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Il lato oscuro di Ricky Rubio
18 nov 2016
18 nov 2016
Giocatore di culto, orpello superfluo, uomo ombra: chi è davvero il playmaker dei T’Wolves?
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Foto di Harry How/Getty Images
(copertina) Foto di Harry How/Getty Images
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In Minnesota, quando l'estate finisce e il vento inizia a diventare freddo, si tirano fuori gli stivali pesanti e si aspettano solo quattro cose: la neve – e state certi che arriverà; Fargo – e a breve arriva una nuova stagione con Ewan McGregor protagonista; che un figlio della loro terra venga insignito del Premio Nobel per la Letteratura – e quest'anno si sono portati a casa pure questa; e infine che Ricky Rubio assista i Minnesota Timberwolves fino a portarli ai playoff NBA che mancano dalla stagione 2003-04.

Cose che può fare Ricky Rubio:

- passaggi no-look ✔️

- arrivare ai playoff

El niño

Rubio viene scelto dai Minnesota Timberwolves al Draft del 2009 con la chiamata numero 5 – appena diciottenne — diventando così il primo giocatore nato nel 1990 chiamato dall’NBA, oltre a portarsi appresso l’etichetta di europeo con più hype di sempre ad attraversare l’Atlantico. Ricky infatti è diverso: ha esordito tra i professionisti a solo 14 anni, ha già giocato un’Olimpiade da protagonista vincendo l'argento a 17 anni, ma soprattutto Ricky Rubio è un eterna promessa di salti dalla sediacon le sue giocate. Nell'estate del 2009 quindi in Minnesota tutti aspettano il prossimo film dei fratelli Coen e il play più talentuoso d'Europa. Il film arriva ed è quel capolavoro dal nome A serious man, ma il play spagnolo no.

C'è una lunga e problematica trattativa per aggirare il buyout del giocatore che è di 6.6 milioni di dollari, mentre le regole NBA — almeno ufficialmente — non permettono spese oltre i 500mila dollari che continuo sul cap, e poi ci sono le voci: “Minnesota non è un mercato appetibile per lui”, “Rubio non vuole la concorrenza di Flynn” (altra point guard chiamata dai T-Wolves al draft subito dopo di lui e subito prima di Steph Curry); si arriva a dire che non è andato perché la madre pensa che lì faccia troppo freddo. Tutte voci che non fanno bene al rapporto, ancora non nato, tra Ricky e il Minnesota, un posto dove è abbastanza facile sentirsi abbandonati. Fatto sta che il play è costretto a mettere in stand-by la lega più bella del mondo e porta i suoi giovani talenti a Barcellona, dove fa caldo e non si vive poi male, per vincere trofei a ripetizione sotto l'ala protettiva di Juan Carlos Navarro. Nel frattempo, i Timberwolves continuano tranquillamente a perderle quasi tutte e a tenersi anche il freddo.

Iniziare bene

Rubio sbarca infine all'ombra delle Città gemelle nel 2011 in una squadra che ha vinto solo 32 partite negli ultimi due anni. Come allenatore trova Rick Adelman, il quale dice chiaramente che non sa cosa aspettarsi dallo spagnolo, ma che in carriera ha già allenato con ottimi risultati Jason Williams — un giocatore a suo dire con caratteristiche simili allo spagnolo — e a cui piace che le sue squadre corrano. Al suo arrivo Adelman dice un'altra cosa particolare: «Io sono diverso dagli altri allenatori. Loro credono che bisogna essere duri con i giocatori e pretendere da loro certe cose. Io credo l'opposto. Io credo che bisogna dargli corda e lasciarli trovare la loro strada poco alla volta. I giocatori sono tutti diversi e hanno tutti punti di forza differenti. Non puoi dire “devi giocare così”. Io sono solito dare loro molta libertà e vedo questa situazione (di Rubio, nda) come la stessa cosa». Alla prima partita stagionale in quintetto parte Luke Ridnour, ma Rubio gioca tutto il quarto periodo e incanta, tanto è vero che per tutta la stagione dagli spalti canteranno “We Want Ricky” mentre il povero Ridnour era in campo a cercare di fare il suo lavoro.

Rubio, grazie anche alla libertà che gli concede Adelman, cresce di partita in partita e la squadra intorno a lui. In coppia con Kevin Love torna a mettere il Minnesota sulla mappa: le top-10 dell'NBA sono piene delle sue giocate e rapidamente diventa un idolo per i tifosi, tanto da essere costretto a un tweet in cui invita a non urlare il suo nome mentre Ridnour è in campo al posto suo. Steve Marsh spiega abbastanza bene il tipo di attrazione che lo spagnolo genera: «Le donne lo amano. Gli hipster lo amano. I ricchi repubblicani a bordo campo lo amano. Quando i giornali lo citano […] puoi sentire il suo dolce accento da immigrato e la sua compassata cortesia spagnola».

Il punto più alto della parabola Rubio lo tocca prestissimo, alla seconda settimana in NBA, contro i campioni in carica dei Dallas Mavericks: Ricky trova Tolliver nell'angolo con un passaggio schiacciato a due mani che transita tra le gambe inopinatamente larghe di Dirk Nowitzki. Tolliver segna la tripla che uccide i Mavs e la folla impazzisce come da tempo non accadeva al Target Center. Anche voi probabilmente sarete impazziti, perché a questo punto proprio tutti amano Ricky Rubio.

Già nella stagione da rookie lo spagnolo diventa l'anima della squadra: non è solo una macchina da highlights, ma gestisce la maggior parte dei possessi e il 38% degli assist di squadra arrivano dalle sue mani. Dopo un inizio stentato da febbraio in poi i Timberwolves iniziano a volare e, grazie ad una serie da 8 vittorie in 11 partite, la squadra è in piena lotta per raggiungere i playoff per la prima volta dal 2004. Purtroppo la sfortuna si abbatte proprio su Rubio, che si lesiona il legamento crociato anteriore in uno scontro con Kobe Bryant nel concitato finale di una partita di marzo. Con 16 secondi sul cronometro del quarto periodo e in vantaggio di uno, Rubio raddoppia Bryant — perché è sempre buona cosa raddoppiare Bryant quando sei nell’ultimo quarto — ma è uno sforzo difensivo che il play catalano paga molto caro.

A voler ricordarci che gli dei del basket sanno mettersi di traverso, i Timberwolves perderanno quella partita e poi 19 delle successive 24 abbandonando ogni sogno di playoff. Rubio, dal canto suo, finisce secondo nelle votazioni per il premio di Rookie dell’anno (dietro Kyrie Irving) e nel miglior quintetto dei rookie, ma soprattutto ora in NBA si parla di nuovo del Minnesota e la squadra sembra pronta, se non per vincere, almeno per tornare ai playoff.

Sono passati quattro anni e mezzo da quell’infortunio, i playoff non sono mai arrivati, e la situazione sembra essersi ribaltata: dopo anni di vacche magre, i Timberwolves sono cresciuti come i cattivi di Space Jam diventando la squadra con più hype della Lega, mentre Ricky Rubio sembra l’unico pezzo del puzzle che non si incastra perfettamente. Minnesota ha provato a scambiarlo più volte senza riuscirci e non è improbabile ci provi ancora, in più la scelta nell'ultimo Draft di Kris Dunn — una point guard atletica con l’etichetta, più ipotetica che reale, di NBA-ready – sembra indicare la volontà di Thibodeau di trovare un play più adatto al suo gioco. Ma come siamo arrivati a questo punto? All’età di 26 anni Rubio dovrebbe essere all’apice della sua carriera, ma non è così. Dove sono finite tutte le aspettative che Minnesota riponeva in lui?

Nel 2012 in Minnesota i padri erano pronti ad offrirgli le proprie figlie

Non è un paese per non tiratori

Data per scontata la stupefacente abilità di Rubio in alcuni aspetti del gioco, come la capacità di passare la palla, ma anche quella di saper difendere (lo scorso anno è stato quinto per assist a partita nella lega, secondo per palle rubate e settimo come rapporto tra assist e palle perse) e quella – non del tutto secondaria – di essere eccitante, può tutto questo nascondere i suoi problemi di tiro?

L’NBA è diventato un posto maledettamente complicato per una guardia che non sa tirare, con tutti quei cambi difensivi e braccia sempre più lunghe a difendere il canestro. E Rubio non è un tiratore. Le sue statistiche parlano chiaro: in carriera non ha mai avvicinato il 40% dal campo (in media tira il 36.8%) e da dietro l’arco segna meno di una conclusione su tre (31.4%). Numeri che paragonati alla media della Lega, dove si tira il 49.1% dal campo e il 35.4% da 3, mostrano che c’è un problema. Ed è un problema tanto grosso se consideriamo che lo spagnolo è stato anche il giocatore con la percentuale di tiro più bassa tra quelli che hanno giocato almeno 5.000 minuti nella lega negli ultimi 50 anni, che vuol dire due cose: puoi arrivare in NBA tirando male ma non puoi andare oltre un certo punto, anche se tutto il resto del repertorio di Rubio è davvero eccezionale.

I suoi limiti al tiro si fanno più evidenti — se possibile – andando ad analizzare le statistiche di tiro avanzate: Rubio ha percentuali davvero basse dal gomito e dalla zona tra i 3 e i 5 metri dal ferro. Questi sono gli sweet spot per un play dopo aver giocato un pick and roll se la guardia passa dietro al blocco o se il lungo non esce abbastanza forte.

Prendete l'esempio qui sopra: il linguaggio difensivo di Paul e Griffin è del tutto orientato a concedere il tiro al play spagnolo. Al momento del consegnato Love crea un blocco sul quale il numero 3 dei Clippers può passare dietro senza preoccuparsi di un eventuale tiro, e tantomeno Griffin si sente obbligato ad uscire in aiuto. Nel successivo pick and roll alto tutto quello che devono fare è impedirgli di trovare una linea di passaggio pulita: guardate lo spazio che prima Paul, ma soprattutto Griffin lasciano a Rubio e quanto il suo tiro dal palleggio sia poco convinto. Rubio è consapevole di questo limite e lo scorso anno ha provato questo tiro di tiro solo 48 volte (col 23% di realizzazione).

Sono queste percentuali che hanno spinto Minnesota lo scorso febbraio a cercare di scambiarlo con Khris Middleton. La guardia dei Milwaukee Bucks non ha nessuno dei talenti artistici di Rubio, però tira col 40% da tre e soprattutto è in grado di costruirsi un tiro dal palleggio, oltre a difendere fortissimo sugli esterni. Questa nuova versione dei T’Wolves, per come è costruita, non può permettersi di essere non pericolosa dalla distanza considerando anche che Wiggins non è ancora un tiratore affidabile (nonostante l’incredibile inizio di questa stagione), tanto meno può permettersi cattive spaziature. Lo scorso anno sono stati 12esimi per offensive rating, ma solo 25esimi per percentuale da 3 punti: se vogliono arrivare ai playoff devono migliorare questo numero.

Meno minuti, più precisione?

Eppure – nonostante questi numeri — è evidente che i Timberwolves siano una squadra migliore quando Rubio è in campo, considerando anche quanto male sono andati nelle cinque partite che ha dovuto saltare per un problema al gomito in questo inizio di stagione. Il suo playmaking è ancora unico, i tempi in cui passa la palla sono ancora tempi migliori di quelli con cui la maggior parte delle guardie passa il pallone, e questo non può che essere un vantaggio. Per uno come Towns, Rubio può essere un autentica manna:

Come ha scritto Zach Lowe «Rubio toglie spazi con il suo cattivo tiro, ma ne apre altri con i suoi passaggi».

Il plus/minus tra quando è in campo e quando è in panchina su 100 possessi è sempre stato positivo da quando è in Minnesota, ma questo è anche dovuto al fatto che negli anni non ha mai avuto sostituti all’altezza. Lo scorso anno la lineup composta da lui, LaVine, Wiggins, Dieng e Towns ha avuto un rating offensivo di 122.2, prima tra quelle che hanno giocato almeno 170 minuti. Quindi, nonostante la mancanza di tiro, Rubio non è così dannoso per l’attacco della squadra.

Quali sono quindi gli scenari per Rubio all’interno della Lega? È possibile che a 26 anni il suo tiro migliori, quantomeno il piazzato con i piedi per terra, in uno scenario alla Jason Kidd? Rubio ha lavorato sul suo tiro per tutta la carriera e in Minnesota gli hanno affiancato Mike Penberthy come allenatore di tiro, ed è possibile individuare dei miglioramenti nella sua meccanica. D’altronde tira quasi con l’80% ai liberi, non stiamo parlando di uno che ha una meccanica inguardabile o limiti fisici che gli impediscono di costruire un tiro accettabile.

Se da una parte l’acquisizione di Kris Dunn può mettere in crisi alcune delle certezze di Rubio, dall’altra non è detto che la guardia da Providence non possa far bene al play spagnolo. Le sue percentuali dello scorso anno dicono che tira con il 44% nel primo quarto, percentuale che precipita al 30% nel secondo (addirittura tira col 17% da tre), per poi assestarsi al 36,5% nel terzo e al 39% nel quarto. Questo calo potrebbe essere motivato dalla stanchezza: Rubio è un ottimo difensore, ma la sua è una difesa dispendiosa, alla continua ricerca della palla. Giocare insieme a Dunn, uno destinato a far parte dell’élite difensiva dell’NBA, potrebbe togliergli un po’ di quel lavoro sporco e renderlo più lucido quando è il momento di prendersi un tiro. Allo stesso modo giocare meno minuti, ma con medie al tiro più alte potrebbe essere una svolta nella carriera di Rubio.

Perché se c’è una cosa certa è che il pubblico di Minnesota ancora lo ama. E come sarebbe possibile il contrario?

Ricky Rubio being adorable
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