball sta in sostanza nella minore velocità della pallina (circa 10 miglia orarie in meno). Questo tipo di lanci presuppone un’ottima intesa tra pitcher e catcher, il quale deve essere pronto a reagire immediatamente agli eventuali rimbalzi delle palline che, volontariamente o meno, toccano per terra, ma anche a quelle che si spostano troppo lontane dall’area di strike.

La meccanica innaturale di lancio presuppone un’abilità che si acquisisce con il tempo e con la pratica, tanto da essere sconsigliata ai pitcher amatori più giovani a causa dell’alto rischio di procurarsi infortuni ai legamenti del gomito. La fisica che sta dietro al volo è dovuta alla rotazione in topspin che crea pressione solo sulla parte superiore della pallina, aggiungendo un’ulteriore spinta a quella della forza di gravità e causando la repentina e improvvisa caduta della pallina. Una delle più belle breaking ball che si possono ammirare è la curveball, la più estrema delle quali è detta 12-6 dal movimento quasi perpendicolare della palla in caduta alla fine delle sua traiettoria, come se passasse da un apice all’altro del quadrante di un orologio. Il grip, con il medio sulla cucitura parallela al terreno e il pollice sulla parte di sotto come se la mano disegnasse una C, è piuttosto simile a quello di una four-seam. Se lanciata bene la curveball è difficilmente contrastabile. Perché quando il lanciatore legge la traiettoria la pallina cade mandando all’aria i suoi piani. Secondo alcuni studiosi l’effetto caduta improvvisa della curveball sarebbe invece un’illusione ottica amplificato nell’occhio umano dalla particolare rotazione che assume la pallina.

La curveball di Koufax.

Il pitcher, o meglio l’illusionista, che ha fatto della curveball una vera e propria arte è il southpaw (lanciatore mancino) dei Dodgers Sandy Koufax. Koufax nei suoi pochi anni di MLB a cavallo tra i ’50 e i ’60—si è ritirato a 30 anni a causa di un problema al gomito sinistro—, ha entusiasmato i tifosi di baseball raggiungendo per primo 4 partite no-hitter (ovvero partite in cui un lanciatore non concede nemmeno una valida ai battitori avversari) e unendosi alla schiera degli allora altri sette lanciatori autori di un perfect game (ovvero durante i nove inning un lanciatore non permette a nessun battitore di arrivare in base).

Cinquant'anni dopo un altro lanciatore con la casacca dei Dodgers sembra seguire le orme di Koufax. Si tratta di Clayton Kershaw, che anche grazie alla sua perfida curveball ha potuto mettere insieme 3 Cy Young Awards negli ultimi quattro anni.

Se sei un battitore e vedi un puntino rosso sappi che quella che ti sta arrivando contro è una slider. Anche questa è una breaking ball, ma a differenza della curveball spezza da destra verso sinistra per i lanciatori destri, cadendo anche un po’ verso il basso. Il puntino rosso è dato dalla particolare convergenza delle cuciture durante la rotazione. In realtà la slider è molto simile a una cut fastball. Le principali differenze consistono nella minore velocità (circa 6-7 miglia orarie) e nella tendenza a cadere verso terra, che una cutter non possiede.

L’astuzia del changeup

Se la fastball è la forza bruta, la breaking ball l’illusione, il changeup o “cambio di velocità” è la furbizia. Consiste infatti nell’ingannare un battitore che si aspetta una fastball e che regola il timing del proprio swing su una velocità di crociera di almeno 90 miglia, salvo poi vedersi arrivare sul piatto una palla molto più lenta, che a quel punto diventerà uno “swing and a miss”. Il lanciatore impugna il changeup con tre dita, similmente a quello di una four-seam, tenendo la pallina però più all’interno del proprio palmo: ciò in fase di rilascio consente una velocità di 8-15 miglia orarie in meno rispetto a una fastball. L’inganno sta soprattutto nel movimento, che è uguale a quello di una fastball. L’occhio umano infatti non è in grado di capire la velocità di una pallina finché non è a metà del tragitto verso casa base, ma a quel punto è troppo tardi. Molti fireballers si affidano al changeup nella fase finale della carriera, quando non riescono più a spingere la fastball alle velocità che vorrebbero.

Una delle più famosi varianti del cambio è il circle changeup, dal cerchietto che si crea tra pollice e indice quando si impugna la pallina. Questo grip produce una traiettoria per molti versi simile a una breaking ball, perché tende a “spezzare” sia in orizzontale che in verticale. Ma rispetto a una breaking ha una tecnica di lancio meno innaturale, che mette meno a rischio muscoli e legamenti.

Il changeup è stato una delle migliori armi di Pedro Martínez, che ha conosciuto il momento più alto della sua carriera prima con i Montreal Expos e poi con i Boston Red Sox, con cui vinse le famosissime World Series del 2004. Martínez era infatti capace di nascondere molto bene la palla ai battitori in fase di lancio, grazie a una posizione del braccio più bassa rispetto alla normale “tre quarti”.

Il changeup di Pedro Martínez.

Fa parte della categoria dei changeup o delle fastball, a seconda della velocità con cui si lancia, la forkball o split finger. Si impugna con l’indice e il medio sui lati della pallina. L’effetto del lancio è quello di puntare alla zona di strike per poi cadere a terra.

La confraternita dei knuckleballer

Completamente differente da tutti gli altri tipi di lancio è il knuckleball, un lancio usato da pochissimi lanciatori che può essere parecchio devastante. Consiste nell’impugnare la pallina con le nocche, da cui deriva il nome, o con le punta delle dita, conferendole la minor rotazione possibile durante il suo tragitto. La pallina letteralmente fluttua perché rimane in balia della turbolenza dell’aria che imprime alla stessa movimenti imprevedibili e di volta in volta differenti, rendendo pressoché impossibile la battuta.

La difficoltà sta nel controllo del lancio sia da parte di un lanciatore che del proprio ricevitore. Il che significa molte basi ball. Esiste infatti un detto tra i battitori che affrontano un knuckleballer: «If it's low, let it go; if it's high, let it fly», ovvero se non arriva nell’aria di strike lasciala perdere. L’altra dolente è la velocità bassissima (tra 60 e 70 miglia orarie) con cui viaggia una knuckleball, diventando una facile preda dei battitori qualora non cambi direzione.

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Il magico volo di una knuckleball.

Al giorno d’oggi è sempre più raro vedere dei knuckleballer in MLB. Gli ultimi rappresentanti della specie sono l’ex lanciatore dei Red Sox Tim Wakefield e l’attuale pitcher dei Toronto Blue Jays R.A. Dickey, che grazie alla knuckellball ha vinto un Cy Young Award nel 2012, primo lanciatore della peculiare categoria a riuscirci. Secondo Wakefield il problema della scarsità di knuckleballer è dovuto a un baseball «radar-gun oriented», che preferisce in sostanza, già dalle giovanili, lanciatori dotati di lanci velocissimi e potenti, considerati più solidi e affidabili. L’arte del knuckleball resta però misteriosa e affascinante quasi come una pratica spirituale. Ci vuole tanto tempo e tanto allenamento per impararla, ma in realtà è impossibile possederla completamente.

Sono frequenti e colossali i crolli nelle prestazioni dei knuckleballer e ogni partita è un caso a sé. «La cosa più difficile è la solitudine», ha ammesso Wakefield, perché pochi pitching-coach possiedono competenze in materia, dimostrando spesso poca pazienza con i lanciatori. Per questo motivo tra i knuckleballer si è sviluppata una sorta di fraternità che mira a condividere i saperi, nonché a propagandare la nobile arte verso le nuove generazioni. Secondo il New Yorker, che nel 2004 ha dedicato un articolo alla knuckleball, a capo della “loggia segreta” c’è Phil Niekro detto Knucksie, un lanciatore di knuckleball degli anni ‘70. Non è un caso che in mezzo alle migliaia di telefonate ricevute dopo la vittoria del Cy Young Dickey abbia alzato la cornetta solo per rispondere a lui. La fraternità è una cosa seria.

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