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Il difensore più sfortunato del mondo
04 set 2018
04 set 2018
Un video che ci ha fatto riflettere su quante cose possono andare storte in pochissimi secondi.
(articolo)
7 min
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C’è ancora gloria nella sconfitta, c’è mai stata? Probabilmente no, ed è un peccato. Questa è l’era geologica dei vincenti, eppure sappiamo quanto dietro ogni successo, dietro ogni piccola fatica umana, ci sia la mano invisibile del fato. Sappiamo quante coincidenze si devono allineare nel modo giusto per permettere che una cosa, qualsiasi cosa, fili nel modo giusto. E lo sappiamo solo perché sappiamo anche il contrario: quante cose possono andare storte in una frazione di secondo.

Nel calcio poi la componente aleatoria è incommensurabile e lo stesso Cristiano Ronaldo, simbolo di come con il talento, il lavoro e la determinazione ci si possa spingere oltre i limiti conosciuti, non dimentica mai di menzionare la fortuna tra i fattori che hanno contribuito al suo successo. Persino lui, ogni tanto, tipo contro la Lazio, si ricorda come bastino pochi millimetri a mandare a monte i nostri piani. Non siamo mai preparati a sufficienza per quello che ci aspetta veramente, ma ci illudiamo di avere tutto sotto controllo.

Abbiamo ridotto il fallimento a una vergogna e anche quello glorioso al massimo può ambire ad essere un sottogenere di internet. Saul Bellow, nell’incipit del racconto Un piatto d’argento, riflette sulla quantità di brutte notizie che si leggono sui giornali: "Noi ora sappiamo ciò che accade giornalmente in tutta la comunità umana, come una globale peristalsi di morte”. Il racconto ha più di trent’anni e Saul Bellow non aveva fatto i conti con internet, i social network, le fake news e i meme. Una globaleperistalsi di morte, d’accordo, ma anche una colossale presa per il culo del genere umano.

Alcuni esempi solo dalla settimana appena passata:

  • Mentre Gervinho segnava al suo secondo esordio in Serie A, contro la Juve, suo fratello minore Fonsinho, che gli somiglia in tutto e per tutto tranne che gioca a sinistra nel ASEC Mimosas, nel campionato ivoriano, è riuscito a lisciare un calcio di rigore. L’arbitro ha dato rimessa dal fondo.

  • Juninho Bacuna, centrocampista dell’Huddersfield, si è fatto autogol da centrocampo in Carabao Cup, svirgolando al volo un rinvio e scavalcando il proprio portiere in uscita. Poi è uscito infortunato dal campo e il suo video è diventato virale, è finito sui tabloid inglese e Eurosport lo ha preso per il culo dicendo che dovrebbero dargli il Puskas.

  • Usain Bolt ha esordito con il Central Coast Mariners in amichevole (una squadra di A League australiana), e praticamente non c’è niente della sua partita che non faccia ridere. Perché è Usain Bolt, l’uomo più veloce del pianeta, e gioca malissimo a calcio, in un campionato professionistico. Il primo tocco di Bolt è tremendo, un compagno gli passa un brutto pallone, a mezza altezza, ma lui lo respinge come fosse una molla nel flipper, facendolo schizzare molto lontano da sé. Poi a un certo punto un compagno mette una palla rasoterra a un metro dalla riga di porta, Bolt arriva sul lato debole ma è in ritardo di pochissimo. Bolt. In ritardo. In questo caso eccellenza e fallimento si incontrano: un uomo fuori dal comune ha preso una decisione sbagliata ed è diventato improvvisamente, anche, un uomo ridicolo.

Ma c’è stato un video che mi è capitato sottocchio e si è dolorosamente distinto dagli altri, che si è staccato dal paesaggio infernale come le figurine della Divina Commedia che si fanno avanti per parlare con Dante.

Questo:

Non so se c’è davvero una lezione da imparare sulla natura umana da questo video, ma di sicuro c’è qualcosa lì dentro che fa riflettere. Il tizio del video è il difensore più sfortunato che abbia mai visto? Come si chiama e cosa ha fatto per meritare una punizione del genere? Perché, tra tutti i video che mi sono passati davanti agli occhi quest’estate, un’infinità, proprio questo mi ferisce?

Se mettete pausa al momento giusto vedrete che il difensore protagonista indossa la numero 288. Il video viene dalla Copa MX, dalla partita di ritorno tra Monterrey e Venados. Il Messico è l’unico campionato al mondo in cui si possono vedere giocatori con numeri a 3 cifre: i club assegnano un numero unico a tutti i giocatori di tutti i livelli, dalla Under 17, alla Under 19, alla prima squadra (c’è un solo numero 7, un solo 10, e così via) e i giocatori in seconda squadra tendono ad usare i numeri dal 200 in poi, con il “2” che appunto segnala il fatto che sono in seconda squadra anche quando vengono convocati con la prima.

Quindi, guardando gli highlights della partita del Monterrey e vedendo il numero 300 sappiamo già che si tratta di un ragazzo. Come il numero 288: Eric David Cantù Guerrero. Il che non fa che rende ancora più crudele quello che gli è capitato nella partita.

Il principale errore di Eric Cantù è il campanile che alza sotto pressione dell’avversario. Tutto il resto è solo una conseguenza di quel campanile, che a sua volta è causato dall’errata lettura della traiettoria della palla rinviata dalla difesa del Venados: Cantù arriva aggressivo ma si fa scavalcare, quando prova a spazzare la palla si alza in verticale sopra la sua testa.

Poi pecca di ingenuità quando va al contrasto aereo con l’attaccante in verde, che (anche se conservo il dubbio che potesse essere fallo) mette meglio il corpo di lui e lo sbilancia, trasformando il suo stesso colpo di testa (dell'attaccante) in un lancio verso la porta.

Sarebbe già un’azione sufficientemente ridicola, ma è la corsa disperata di Cantù il cuore del video. Qualcuno ha anche postato il video ripreso dagli spalti. Si vede solo l’ultima parte dell’azione, in compenso la palla è accompagnata in rete da grida d’orrore, forse femminili, che restituiscono il pathos del momento.

Quando un difensore compie un errore di questo tipo può reagire solo in due modi: (1) si ferma sul posto e guarda da spettatore lo svolgersi degli eventi, sperando che il portiere faccia il miracolo; (2) si lancia a testa bassa all’inseguimento per provare a rimediare.

Eric Cantù non è il tipo che resta impietrito di fronte alla catastrofe. Neanche quando gli converrebbe.

Eric Cantù ha esordito lo scorso marzo in prima squadra contro il Santos Laguna. Di lui sono riuscito a vedere solo gli highlights individuali della partita contro il Club América, in cui gioca a centrocampo con carattere, togliendo anche palla ai difensori centrali per impostare senza paura di spezzare le linee con passaggi verticali. Sembra un giocatore tecnico, molto mobile e aggressivo, con un ottimo tempismo nelle scivolate.

Quando parte, ha una decina di metri di svantaggio sull’attaccante, che non è così più lento di lui, ma Cantù gli prende bene il tempo sulla preparazione al tiro ed entra in scivolata, una scivolata che sarebbe stata perfetta se non avesse spinto la palla in rete, mandando a vuoto il calcio di destro dell’attaccante del Venados, ma colpendo il suo piede d’appoggio. Prendendo, oltretutto, in controtempo il proprio portiere.

La palla entra lentissima solo per permettere a Eric Cantù di alzare lo sguardo da terra e guardarla rotolare oltre la linea.

Cosa gli è passato per la mente, subito dopo che la palla è entrata in porta e l’avversario, che un attimo prima era steso al suo fianco, si è rialzato per esultare, lasciandolo solo, solissimo?

Eric Cantù si alza, si tira su i calzettoni. Un gesto che, adesso che ci penso, fanno spesso i difensori dopo un errore, forse per non alzare subito la testa e guardare negli occhi i compagni, per riprendere coraggio partendo da un piccolo gesto quotidiano. Per ricominciare a mettere le cose a posto.

Quanto bisogna essere sfortunati perché in una stessa azione si sommino tante coincidenze a proprio sfavore? Affinché il recupero dell’errore si trasformi in un nuovo errore, e persino il recupero a questo nuovo errore si riveli un disastro? A che punto uno deve lasciar perdere e dire che non c’è niente da fare?

Eric Cantù, di fatto, si fa gol da solo. Si alza la palla, se la lancia verso la propria porta con l'aiuto dell'attaccante e poi la spinge in rete spiazzando il proprio portiere, usando José Robles, l’attaccante del Venados, come uno strumento per esprimere la propria incredibile sfiga.

Quello che rende effettivamente questo video terribile e comico al tempo stesso, è che è evidente a chiunque lo guardi che Eric Cantù aveva fatto un recupero eccezionale, ma che non avrebbe meritato di circolare sui social network se non fosse finito male a causa sua.

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