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Illustrazione di Andrea Chronopoulos / Getty
Ultimo Uomo Awards Marco D'Ottavi 14 giugno 2017 4'

Il giocatore che pensavi morto: Giulio Migliaccio

I premi stanno per finire, questo è dedicato ai giocatori dimenticati ma che in un modo o nell’altro sono ancora in Serie A.

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È il primo anno nel quale gli Ultimo Uomo awards includono questa categoria, per cui non ho precedenti a cui rifarmi come termine di paragone. È un premio soggettivo e intangibile e la posizione in cui mi trovo, quella di chi dovrebbe trovargli un senso, non è delle migliori. Se mi trovassi a dover spiegare la vera essenza di questo premio a mia madre, che non conosce la Serie A e tanto meno Guglielmo Stendardo, finirei per darle un’idea sbagliata. Forse si convincerebbe che è un premio per il giocatore più vecchio a contare ancora qualcosa, e allora mi chiederebbe perché non lo ha vinto Totti o Buffon. Fortunatamente chi ha votato ne ha capito il senso profondo, che poi è il senso dei calciatori che resistono, non così scarsi da potersi arrendere all’inevitabile discesa nelle serie minori, ma neanche così forti da meritare attenzioni particolari fino alla fine delle loro carriere, e ha fatto vincere Giulio Migliaccio.

 

Perché nel 2017 Migliaccio è lentamente sbiadito dalle foto mentali che ci facciamo della Serie A, senza però scomparire mai del tutto, come i personaggi di Ritorno al Futuro quando i cambiamenti nel passato se li portano via dalle polaroid che Doc tiene nel taschino per poi tornare sempre. A portarselo via però non è stato un cambio nel passato, ma un salto nel futuro: a portarselo via è stato Gasperini e il suo calcio aggressivo e dispendiosissimo, che Migliaccio non poteva proprio più permettersi. Senza battere ciglio è passato da una stagione con 18 presenze in Serie A ad una con sole 3 di pura figura, per un totale di 10 minuti giocati in campionato. I suoi minuti se li sono mangiati i centrocampisti del domani, Gagliardini, Kessiè, Freuler, Cristante ed è una fortuna che sia andata così.

 

Eppure quanto avrebbe sfigurato Migliaccio nel Palermo come scritto da qualcuno nei commenti a questo premio?

 

Migliaccio avrebbe potuto scegliere di giocarsi un’ultima stagione altrove, infilarsi nelle rotazioni di qualche squadra di categoria inferiore, magari in B, e segnare gli ultimi gol di testa della carriera. Invece ha preferito vincere il premio “Stendardo” affinché la sua Atalanta potesse prendersi quello di squadra più migliorata. In questa, che è stata la sua ultima stagione da calciatore, ha fatto il sacrificio estremo: quello di morire per la squadra che ha amato tanto e che tanto gli ha dato. Un sacrificio ben riconosciuto dai suoi tifosi che gli hanno tributato un addio migliore di quello di tanti calciatori anche più forti.

 

 

Un addio che nessuno fuori da Bergamo ha vissuto, perché, giustamente, l’addio di un vincitore del premio “Guglielmo Stendardo” non viene enfatizzato da nessuno, in questo caso eclissato dal contemporaneo addio di uno dei più grandi nemici dei Guglielmo Stendardo di questo mondo, Francesco Totti. Le parole rilasciate a margine suonano molto simili a quelle che avrebbe potuto rilasciare al ritiro di questo premio: «Mi sono goduto tutto l’anno. Sono partito consapevole del ruolo che avrei avuto nella squadra e mi sono goduto tutti gli allenamenti ma soprattutto tutti i grandi momenti vissuti nello spogliatoio: lì è dove abbiamo costruito questa stagione fantastica. In 19 anni di carriera non avevo mai trovato un gruppo così».

 

In poche frasi tocca tutti i temi intorno a cui ruota questo premio: le 19 stagioni, ovvero una certa longevità che ci permette di collocarlo in diversi momenti della nostra vita; il ruolo nella squadra, ovvero la consapevolezza di non avere un ruolo di primo piano da un punto di vista tecnico, ma sapendo di svolgere un’importante funzione di contorno; lo spogliatoio, perché una delle caratteristiche per meritarsi il premio “Stendardo” è quella di fare il veterano e di essere benvoluto da tutti.

 

La longevità di un calciatore di medio livello, infatti, non dipende solo dalla resistenza dei suoi muscoli, ma anche dalla capacità di avere un’influenza positiva sul gruppo. Riuscire a non farsi nemici in 19 anni di carriera non deve essere semplice. Migliaccio è stato amato in tutte le squadre in cui ha giocato. Di più: è stato amato più o meno da tutti, tanto da diventare un feticcio, un giocatore usato come esempio del professionista, del mediano tutto cuore e muscoli. Così amato da diventare un personaggio di internet: Migliaccio che somiglia a Vin Diesel, oppure ad un pornodivo. Giulio Migliaccio idolo inconsapevole di un calcio resiliente che sta alla base del premio “Guglielmo Stendardo”.

 

Giulio Migliaccio intervistato ad Uno Mattina proprio perché è un giocatore del popolo, per il popolo.

 

Il giocatore dell’Atalanta ha iniziato a guadagnarsi questo premio ben prima di questa stagione, ed è per questo che ha stracciato i suoi rivali. Ha battuto un terzo portiere come Rubinho, che sì è infilato forse in una nicchia troppo remota del subconscio avendo giocato solo 4 partite negli ultimi sei anni, ma che non ha fatto nulla per farsi ben volere. Ha battuto Gobbi, che si è ostinato a giocare ancora titolare a trentasette anni in una squadra composta da almeno dieci giocatori che potevano far parte di questa categoria. Ha battuto Sardo, per l’appunto compagno di Gobbi, che poteva vincere nella categoria “miglior barba da carabiniere”. Ma soprattutto in questa stagione Giulio Migliaccio è stato così Guglielmo Stendardo da aver battuto anche Guglielmo Stendardo stesso, una cosa così Guglielmo Stendardo da farmi domandare se forse non abbiamo dato il premio alla persona sbagliata.

 

 

Tags : atalantagiulio migliaccio

Marco D'Ottavi è nato a Roma, fondato Bookskywalker e lavorato qui e là.

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