Da sempre il calcio femminile è vittima di pregiudizi di tutti i tipi. Il più fastidioso, il primo che dovrebbe essere abbattuto, è il suo confronto con la sua versione maschile (un assunto che vale per qualunque sport, anche il tiro con l’arco). Il secondo pregiudizio, in termini di ricorrenza, è quello che ha che fare con il ruolo del portiere. “I portieri nel calcio femminile non saltano”, “non arrivano all’incrocio dei pali”, “andrebbero ristrette le porte”, “non sanno uscire”, insomma non fanno niente bene come i loro pari ruolo maschi. Anche questi giudizi sono frutto di un confronto che non dovrebbe esistere.
Eppure, se – piano piano – il calcio femminile sta trovando una sua credibilità, per i portieri è difficilissimo essere prese sul serio dal pubblico generalista. Ci sono dei motivi validi perché ciò accada? È un ruolo che deve essere migliorato nel suo sviluppo tecnico? Ci sono dei limiti strutturali che non possono essere superati? Per provare a capire, sono andata a parlare con un portiere della serie A femminile.
Camelia Ceasar è il portiere della AS Roma dalla stagione calcistica 2019/2020. Prima di arrivare nella capitale ha vestito maglie altrettanto prestigiose: il Milan per un anno e prima ancora cinque stagioni (dal 2013 al 2018) fra le fila di un Brescia fortissimo, che è la madre della Juventus femminile come la conosciamo oggi e con cui Ceasar ha vinto due campionati italiani, quattro Supercoppe e due Coppe Italia. La seconda Coppa Italia invece è più recente, risale alla stagione calcistica 2020/21 che Ceasar ha vinto appunto con l’AS Roma in una finale terminata ai rigori contro il Milan in cui è stata decisiva, avendone parati due.
Camelia Ceasar è anche il portiere della nazionale della Romania, dove è nata nel 1997 prima di trasferirsi a Torino all’età di cinque anni. È in questa città che Ceasar ha iniziato a giocare a calcio, prima come centrocampista e poi come portiere, ruolo in cui è capitata un po’ per caso prima che il suo allenatore scoprisse che stare fra i pali era il suo talento. Con Camelia abbiamo analizzato i pregiudizi legati al suo ruolo, abbiamo parlato della stagione solida della Roma che, grazie ad un secondo posto in campionato dietro la Juventus, si giocherà un posto in Champions League nella prossima stagione, e ovviamente anche del passaggio del calcio femminile al professionismo dal 1 luglio 2022.
Una postilla finale: se vi state chiedendo per quale motivo ho usato “portiere” invece che “portiera” per tutta l’introduzione, la scelta linguistica è dovuta alla volontà di Camelia Ceasar. La prima domanda che le ho posto riguardava proprio se preferisse che durante l’intervista mi rivolgessi a lei come “portiera” o come “portiere”. Senza nessuna indecisione mi ha risposto che voleva che ci si rivolgesse a lei al maschile, e così – mio malgrado – ho fatto durante tutto il nostro incontro.
Come si sceglie il ruolo di portiere nel calcio femminile?
Con gli anni ho imparato ad apprezzare questo ruolo. Devo dire che mi sono innamorata strada facendo, non è stato proprio un amore a prima vista.
Una cosa che sento molto spesso rispetto a questo ruolo è che ci si finisce sempre un pochino per caso. È raro che qualcuno fin dall’inizio dica: io voglio fare il portiere ed è anche il tuo caso. Mi chiedo se magari qualcosa di quello che hai imparato giocando a centrocampo te la sei portata nel tuo ruolo di portiere.
E secondo te invece una caratteristica mentale tipica di un portiere?
Io sono una che parla tanto fra i pali. Mi piace incoraggiare, mi piace aiutare, mi piace essere proprio parte dell’azione anche se non in modo attivo.
Di certo sarai a conoscenza del pregiudizio che c’è nei confronti delle donne che giocano nel ruolo di portiere, e cioè che sono meno atletiche e performanti rispetto ai colleghi uomini. Secondo te per quale motivo esiste questo tipo di pregiudizio?
Da quanto tempo hai un preparatore?
Poi ovviamente giochi lo stesso però nel mio caso io sono arrivata fino a quindici anni basandomi principalmente sul mio istinto, quindi su un bagaglio che viene da me e magari ho perso tanti anni di crescita, di spiegazioni. È facile criticarci sulla nostra agilità, sulle nostre scelte fra i pali, però è un processo in cui noi stiamo facendo dei passi avanti, dove si è insistito tanto per dare la possibilità alle bambine di oggi e quindi il lavoro iniziato oggi si vedrà tra qualche anno.
Come è cambiata di fatto la tua preparazione atletica negli anni?
Cosa intendi con questi due aspetti diversi, me li puoi spiegare?
Secondo te chi è il portiere più forte al momento?
Questa è stata la prima stagione in cui una squadra ha chiuso in campionato al secondo posto dietro alla Juventus con soli cinque punti di distacco. Anche la finale di Coppa Italia giocatasi fra la Roma e la Juventus ha fatto vedere che superare le bianconere era possibile. Ma poi, di nuovo per un soffio, non ci siete riuscite. Che cosa manca a questa squadra per compiere quel pezzetto in più che serve per passare davanti a tutte?
Qual è secondo te l’elisir di questa formazione che quest’anno è arrivata fra le prime otto squadre d’Europa, e poi ha vinto lo scudetto e la Coppa Italia?
Ed è per questo che ti dico che noi abbiamo iniziato un percorso diverso da loro, perché abbiamo costruito tanto per arrivare però non a compararci con loro ma a compararci con noi stesse. E sono sicura che a livello di campo il gap non è più così grande. Alla fine, se mettiamo da parte le prestazioni della Juventus, dal canto nostro si può dire che abbiamo lasciato alcuni punti per squadra contro altre squadre per colpa nostra, punti che magari ci avrebbero permesso di stare più avanti in classifica. Quindi non è proprio la partita contro la Juventus a mancarci, ma un qualcosa che dobbiamo migliorare noi per non lasciare più punti in giro anche contro altre squadre.
Quello che ho notato in questa stagione calcistica della Roma è una compattezza più forte rispetto agli anni prima, che cosa è successo in questa direzione?
In che modo evolverà adesso la squadra anche in previsione della partecipazione alla prossima Champions League?
Quanto conta per te essere considerata una professionista dal 1. luglio?
Abbiamo fatto tanti scioperi, tanti incontri e confronti con i nostri presidenti. E lungo il percorso ci siamo prese anche diversi insulti.
Abbiamo lottato davvero tanto, come in ogni cosa del resto. E quindi dal primo luglio poter affermare di essere professionista è molto importante per tutte. Ci sono anche molti passaggi che sono stati compiuti da giocatrici che magari oggi non giocano più. E quello che spero è che le calciatrici di domani si ricorderanno di questi passaggi e non daranno nulla per scontato. Perché scontato non lo è per niente. Fino a qualche anno fa magari avevamo la partita a mezzogiorno e quindi partivamo alle cinque di mattina del giorno stesso. Oggi invece ti puoi permettere di partire il giorno prima. È una piccola cosa, però fa la differenza e ti permette di giocare una partita in condizioni fisiche ottimali. E poi finalmente avremo tutele e contributi pagati, un’assicurazione sanitaria. Era molto importante per noi sapere di avere un futuro, avere qualcosa fra le mani in un secondo momento visto che adesso stiamo sacrificando tutto il nostro tempo al calcio.
Nei giorni successivi alla notizia del passaggio effettivo del calcio femminile al professionismo, qualcuno aveva criticato duramente questo risultato dicendo che sarebbe stato un cambiamento troppo oneroso economicamente, una riforma che alla fine sarebbe servita solamente a cinquanta giocatrici.
Quindi secondo me bisognerebbe lavorare anche in ottica del tifoso così da poter pubblicizzare il movimento in maniera più strutturata.
Quello delle infrastrutture e dell’organizzazione nel calcio femminile è un tema molto caldo. Mi pare che il calcio anche a livelli alti sia ancora bipolare. Mi viene in mente la finale dell’Europeo in Inghilterra che è stata organizzata a Wembley, però durante i gironi alcune squadre giocheranno le partite in un campo periferico e molto piccolo di Manchester (il Manchester City Academy Stadium, ndr) che può ospitare solo 7000 tifosi sugli spalti. Questo esempio mi pare un po’ simbolico dell’indecisione o forse semplicemente di una mancanza di visione totale del fenomeno calcistico per come si sta evolvendo.
Quindi secondo me bisognerebbe crescere tanto anche da questo punto di vista, perché poi attiri il pubblico e magari un domani arrivi ad avere anche tu 90.000 persone che vengono a vederti. Però bisognerebbe fare degli step ragionati da tutti i punti di vista.