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Giuseppe Pastore
Il giorno in cui Berlusconi decise di assumere Sacchi
01 mar 2022
01 mar 2022
Un estratto dal nuovo libro di Giuseppe Pastore.
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Giuseppe Pastore
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Non sappiamo con esattezza quale mano abbia vergato il regolamento della Coppa Italia 1986-87, ma con ogni evidenza non dev'essere quella di un genio. Dopo aver superato a braccetto il girone eliminatorio, il sorteggio mette di nuovo di fronte Milan e Parma agli ottavi di finale. L'emozione dei gialloblù si trasforma in fastidio: una volta che eravamo riusciti a vincere a San Siro, e ora ci tocca pure tornarci... L'unico euforico, naturalmente, è proprio Sacchi, graniticamente convinto che lo 0-1 di settembre non era stato il biglietto fortunato della lotteria. Il Parma è più forte del Milan, te capì?

 

Come da consolidata abitudine, quella sera Silvio Berlusconi approda a San Siro con un sorrisone largo così. Ha appena sbrogliato una matassa bella intrecciata, un groviglio di televisione e politica che ha provato a mettergli i bastoni tra le ruote, a Parigi – tutto il mondo è paese. Breve riassunto: nel marzo 1986 la coalizione di centro-destra ha vinto le Elezioni Politiche francesi e il nuovo primo ministro Jacques Chirac ha promosso una crociata di disinfestazione contro gli imprenditori privati stranieri che infestano la tv francese. Evidentemente, in particolare, uno. Ma Berlusconi non s'è rassegnato a subire l'esproprio della sua La Cinq, così ha intentato una causa miliardaria allo Stato francese, lasciando nell'infaticabile ufficetto in rue de Tilsitt i due pretoriani Angelo Codignoni, un Richelieu incaricato di tenere le fila dei rapporti col potere, e Carlo Freccero, dirigente di genio che anche nella bufera ha proseguito quotidianamente a disegnare i palinsesti dell'emittente. Così La Cinq ha scalato le classifiche degli ascolti ed è diventato il terzo canale più visto di Francia dopo TF1 e Antenne 2, boccone ancora più appetitoso per inserzionisti e politici. Da un lato Berlusconi battaglia per la prima La Cinq, dall'altro si getta a capofitto sulla seconda versione, promettendo mari e monti, sbandierando grandi ambizioni, persino la realizzazione di uno sceneggiato a puntate su Napoleone per vellicare gli istinti più sciovinisti. La quadra si trova, a fatica ma si trova: Berlusconi accetta di condividere la mensa con Robert Hersant, deputato neogollista di spiccate simpatie destrorse nonché proprietario de «Le Figaro», decisamente più gradito alla nuova maggioranza di governo. A lui Berlusconi affida i programmi d'informazione de La Cinq, mordendogli i polpacci affinché il tg sia il più pluralista possibile per non scontentare l'amico Mitterrand. Il Cavaliere si occuperà del resto della programmazione ed eviterà la ritirata ingloriosa.

 

Ma questo Diavolo, dannazione, ancora che balbetta, ancora che zoppica. Ancora che perde col Parma, il Parma di Arrigo Sacchi, che ripete il sacco di San Siro già riuscito a settembre. Con le medesime modalità, 0-1, stavolta firmato da un tiro da fuori dell'ex Mario Bortolazzi, in prestito proprio dal Milan, sul finire della partita. Confuso da un rendimento contraddittorio, San Siro si sfoga contro i soliti capri espiatori, a cominciare da Galderisi per finire con il povero Andrea Manzo, centrocampista di tecnica non propriamente nobile, che spreca la miglior occasione milanista con un destraccio sghembo che fa venire giù lo stadio, e non dall'entusiasmo. Secondo le leggende, il Manzo è protagonista di una delle battute più fulminanti del Barone. Nel 1985 aveva sposato Dorina Vaccaroni, schermitrice bella e famosa, veneziana talentuosa e capricciosa, medaglia di bronzo a Los Angeles 1984, protagonista dei rotocalchi, certamente più famosa di lui. Un giorno era venuta a trovarlo a Milanello, con un vistoso gesso alla gamba, eredità di un brutto infortunio. Al che il Barone: «Dorina, quando togli gesso da gamba?». «Eh, presto, tra qualche settimana». E Liedholm, al di lei consorte: «E tu, Manzo, quando togli gesso da gamba?».

 

Battuto due volte in sei mesi da una squadra di serie B che in campionato non ha mai vinto in trasferta: è un Milan da barzelletta, di un umorismo un po' crasso che il Barone – che tante ne ha viste – si sa lasciar scivolare addosso molto più facilmente di Berlusconi, roso dall'impazienza per i risultati che non arrivano e per un materiale umano che non risponde ai comandi. Provato dal viaggio a Parigi, scoraggiato dal tabellone che indica la sua creatura multimilionaria soccombere a Galassi, Valoti e Zamagna, il Cavaliere sente montare dentro di sé la furia infantile del bambino che non capisce. Non capisce la flemma che Liedholm ostenta per marcare le distanze dal nuovo padrone di cui non condivide i principi; e il non capire lo fa spazientire, lo irrita enormemente. Ci vorrebbe un nuovo allenatore, magari meno prestigioso ma più reattivo, anzi proattivo come si dice di un manager, con lo sguardo rivolto al futuro, che risponda ai comandi e condivida le manie di grandezza. Qualcuno che sopporti le critiche di un presidente intenditore – mi consenta! – e non ti sbatta in faccia in continuazione che ha giocato e fatto gol in una finale mondiale contro il Brasile di Pelé. Qualcuno da creare, da plasmare, con cui fare la strada insieme. Forse il destino gli ha messo sotto il naso il nome giusto. L'indomani dà mandato al capo dello sport Fininvest Ettore Rognoni – l'uomo che già l'aveva invitato in televisione qualche mese prima – di telefonare ad Arrigo Sacchi.

 

 

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