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Il dominio di Ibra e i peggioramenti dell'Inter
19 ott 2020
19 ott 2020
La squadra di Conte ha molti problemi, quella di Pioli ha Ibrahimovic.
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Per quanto ci ripetiamo che il calcio non si possa ridurre alla somma dei duelli individuali dei singoli giocatori in campo, in questo Derby di Milano siamo stati ripetutamente invitati a farlo. È stato per via della prestazione monstre di Ibrahimovic, ovviamente, che per 90 minuti ha bullizzato i centrali dell’Inter, saltandogli in testa, non permettendogli nemmeno di avvicinarsi alla palla, agendo da riferimento assoluto al centro della trequarti, controllando il pallone con quasi ogni parte possibile del piede, arrivando quasi a slogarsi le anche, avvicinandosi - con 9 duelli aerei vinti su 10 - alla cosa più vicina su un campo da calcio a un leone che divora la sua preda, per quanto la metafora sia obiettivamente kitsch.


 




 

Ma penso anche agli errori difensivi di Kolarov, che ha direttamente o indirettamente aiutato il momentaneo 0-2 del Milan innescando la discussione su quanto sia opportuno il suo utilizzo da centrale, alle sfide in velocità sulla fascia tra macchine sportive vestite da terzino come Hakimi e Theo Hernandez, e alla lotta spalle alla porta tra Lautaro e Kjaer, e tra Lukaku e Romagnoli, alla gara a chi copriva più campo tra Kessié e Vidal, alle progressioni anfetaminiche di Barella e Calhanoglu.


 

Adesso mi piacerebbe dirvi che in realtà la partita di ieri non si può ridurre solo a questo, che il calcio è sempre qualcosa di più dei singoli duelli individuali, ma la realtà è che sia Conte che Pioli hanno entrambi puntato su piani gara che alla fine hanno portato l’intera partita a ridursi alla sua dimensione più primordiale: a un continuo uno contro uno. A una sfida a chi saltava più in alto, a chi correva più veloce, a chi riusciva a coordinarsi nella maniera più impensabile. È stato lo stesso contesto tattico a far sì che la partita si decidesse su queste basi.


 

Un Milan diretto


Prendiamo, per esempio, il Milan. La strategia di Pioli era quella di liberare in costruzione Calabria sull’out basso di destra attraverso un sistema composto in sostanza da due elementi: da una parte da un rombo in costruzione composto oltre che da Calabria ancorato ai due centrali di difesa anche da uno tra Kessié e Bennacer come riferimento alto; e dall’altra dalla posizione bassa e larghissima di Saelemakers, che in fase di costruzione si metteva con i piedi quasi sulla linea del fallo laterale, alle spalle di Perisic.


 

Se il rombo permetteva a Calabria di ricevere nella giusta posizione (il corridoio intermedio di destra), la posizione di Saelemakers gli dava invece il sufficiente tempo e spazio per giocare la palla in avanti creando un’ambiguità mai veramente risolta nell’Inter su chi dovesse andarlo a prendere tra Kolarov e lo stesso Perisic. In questo modo, l’esterno croato saliva sempre in ritardo su Calabria in fase di pressing, o a volte addirittura non ci saliva affatto costringendo Kolarov a uscire dalla linea difensiva in maniera pericolosissima.


 

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Nel secondo caso, l'Inter si farà sorprendere addirittura sul calcio di inizio immediatamente seguente al suo 1-2. Per fortuna per i nerazzurri il diagonale di Calabria viene intercettato prodigiosamente da Kolarov.


 

Una volta liberato Calabria in fase di costruzione, il Milan cercava di raggiungere la trequarti nella maniera più diretta possibile: e cioè attraverso un diagonale lungo che saltasse a piè pari il centrocampo e raggiungesse o la testa o il petto di Ibrahimovic, oppure le corse in verticale di Calhanoglu. Ovviamente spesso le due cose si abbinavano, con il trequartista turco che a volte raccoglieva le sponde di Ibra e cercava di inclinare il campo verso Handanovic lanciando in profondità Saelemakers o Leao.


 

Un’arma tattica piuttosto semplice, per la verità, ma che nelle mani di Ibrahimovic è diventata qualcosa di molto vicino al martello di Thor. De Vrij, infatti, è stato stretto per tutta la partita nel dilemma tra cercare di salire in anticipo su Ibrahimovic, aprendo la difesa al centro ai tagli di Calhanoglu o Leao, e vedendosi condannato ogni volta a perdere il duello individuale, oppure rimanere a presidiare la zona, lasciando al numero 11 svedese la ricezione libera sulla trequarti, alle spalle del centrocampo nerazzurro.


 

Le difficoltà di De Vrij a capire cosa fare hanno creato a cascata le condizioni per i primi due gol di Ibrahimovic. Nel primo caso il centrale olandese è rimasto precisamente a metà strada tra lo svedese e Calhanoglu, servito sulla trequarti ovviamente da Calabria, portando al disperato e rovinoso tentativo di recupero da parte di Kolarov.


 

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Sull'azione che porta al rigore di Ibrahimovic, tutti i problemi irrisolti dell'Inter in fase difensiva: l'ambiguità tra Kolarov e Perisic su cui deve salire su Calabria e chi deve scalare su Saelmaekers; De Vrij preso in mezzo tra Calhanoglu e Ibrahimovic; Kolarov in ritardo nel recuperare.


 

Nel secondo caso, su un’azione partita ancora una volta dai piedi di Calabria e accesa da una grande giravolta di Saelemakers su Brozovic, De Vrij ha cercato di dare manforte a D’Ambrosio, bruciato in velocità da Leao, lasciando in inferiorità numerica in area Kolarov. Il difensore serbo, lasciato da solo, doveva contemporaneamente tenere d’occhio l’inserimento in area di Calhanoglu e il movimento sul secondo palo di Ibrahimovic, finendo per non fare le entrambe le cose.


 


 

Kolarov è stato accusato di disattenzione, ma lo stesso sarebbe successo se avesse coperto il secondo palo e Leao avesse servito il trequartista turco, con una linea di passaggio relativamente semplice. In realtà i problemi difensivi dell’Inter sono sembrati più strutturali di un semplice difensore in giornata no, con lo strapotere atletico e tecnico di Ibrahimovic nei confronti della difesa di Conte che ha fatto il resto.


 

I problemi dell’Inter


I problemi di Conte si estendevano anche alla fase di possesso, a partire dalla costruzione. Se si escludono i primi minuti - in cui il Milan sembrava non aver capito come marcare Brozovic, che insieme a Vidal si piazzava davanti ai tre centrali per favorire la risalita del pallone - l’Inter non è stata capace di superare il pressing alto del Milan e a risalire il campo palla al piede in maniera ragionata, almeno nel primo tempo.


 

La squadra di Pioli è riuscita a escludere il pentagono di costruzione di Conte in maniera relativamente semplice, con Ibrahimovic che schermava De Vrij, mentre Saelemakers e Leao andavano a uomo rispettivamente su Kolarov e D’Ambrosio, e Bennacer e Calhanoglu invece su Brozovic e Vidal. Con Barella che non è mai riuscito a smarcarsi alle spalle di questo primo blocco, all’Inter non rimaneva che andare direttamente sui movimenti coordinati delle sue due punte, spesso partendo direttamente dai piedi di Handanovic.


 


In questo caso Barella si libera a destra quando ormai D'Ambrosio si è già girato verso l'interno del campo. Il difensore nerazzurro lancerà direttamente verso Lautaro, sceso a centrocampo, seguito alle spalle da Kjaer.


 

Una strategia che teoricamente aveva senso, calcolando quanta difficoltà hanno fatto prima Kjaer e poi Romagnoli a tenere le progressioni di Lautaro Martinez e Lukaku, ma che ha finito di allungare eccessivamente il campo su cui attaccava l’Inter. In questo modo i nerazzurri hanno finito per spezzarsi già al primo tempo rendendo il contesto ancora più favorevole alle transizioni velocissime della squadra di Pioli.


 

Più in generale, comunque, la squadra di Conte è sembrata molto involuta da un punto di vista posizionale, con Vidal e soprattutto Brozovic che non avevano alcun ruolo nel far risalire la palla limitandosi a spostarsi per liberare le linee di passaggio per i centrali nerazzurri. I due centrocampisti si sono occupati quasi esclusivamente della fase difensiva - e fa impressione in questo senso che l’Inter fosse lunga e fragile in transizione difensiva anche con due giocatori come Vidal e Barella che potrebbero giocare con la stessa intensità anche in un campo due volte più grande - e la palla arrivava sulla trequarti avversaria solo con le verticalizzazione dirette verso i due attaccanti o se qualcuno ce la portava direttamente palla al piede. Lo ha fatto spesso Barella, per esempio, che di per sé ama riordinare il caos trasformando le seconde palle in corse palla al piede verso la trequarti avversaria.


 


Forse il momento in cui le difficoltà posizionali dell'Inter sono state più chiare: Vidal e Brozovic si abbassano entrambi in zona palla per ricevere ma sono troppo schiacciati per poter essere serviti e al Milan basta praticamente un solo uomo per marcare tre avversari. I due centrocampisti nerazzurri non possono far altro che guardare Kolarov che verticalizza verso Lukaku.


 

In questo contesto non stupisce che, seppur vituperato per le sue disattenzioni difensive, abbia assunto immediatamente una centralità creativa cruciale un giocatore come Kolarov, che spesso cerca di creare occasioni direttamente dalla difesa. Gran parte delle occasioni dell’Inter sono nate dai piedi del difensore serbo (secondo solo ad Hakimi per passaggi tentati), che di fatto era il vero regista della squadra con Brozovic che lo guardava dettare il ritmo da dietro. Oltre ovviamente al gol, che ha visto Kolarov salire alle spalle di Saelemakers dando una linea di passaggio orizzontale ad Hakimi, il serbo ha innescato anche l’occasione capitata sulla testa dell’esterno marocchino al 59esimo (nata da una sua conduzione fino al centrocampo dopo una lunga circolazione orizzontale) e quella sciupata in allungo da Lukaku al 93esimo (nata da una sua verticalizzazione proprio verso il belga). Tre occasioni che hanno fruttato gran parte dei 3.1 Expected Goals creati dall'Inter a riprova della grande qualità della rosa, capace di rendersi molto pericolosa nonostante le imperfezioni tattiche.


 


L'innesco dell'ultima grande occasione dell'Inter, con il classico dialogo tra Lukaku e Lautaro che porta la punta belga a un passo dal 2-2. Da notare come il centrocampo, composto da Eriksen, Sanchez (entrati al posto di Vidal e Brozovic) e Barella, sia del tutto marginalizzato dal centro del campo e dalla direttiva dell'azione.


 

Allo stesso modo, non stupisce che in un gioco di questo tipo continui a fare fatica Eriksen, anche sabato apparso spaesato nei pochi minuti concessigli da Conte. Il trequartista danese, infatti, non ha qualità atletiche che gli permettono di portare fisicamente la palla in verticale e preferisce far viaggiare il pallone sul corto, ordinando la squadra con il palleggio sul breve. Il tecnico salentino, però, sembra aver puntato su un gioco sempre più diretto che, se si esclude la costruzione bassa ad attirare la pressione avversaria, cerca di attivare i movimenti coordinati delle punte nel minor tempo possibile e spesso direttamente dalla difesa.


 

Un gioco, cioè, che fa all-in sulle qualità atletiche dei suoi giocatori più eccezionali - da Vidal a Barella, da Lukaku e Hakimi - allungando il campo al punto da far annegare tutti gli altri che quelle qualità non ce l’hanno o non ce l’hanno più, da De Vrij a Kolarov, fino ad arrivare a Brozovic, Eriksen e allo stesso Lautaro, che dopo un tempo a fare a sportellate con Kjaer è sembrato in grossa difficoltà fisica.


 

Il problema, per Conte e per l’Inter, è aver trovato una squadra che su quel campo lungo ormai sa planarci quasi a occhi chiusi, con alcuni dei pochi interpreti in Italia che sanno tenere testa a quelle capacità atletiche. E con uno dei pochi al mondo che a 39 anni ha ancora la forza e la classe di tenere testa a un’intera difesa da solo.


 

 

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