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Marco De Santis
Il dominio finanziario di Manchester
07 mar 2018
07 mar 2018
Come sono arrivati City e United a poter spendere così tanto sul mercato?
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Marco De Santis
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Anche in quest’ultima stagione, così come nelle precedenti, il Manchester City e il Manchester United si sono confermate le due grandi protagoniste del calciomercato, sia nazionale che europeo. Per le due squadre di Manchester, dopo le due ultime faraoniche sessioni, si è già iniziato a parlare degli acquisti futuri (ad esempio, il City sembra aver già acquistato il centrocampista dello Shakhtar Fred per circa 50 milioni), e questo, soprattutto dal punto di vista di una Serie A sempre in difficoltà da un punto di vista finanziario, fa sorgere spontanea la domanda su come facciano questi due club a spendere ogni anno così tanto in nuovi giocatori (e con essa anche i dubbi sulla posizione delle due squadre rispetto alle regole del Fair Play Finanziario).

 

Prima ancora di entrare nei dettagli dei conti di City e United, è necessaria però una premessa che vale per entrambi e più in generale per il calcio inglese. Non è un mistero, infatti, che negli ultimi anni il valore economico dell’intera Premier League sia aumentato a dismisura grazie alla crescita esponenziale dei ricavi derivanti dai diritti televisivi, che la certificano come il campionato più visto e conosciuto al mondo.

 

L’aumento della visibilità data dai diritti TV ha portato anche a una consequenziale crescita degli sponsor. Per dire, a oggi sono ben 54 gli sponsor del Manchester United, fra quelli globali e quelli regionali, nonostante il club di proprietà della famiglia Glazer sia famoso per l’estrema rigidità nella selezione dei partner economici da affiancare alla squadra. Per dare una prima idea di ciò di cui stiamo parlando, basta dire qui che dall’inizio di questo decennio a oggi il Manchester United ha aumentato la somma dei suoi ricavi annui da diritti tv e sponsor di 247 milioni di sterline, senza nemmeno partecipare alla Champions League negli ultimi due anni.

 



Iniziamo proprio dai conti del Manchester United. I proventi da stadio dei “Red Devils” sono rimasti stazionari, segno che l’Old Trafford sta già viaggiando al massimo delle sue potenzialità, facendo incassare circa 125 milioni all’anno (più del doppio rispetto all’Allianz Stadium, che è lo stadio che genera più ricavi in Italia). Sono cresciuti invece sia i ricavi da diritti TV - saliti di 85 milioni rispetto al 2010/11 nonostante la finale di Champions League conquistata proprio quell’anno contro la vittoria dell’Europa League (prestigiosa ma meno remunerativa) dell’ultima stagione - sia soprattutto i ricavi da diritti commerciali (di quasi 200 milioni). Su quest’ultimi pesano sia l’accordo con lo sponsor tecnico Adidas (85 milioni di minimo garantito annuo più bonus) che con il cosiddetto

Chevrolet, che garantisce all’incirca 60 milioni di euro all’anno.

 

Questi quasi 300 milioni di maggiori introiti sono stati ovviamente investiti con l’obiettivo di rinforzare la squadra in gran parte sulle voci stipendi e ammortamenti (cioè il costo annuo del giocatore dato dal prezzo di acquisto diviso gli anni di contratto, ricalcolato sulla cifra residua a ogni eventuale prolungamento della scadenza). Il monte ingaggi del club è aumentato di 125 milioni mentre il monte ammortamenti di poco meno di 100 milioni.

 




 

Nonostante ciò, la crescita delle spese è sempre rimasta sostenibile rispetto al contemporaneo aumento dei ricavi, tanto che nelle ultime due stagioni,ì anche senza i ricavi della Champions League il Manchester United ha chiuso il suo bilancio rispettivamente con 40 e 45 milioni di utile. Scorporando dai bilanci anche i costi relativi agli investimenti virtuosi e al settore giovanile, ininfluenti ai fini del calcolo del limite triennale di passivo concesso dal Fair Play Finanziario (che non deve essere superiore ai 30 milioni), ciò vuol dire che per entrare nei radar dei controlli UEFA i “Red Devils” dovrebbero chiudere il 2017/18 con un passivo superiore ai 100 milioni. Eventualità che sembra molto improbabile al momento, nonostante le cifre investite per Lukaku, Matic e Lindelöf, e le poche cessioni. Non bisogna dimenticare, infatti, che i conti societari dello United sfrutteranno anche il ritorno in Champions League, e che nella stagione precedente non ci sono state plusvalenze elevate a “gonfiare” l’attivo finale.

 

A ulteriore conferma della situazione economicamente e finanziariamente virtuosa dello United ci sono un Indebitamento Finanziario Netto di poco più di 200 milioni di euro (nettamente inferiore al totale annuo dei ricavi, che è il limite massimo da non sforare per le norme del FPF) e un Patrimonio Netto Positivo di quasi 500 milioni di euro. Ciò vuol dire che, anche al di là degli attivi degli ultimi anni, nelle casse societarie ci sono liquidità tali da finanziare imponenti campagne acquisti senza “stressare” la tenuta finanziaria del club.

 



Se la forza finanziaria del Manchester United si basa sulla grande capacità di attirare ricavi commerciali grazie al prestigio del club e del suo marchio, quella del Manchester City presenta ci sono più zone d’ombra, anche se non bisogna pensare che tutto ciò che i “Citizens” spendono sul mercato derivi dalla ricchezza della famiglia reale degli Emirati Arabi Uniti, che controlla il club tramite il conglomerato Abu Dhabi United Group.

 

Prima dell’avvento del Fair Play Finanziario, il Manchester City era arrivato a far registrare nel 2010/11 un passivo di ben 220 milioni, costantemente ripianati dalla proprietà con costanti iniezioni di liquidità. Nei sei anni successivi,

, la dirigenza ha invece puntato ad aumentare i ricavi su tutti i fronti, e con ottimi risultati.

 

L’Etihad Stadium ha accresciuto i suoi ricavi di circa 35 milioni, non solo grazie all’aumento dei prezzi dei biglietti ma anche per gli eventi di contorno creati sia nei giorni delle partite che totalmente estranei al calcio, come l’organizzazione di concerti all’interno della struttura. La partecipazione costante alla Champions League e l’aumento dei diritti televisivi inglesi, poi, hanno comportato un aumento dei ricavi provenienti dai mass media di addirittura 170 milioni, portando la squadra ad avere un totale di introiti di questo tipo simile allo United (a inizio decennio i “Citizens” da questa voce incassavano appena un terzo di quanto incassasse il Manchester United).

 

A questi 205 milioni, poi, vanno aggiunti i 195 milioni di crescita degli introiti commerciali, all’interno dei quali rivestono una parte importante (anche se in percentuale non esattamente definibile vista la natura non pubblica di alcuni accordi) le quattro sponsorizzazioni legate a doppio filo con gli Emirati Arabi. Oltre alla partnership con Ethiad Airlines, la compagnia aerea di bandiera che versa nelle casse 45 milioni più bonus all’anno per la sponsorizzazione di stadio e magliette, figurano fra gli otto sponsor “globali” della squadra anche Etisalat (multinazionale di telefonia cellulare con sede negli Emirati), Aabar (un importante fondo di investimento locale) e Visit Abu Dhabi (che si occupa della promozione di cultura e turismo di Abu Dhabi).

 

A fianco di questi però ci sono altri quattro sponsor globali: Nike, che versa 25 milioni all’anno per la sponsorizzazione tecnica; Nissan, che paga 23 milioni annui per essere la marca di auto ufficiale del club e avere ampia visibilità con il marchio agli eventi del Manchester City; Nexen Time, che ne paga 7 ogni dodici mesi per sponsorizzare la manica della maglia ufficiale; e SAP, che versa qualche altro milione per essere fornitore ufficiale per tutto ciò che comporta la produzione software del club; e

che coi loro contributi concorrono a gonfiare le casse societarie.

 



A favore della posizione del Manchester City rispetto al Fair Play Finanziario paradossalmente giocano proprio gli introiti generati dallo United. Nella valutazione del cosiddetto

, ovvero del corretto valore di mercato delle sponsorizzazioni provenienti da parti correlate (le società riconducibili in qualche modo alla proprietà) pesa infatti la capacità della Premier League di attirare introiti elevatissimi dagli sponsor, con il Manchester United che detiene tutti i record proprio in questo settore. Con i “Red Devils” come termine di paragone, i ricavi da sponsor dei "Citizens" non possano essere considerati totalmente fuori mercato (come spesso invece viene riportato da buona parte della stampa) essendo ad oggi di circa 250 milioni totali, contro i 310 dello United.

 

La proprietà ha utilizzato il continuo ed esponenziale aumento dei ricavi nell’ultimo decennio per riportare il bilancio in pareggio in appena quattro esercizi, chiudendo la stagione 2014/15 con 11 milioni di utile e mantenendosi in attivo anche nei due anni successivi (conclusi rispettivamente con 23 milioni e 1 milione di attivo). Grazie ai miglioramenti del bilancio, certificato anche dall’UEFA che ha tolto le limitazioni dovute al FFP nella primavera del 2016, nelle ultime tre stagioni il Manchester City ha potuto acquistare fra gli altri, e in maniera sostenibile, ben sei giocatori con un costo compreso fra i 40 milioni di Mangala e i 75 di De Bruyne, aumentando il monte ingaggi proporzionalmente all’aumento dei ricavi, mettendo inoltre a segno anche alcune cessioni virtuose (soprattutto nel 2014/15, con 50 milioni totali di plusvalenze incassate con le cessioni di Negredo, Dzeko e Rony Lopes).

 

I 24 milioni di utile del biennio 2015/17, inoltre, hanno permesso al Manchester City di poter ipotizzare anche un bilancio con una perdita di circa 50 milioni per il 2017/18 (tenendo sempre conto dello scorporo dei costi virtuosi) senza contravvenire alle richieste del Fair Play Finanziario. Il che vuol dire che a parità di introiti, che di sicuro non diminuiranno visto il trend degli ultimi anni, i “Citizens” hanno avuto a inizio stagione la possibilità di premere sull’acceleratore del mercato, aumentando la somma di stipendi e ammortamenti di ulteriori 50 milioni.

 

Questo spiega la sontuosa campagna acquisti di questa stagione, comprensiva di altri cinque giocatori costati fra i 40 e i 65 milioni di euro (con una strategia leggermente diversa rispetto allo United, che preferisce concentrare gli investimenti su un numero minore di giocatori, arrivando a spendere cifre anche superiori agli 80 milioni per un singolo acquisto), oltretutto compensata in maniera virtuosa da circa 70 milioni di plusvalenze ottenute vendendo giocatori ormai fuori dal progetto tecnico (come Iheanacho, che ha fruttato una plusvalenza di 28 milioni) e dall’uscita di alcuni calciatori dallo stipendio importante (come Hart, Sagna e Nasri).

 

Da un punto di vista puramente finanziario, la situazione del Manchester City è persino migliore di quella dello United, con un Indebitamento Netto di “appena” 92 milioni e un Patrimonio Netto di 771 milioni.

 



Se il panorama attuale è più che roseo, all’orizzonte però iniziano a stagliarsi le prime nubi. Da una parte sembra che alcuni sponsor non siano più così contenti delle cifre che hanno speso fino ad adesso: la Chevrolet, ad esempio,

del ritorno economico generato dalla sponsorizzazione del Manchester United. Anche

relative alla cessione dei diritti televisivi del prossimo triennio di Premier League segnalano una stagnazione dei prezzi rispetto al triennio in corso che dovrebbe porre fine alla crescita verticale alla quale abbiamo assistito negli ultimi anni. Non è escluso, quindi, che si sia arrivati al limite massimo per quanto riguarda i ricavi dei due club, sia a livello di sponsorizzazioni che di diritti TV.

 

Nonostante ciò, l’ottima situazione finanziaria di entrambi i club li mette comunque in una solida posizione di vantaggio sul mercato rispetto ai club italiani e non solo. Relativamente al Fair Play Finanziario, non si può non sottolineare infine un ulteriore importante dato che mette in evidenza quanto siano sostenibili per queste due squadre gli elevati stipendi proposti ai nuovi acquisti: a fronte di un limite massimo consigliato dall’UEFA del monte ingaggi pari al 70% dei ricavi (al netto delle plusvalenze), il Manchester City si attesta al 55% e il Manchester United fa ancora meglio avendo chiuso l’ultima stagione poco al di sotto sotto del 50%.

 

Insomma, anche nell’eventualità in cui i ricavi dovessero iniziare a scendere, City e United continueranno a guardare gli altri club inglesi ed europei dall’alto in basso, almeno durante il calciomercato.

 

 

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