Il culto di Lamberto Zauli
Abbiamo incontrato il trequartista più strano della storia del calcio italiano.
La saga di Vicenza
L’anno prima il Vicenza aveva vinto incredibilmente la Coppa Italia, in finale contro il Napoli, e nel 1997-98 deve giocare la Coppa delle Coppe, che è la vetrina in cui Zauli si mette in mostra insieme ad altri talenti: Gabriele Ambrosetti , Massimo Ambrosini e Pasquale Luiso, capocannoniere di quella competizione davanti a Gianluca Vialli. «Quello della Coppa delle Coppe è stata la mia annata migliore» mi ha detto.
Ad inizio stagione gli viene preferito Arturo Di Napoli, ed è solo nel girone di ritorno che Zauli inizia a giocare con più continuità. Al Menti, in una partita contro la Sampdoria inaugurata da un gol di esterno di Veron, Zauli segna il primo gol in Serie A, su cross di Schenardi, agganciando al volo – e in quel modo per certi versi inspiegabile molto Lamberto Zauli – in anticipo sul difensore.Il telecronista definisce il tiro di Zauli “Fantastico, circense”.
Il Vicenza arriva in semifinale di Coppa delle Coppe e le partite di andata e ritorno possono essere considerate l’apogeo della carriera di Lamberto Zauli, che in quel momento ha 27 anni e un talento che sembra all’altezza di un contesto a cui non apparterrà mai davvero. Quelle due partite di Zauli brillano di una bellezza effimera, anche perché sono le uniche sue due prestazioni che possono essere riguardate più o meno per intero.
Zauli dopo un quarto d’ora taglia in area dal centro verso sinistra. Gli arriva un lancio lento e alto di Viviani, estende la gamba a un’altezza inverosimile ed esegue un controllo con dribbling a rientrare talmente magico che la palla sembra sparire per un attimo. Quando ricompare, al centro dell’area, Zauli riesce ancora ad anticipare Leboeuf col destro, che usa poi come perno per incrociare la conclusione col sinistro. Sembra davvero un elefante che fa pattinaggio artistico sul ghiaccio.
«Ho sentito il difensore arrivare, volevo rientrare per calciare, poi con lo stop l’ho saltato ma non è stato volontario. Eravamo in area e il difensore fatica ad andare sull’uomo. Nonostante l’altezza sono stato veloce a ricoordinarmi per tirare. Nonostante fossi alto ero abbastanza elastico». È un tipo di giocata nata da un’alchimia quasi unica tra doti atletiche e tecniche, a cui i super-giocatori di oggi – tipo Pogba e i suoi stop da ballerina di can-can – ci hanno abituato, ma che negli anni ’90 doveva sembrare lo skateboard in Ritorno al Futuro. In quest’azione possiamo ammirare la contrapposizione tra l’eleganza apollinea dello stop e l’astuzia arrangiata della conclusione.
Il Vicenza vince per 1 a 0, e nel ritorno, dopo mezz’ora, Zauli ha già servito un altro assist vincente. Riceve una sponda sulla trequarti, controlla di petto e fa una “pausa” come per lasciarsi accerchiare, poi, quando ha tre giocatori ed è ancora girato in orizzontale, sterza improvvisamente verso la porta, ribaltando il piano inclinato del campo. Nel frattempo tre giocatori biancorossi hanno attaccato la profondità, e Zauli “scucchiaia” con quella parte del piede – tra collo ed esterno – che appartiene solo ai trequartisti.
Luiso incrocia il tiro e zittisce Stamford Bridge.
Proprio nel momento in cui cominciavamo ad accettare una realtà in cui il Vicenza può dominare il Chelsea in un doppio confronto europeo, i “blues” segnano 3 gol, rimontano, vanno in finale, vincono la coppa. Mentre il Vicenza pensa a salvarsi, e l’anno dopo addirittura retrocede. L’ordine delle cose torna al suo posto, finisce forse quel momento in cui il nostro dominio europeo era quasi sboccato.
A riguardarle oggi, quelle due partite col Chelsea, fa tristezza pensare che siano state le prime e uniche due partite ad alto livello di Zauli. Non è del tutto chiaro come sia possibile che dopo un’annata così positiva nessuna squadra di primo livello abbia investito su di lui. Ovviamente glielo chiedo: «Alla fine di quell’anno sembrava dovessi passare all’Inter. Mi aveva chiamato il figlio di Moggi… insomma, c’erano dei segnali. Poi sono rimasto a Vicenza».
Animale esotico
Sarebbe ingiusto in realtà dire che la carriera di Zauli si sia fermata lì, perché in seguito ha giocato diverse annate di alto livello in Serie A. Però, se andate a riguardare gli archivi di Gazzetta quell’anno, Zauli entrava negli stessi discorsi di Totti, Nesta, Pirlo e Zambrotta. Insomma, in quel momento sembrava poter vivere una carriera di primo livello, mentre in seguito si è costruito una carriera di culto, da animale esotico della provincia italiana.
Dopo altre due stagioni al Vicenza, non particolarmente esaltanti, Zauli va al Bologna, sempre chiamato da Guidolin. Gioca un’altra ottima stagione, in cui segna 6 gol e i rossoblù arrivano settimi qualificandosi per l’Intertoto. Nel 2002 viene comprato da Zamparini in Serie B al Palermo per formare lo squadrone che sarebbe salito subito in Serie A, componendo con Luca Toni una coppia di freak unica. «Vi ho comprato lo Zidane della B» proclamò Zamparini.
Quando il Palermo arriva l’anno dopo in Serie A gioca la prima esterna a San Siro. All’inizio del secondo tempo, con l’Inter in vantaggio, Zauli passa in mezzo a tre difensori avversari e, dando sempre l’impressione di cadere, serve l’assist per Luca Toni.Le azioni in cui Zauli sembra controllare il pallone solo per evitare di inciamparci sopra, stregando i difensori.
Zauli dice di aver a casa incorniciata la foto del Palermo prima di quella partita: «C’erano: Toni, Barzagli, Barone, Zaccardo, Grosso. Di undici cinque hanno vinto i mondiali, una squadra che era appena stata promossa».
Quasi tutti loro dopo quella stagione, o dopo il mondiale, sono andati in una grande squadra. Zauli invece nel 2004, al Palermo, aveva già 33 anni, nonostante fosse appena alla sua quinta stagione in Serie A. È andato alla Sampdoria, dove ha ritrovato il 4-4-2 di Novellino e non ha visto il campo: «Giocava ancora col 4-4-2 e io non avevo più l’età per fare la fascia»; e poi ha chiuso la carriera nelle serie minori. Scrivendo l’articolo mi sono chiesto se non stessimo esagerando con la categoria dell’“incompiutezza”, del talento sprecato, dei what if. Probabilmente però non è solo per l’idea di un potenziale inespresso che ha reso Zauli un’icona assoluta della nostalgia, ma anche il fatto di non essere mai stato in una grande squadra, che gli ha concesso una strana forma di verginità. Non andando in grandi squadre non ha corrotto la propria immagine né con la tristezza del fallimento né col rancore e l’invidia del successo.
Mentre noi tentiamo di mantenere l’immagine di Zauli calciatore più intatta possibile, la sua vita prosegue. Ha deciso di non rinnovare con il Santarcangelo mentre ha accettato l’offerta del Teramo (era loro quella telefonata?) che, come si dice in un gergo molto da calcio di provincia, “gli ha fatto la squadra per salire”. Il 16 settembre, poche settimane dopo l’intervista, dopo 1 punto in 4 partite, Zauli è stato esonerato.
Verso la fine dell’intervista gli avevo chiesto perché, secondo lui, è ancora così amato. Mi ha detto una cosa a cui non avevo mai fatto caso: «Ho avuto la fortuna di giocare sempre nei periodi d’oro delle squadre in cui andavo. Nel Vicenza della Coppa delle Coppe; nel Bologna arrivato quasi in Coppa Uefa; nel Palermo arrivato in Europa subito dopo la promozione in Serie A. I tifosi di queste squadre sono molto legati a quei periodi, e quindi sono legati a me che vengo ricordato con affetto. Sono stato molto fortunato».