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Foto di Luk Benies / Getty
Sport Andrea Minciaroni 29 maggio 2017 7'

Il Giro della farfalla

Tom Dumoulin ha vinto in modo spettacolare la centesima edizione del Giro d’Italia, una delle più emozionanti di sempre.

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Dopo 3609 km si è conclusa la centesima edizione del Giro d’Italia, una delle più belle e combattute edizioni di sempre. Per dare delle proporzioni numeriche: nella cronometro finale da Monza a Milano, la distanza tra i primi sei corridori della classifica generale misurava solo un minuto e trenta secondi. Una distanza minima, che suona surreale se rapportata al tempo totale – 90h30’54”- della maglia rosa finale.

 

Prendendo in considerazione solo i primi cinque della classifica generale, il gap è ancora più impressionante: settantacinque secondi. La distanza minore mai registrata tra il primo e il quinto corridore della generale all’ultima tappa di un grande giro. Ma non è stata solo una classifica corta a rendere questo Giro d’Italia il migliore possibile per la sua centesima edizione. La sceneggiatura è stata poco leggibile fino alla fine, piena di imprevisti, dettagli cinematografici che sono coronati con la vittoria di quello che, fondamentale, era un outsider: Tom Dumoulin, che si è infilato a sorpresa tra i due favoriti Nairo Quintana e Vincenzo Nibali.

 

In pochi potevano prevedere un epilogo simile, e nonostante le due cronometro previste nel percorso, terreno ideale per Dumoulin, nessuno poteva immaginare l’olandese sul gradino più alto del podio di Milano.

 

 

Mutazione

 

Il percorso del Giro prevedeva due prove a cronometro, che hanno finito per agevolare il vincitore del Giro. In un grande giro le prove a cronometro rappresentano la forma più estrema di cambiamento, il cambio di rotta più deciso rispetto al paradigma centrale delle corse, ovvero la tattica. Il cronoman è un corridore solitario, che studia nei minimi dettagli il modo con cui poter guadagnare vantaggio sugli avversari. Ma si tratta soprattutto di accorgimenti tecnici. Dalla postura del corpo, più aerodinamica possibile, ad ogni dettaglio della bicicletta: la regolazione del manubrio, della sella, la costruzione del telaio, o i diversi rapporti da scegliere in base al percorso.

 

La corsa diventa meno cerebrale: bisogna pensare meno alle strategie collettive e concentrarsi sullo spingere il più forte possibile. Specialità nella quale Tom Dumoulin è uno dei migliori al mondo: a 27 anni, con ancora diverse stagioni davanti, può già vantare un argento alle olimpiadi di Rio, due titoli di campione nazionale olandese, e dodici vittorie in diverse corse a tappe.

 

Ma per vincere un Giro essere bravi a cronometro conta sempre relativamente. La peculiarità di Dumoulin, quello che lo rende oggi uno dei corridori più interessanti, è la sua capacità di adattamento, il talento nel saper interpretare le corse nelle loro diverse fasi. Attraverso la sua intelligenza Dumoulin ha saputo evolversi da velocista puro a corridore all-around, da temere in futuro anche per il Tour de France.

 

Di questa trasformazione avevamo avuto prova già due anni fa, durante la Vuelta del 2015, l’edizione conquistata poi da Fabio Aru. In quell’occasione Dumoulin riuscì ad arrivare in maglia rossa fino alla penultima tappa. Sfruttando le sue doti di cronoman, e limitando i danni in salita, riuscì a conquistare la maglia di leader della generale. Solo nell’ultima tappa di montagna, da San Lorenzo de El Escorial a Cercedilla, è stato costretto a cedere il primato ad Aru grazie i ripetuti attacchi della sua squadra, l’Astana.

 

La Vuelta del 2015 ha rappresentato uno spartiacque per la carriera dell’olandese, il momento dopo il quale ha pensato di poter rilanciare le proprie ambizioni.

 

 

Crisi e vittorie

 

Eppure neanche i più grandi estimatori di Tom Dumoulin potevano immaginare la sua vittoria in questa edizione del Giro d’Italia. Questo soprattutto per i suoi teorici limiti tecnici e atletici nelle tappe di alta montagna, da sempre centrali del Giro.

 

Dopo la grande Vuelta del 2015 Dumoulin non era comunque più riuscito a ripetersi. Nel 2016, tolte due vittorie di tappa al Tour de France e una al Giro d’Italia, non è riuscito ad essere competitivo per la classifica generale di un grande giro. Lo scorso anno, nonostante sei giorni vissuti con addosso la maglia rosa, si è ritirato durante l’undicesima tappa del Giro d’Italia, la Modena-Asolo. Per colpa di un’infiammazione al soprasella è stato costretto a tornare a casa, ma la sue prestazioni non erano comunque state entusiasmanti: nell’ottava tappa, durante la salita dell’Alpe di Poti, aveva ceduto due minuti ai rivali; il giorno successivo, nella cronometro del Chianti, dove era molto atteso, si è piazzato solo quindicesimo.

 

Quindi bisogna dire che le aspettative generate nel 2015 erano state deluse nel 2016, lasciando molte perplessità sul valore assoluto di Dumoulin nei grandi giri. L’olandese non solo si è dimostrato competitivo da subito quest’anno, ma è riuscito a conservare una grande condizione anche nella terza settimana del Giro, considerata da sempre la più difficile perché è il momento in cui un corridore può cedere allo sforzo e andare alla deriva.

 

I dubbi sulla sua capacità di poter contendere il titolo fino alla fine sono svaniti dopo il primo arrivo in alta quota di questa edizione, il Blockhaus. Durante la nona tappa, da Montenero di Bisaccia a Blockhaus, Dumoulin ha stupito tutti, riuscendo a difendersi dai suoi avversari, e staccando anche uno scalatore di una certa esperienza come Vincenzo Nibali.

 

 

La tappa è stata vinta da Nairo Quintana con un’azione spettacolare con cui ha rifilato più di un minuto a Nibali, ma a sorprendere più di tutti è stato Dumoulin. L’olandese non si è lasciato adescare, come invece ha fatto Nibali, dai ripetuti scatti di Quintana: ha preferito gestire le sue forze, dosandole in modo intelligente per non andare fuori giri. Salendo con il suo passo, con un ritmo regolare e fluido, ha scollinato il Blockhaus cedendo solo 30″ a Quintana. Un’inerzia, considerando le qualità da scalatore del colombiano, in una tappa in cui invece ci sarebbero aspettati cedimenti causati dalle sue caratteristiche.

 

Durante questo Giro d’Italia, nonostante una squadra poco attrezzata, imparagonabile per risorse alla Movistar e alla Baherin Merida, Dumoulin è riuscito sempre a difendersi dagli attacchi dei suoi avversari. In salita, in discesa, in qualsiasi frangente. La lucidità con cui ha gestito i diversi momenti di crisi gli hanno consentito di costruire la ricetta di un successo inaspettato, e ci ha ricordato quanto la lettura delle gare sia una qualità fondamentale in uno sport che confina in maniera costante col superamento dei propri limiti.

 

Uno dei momento peggiori, ma anche più divertenti, si è verificato durante la sedicesima tappa, da Robetta a Bormio, durante l’ascesa sul passo dello Stelvio. A 32 km dall’arrivo, durante il tratto più duro dell’Umbrail Pass, versante elvetico dello Stelvio, un problema intestinale ha costretto l’olandese a fermarsi, scendere dalla bici, spogliarsi frettolosamente, accovacciarsi e “liberarsi di un peso” in mondovisione.

 

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Un dettaglio dalla carica comica notevole, ma che ha finito per aggiungere una nota tragicomica alla sua corsa: la sosta gli ha fatto perdere tempo prezioso nei confronti di Nairo Quintana, che si pensava potesse persino essergli fatale. Alla fine solo per pochi secondi Dumoulin è riuscito a conservare la maglia rosa.

 

Al termine della tappa l’olandese ha accusato il gruppo di scarso fair play. Il giorno prima Dumoulin aveva atteso Nairo Quintana alle prese con un problema meccanico, e nei suoi confronti non è stata usata la stessa eleganza: «Perché sono arrabbiato? Ho perso tempo ed il Giro si è riaperto! Il gruppo mi ha ingannato».

 

Ma non è stato l’unico momento di crisi. Durante la salita di Piancavallo, nella terz’ultima tappa del Giro, Dumoulin ha perso terreno dai suoi avversari e alla fine della tappa è stato costretto a cedere la maglia rosa a Quintana.

 

 

Dumoulin è però rimasto lucido, riuscendo anche a non lasciarsi inquinare la concentrazione dalle polemiche con i suoi avversari. Con una certa spavalderia, nonostante una classifica corta fin dall’inizio, Dumoulin è sembrato essere sempre il corridore più forte, e soprattutto il più completo anche quando i numeri sembravano dire l’esatto opposto.

 

La farfalla di Maastricht è stato bravo a difendersi in salita usando l’intelligenza, è stato razionale nella gestione dei momenti di crisi e ha fatto la differenza dove ci si sarebbe aspettato, cioè nelle due tappe a cronometro. In quella di Sagrantino, da Foligno a Montefalco, dove ha conquistato per la prima volta la maglia rosa, ceduta poi solo a tre tappe dalla fine, e poi nell’ultima, da Monza a Milano, quando si è fatto sfuggire la vittoria di tappa per pochi secondi ma ha comunque tirato fuori una prestazione perfetta, con cui è riuscito a rimontare i suoi diretti avversari. Una prova contro il tempo che gli ha consentito di sfilare la maglia rosa a Nairo Quintana nell’ultima frazione disponibile, risalendo dalla quarta posizione della generale a leader del Giro.

 

 

Al termine della tappa, con uno sguardo incredulo, ai microfoni della Rai ha dichiarato «È incredibile e pazzesco. Non so cosa dire, non l’avrei mai immaginato. Quando ho superato il traguardo mi hanno detto “hai vinto! hai vinto!” poi quando ho visto il monitor sono rimasto di ghiaccio. Sono stato forte e fortunato, Nairo ha fatto una grandissima gara quest’oggi. Non volevo sentire indicazioni sul distacco, ma dopo che ho passato la metà mi hanno detto di non prendere rischi e ho capito…».

 

 

Il bisogno di migliorarsi

 

Provando a immaginare il futuro di Dumoulin qualcuno ha usato l’esempio di Miguel Indurain, uno dei pochi cronoman a dominare i grandi giri, capace di vincere cinque Tour de France e due Giri d’Italia. Un talento unico nel capitalizzare al massimo la sua bravura a cronometro amministrando il vantaggio nelle tappe di alta montagna.

 

Al momento non è ancora chiaro se Dumoulin riuscirà a essere di nuovo competitivo su questi livelli. In questo senso il 2018 sarà l’anno della verità. Molto dipenderà da come saranno disegnati i futuri percorsi dei grandi giri, dalla quantità di frazioni d’alta montagna e di cronometro. Ma molto dipenderà anche dal livello dei suoi avversari. Qualora Dumoulin volesse tentare l’impresa di vincere il Tour de France, un avversario in particolare potrebbe rappresentare un serio ostacolo: Chris Froome.
 

Il keniano deve rappresentare un esempio per Dumoulin. Per la sua capacità di limare i propri difetti, migliorando le prestazioni in salita in maniera continua, anno dopo anno, sfruttando poi il suo talento naturale a cronometro. Tom Dumoulin, nonostante la vittoria al Giro d’Italia, non è ancora paragonabile a un corridore più forte, esperto, e completo come Chris Froome.

 

Le possibilità per Dumoulin nei prossimi anni dipenderanno dalla sua capacità di migliorarsi. Gestire le crisi durante le tappe di alta montagna è sinonimo di intelligenza e lucidità mentale, ma in fin dei conti nel ciclismo a contare più di ogni altra cosa sono sempre le gambe. A prescindere da ogni considerazione tecnica e tattica, senza quelle, lo dice lo storia, non si va mai troppo lontano.

 

 

Tags : ciclismogiro d'italianairo quintana

Andrea Minciaroni vive a Roma, dove gira con vecchie biciclette usate sfidando le buche e il famoso traffico della capitale.

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