Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Il contrario di un sogno
29 nov 2016
29 nov 2016
Tra le 2 e le 4 di notte è caduto l'aereo che trasportava la Chapecoense per giocare la finale di Sudamericana. Stefano Borghi avrebbe dovuto fare la cronaca di quella partita.
(articolo)
6 min
Dark mode
(ON)

Stamattina la prima cosa apparsa sulle timeline dei miei social è stata la notizia drammatica di un disastro aereo, resa ancora più drammatica dalla mention per la Chapecoense, squadra brasiliana che si stava andando a giocare la finale di Copa Sudamericana. L’aereo si è schiantato tentando un atterraggio di emergenza vicino a Medellin (la causa non è certa) alle 2:30 della mattina italiana, e l’ufficialità dell’incidente è arrivata alle 4:34. La Chapecoense avrebbe dovuto giocare nella notte tra mercoledì e giovedì e la partita sarebbe andata in onda su Fox, con la telecronaca di Stefano Borghi, collaboratore di Ultimo Uomo e mio amico. Ho deciso di chiamarlo per parlarne.

Ciao Stefano, come hai appreso la notizia e qual è stata la tua prima reazione? Anche considerando che in questi giorni stavi studiando il Chapecoense, ti stavi preparando per la cronaca della finale…

Sconcerto, ovviamente. Per me è stato molto improvviso perché oggi in teoria avevo il giorno libero. Mi ha chiamato il mio direttore questa mattina e mi ha dato la notizia. Ho avuto 5-10 secondi di incomprensione totale, di incredulità, e poi dentro: sono venuto a lavoro, saremo in diretta bene o male tutto il giorno per questa cosa. Ma è stato veramente un fulmine anche perché ti tornano ricordi, storie lette, anche in parte vissute. Come se ti colpisse un fulmine.

All’inizio le informazioni erano abbastanza complicate da ricostruire anche perché i salvataggi sono stati difficili in Antioquia, in Colombia, zona montagnosa. Ma ci sono delle cose che colpiscono: ad esempio il fatto che l’aereo fosse lo stesso utilizzato dall’Argentina 18 giorni fa.

E non doveva essere il loro aereo per il Brasile. Perché, per disposizioni internazionali, loro dovevano viaggiare su un volo charter diretto da San Paolo. Invece c’è stato questo cambio con lo scalo a La Paz, in Bolivia, e questo aereo che li stava portando a Medellin che è arrivato fin quasi all’aeroporto di destinazione. E poi c’è stato questo contatto con la torre di controllo per un guasto elettrico e alla fine lo schianto. Le informazioni sono ancora frammentarie. La cosa francamente più difficile da seguire, da accettare, sono le notizie riguardanti proprio la condizione dei passeggeri… Danilo che sembrava essersi salvato e invece purtroppo no. È veramente la parte più difficile del nostro lavoro, sembra retorica, sembra scontato ma è così. È una giornata in cui vorresti fare un lavoro diverso, vorresti essere da un’altra parte.

A proposito del discorso sulla retorica: era davvero la partita più importante della loro storia. Cioè questi nel 2009 facevano la quarta serie brasiliana e domani si sarebbero andati a giocare la finale di un torneo continentale. È assurdo.

La Chapecoense era la così detta favola del semestre. Noi che seguiamo il calcio sudamericano ci abbiamo fatto quasi il callo con ‘ste cose. Nel senso che diventa quasi una cosa che si guarda diversamente. L’anno scorso in Europa abbiamo vissuto l’epopea del Leicester ed è stata una cosa che ha un po’ unito tutti, ma in Sudamerica succede quasi ogni sei mesi. Nella scorsa Libertadores c’era l’Indipendiente del Valle, quest’anno nel Sudamericano c’era la Chapecoense. Questo suscita quasi il sentimento: “Ma no, speriamo che vinca una grande”. Fa quasi più storia la restaurazione di una grande che la sorpresa.

Però la Chapecoense era una cosa diversa, era un progetto che era fiorito negli anni. Meno di dieci anni fa questo era un club di quarta divisione, poco più di cinque anni fa sembrava destinato a sparire. Quando Bruno Rangel ha firmato per la Chapecoense nel 2013 non c’era campo d’allenamento, non c’era palestra, non c’era nulla. Erano neopromossi in seconda divisione e adesso erano arrivati fin qua, ma progressivamente. Va ricordato che l’anno scorso sono arrivati fino ai quarti di finali della Coppa Sudamericana, hanno battuto il River Plate. Era una squadra pronta per arrivare a giocarsi veramente la storia all’interno di una grandissima storia. Perché contro l’Atletico Nacional de Medellin che poteva essere la prima e l’ultima nel calcio sudamericano a vincere Libertadores e Sudamericana nello stesso anno. Per cui c’erano veramente tutti i tasselli per raccontare ancora qualcosa di mitico, di unico, di bellissimo.

E invece ci tocca raccontare questo.

Che tipo di squadra era? Madonna è terribile utilizzare…

…Terribile. Utilizzare l’imperfetto. Era una squadra vera, forgiata dalla crescita dal basso verso l’alto. Con tanti profili differenti. Chi viveva il sogno, chi lo stava per vivere. Perché c’erano giocatori come Thiego, come Dener che erano pronti a capitalizzare questa grande epopea firmando per grandi club come il Santos o il San Paolo. C’era anche il veterano, Cléber Santana: ne aveva vissute tante in Sudamerica, in Europa. Era il leader di questa squadra. Bruno Rangel, di cui ti parlavo poco fa. Kempes, che era la sua riserva. Era un altro trentaquattrenne che, dopo innumerevoli viaggi, aveva firmato per un anno e viveva la sua ultima grande avventura, e la stava vivendo benissimo: nove gol nel Brasilerao. Era una squadra che aveva meritato assolutamente di arrivare fino alla finale eliminando Independiente, San Lorenzo.

Quella parata sulla linea all’ultimo secondo della semifinale di ritorno. Piede sulla linea a tirar fuori il pallone, a fare la storia, a regalare grande avventura… forse adesso ti viene da pensare che era meglio se quel pallone fosse entrato.

E adesso che succede?

Non lo so, ci pensavo stamattina venendo a lavoro. Si possono fare tante cose. Questa partita non so se si giocherà, come verrà giocata. Forse non bisognerebbe assegnare la coppa o forse bisognerebbe darla alla Chapecoense. Non lo so. Quando successe la tragedia del Grande Torino, il Torino aveva già vinto matematicamente il campionato e ci fu la straziante scena della partita dopo giocata dalla Primavera con i giocatori del Genoa che appuntarono lo scudetto sulle maglie di questi ragazzi. Non so cosa si deciderà di fare e sarà una decisione molto complicata. Tutto quello che decidono va bene, sostanzialmente. Ormai questa Coppa Sudamericana non ha più senso.

Hai fatto un accenno al Torino: il Torino ha fatto un tweet che ti strappa il cuore da dentro, dicendo “Uniti nello stesso destino”. Ma secondo me il tweet più straziante in assoluto è quello che ritrae la foto dello spogliatoio con i calciatori che non sono andati. Non so se hai avuto modo di vederlo.

L’ho visto. Ti riporto le parole di Sauro Tomà, che è l’unico del Grande Torino che si è salvato perché si era fatto male prima della trasferta di Lisbona e non è mai partito con la squadra. Lui dice a un certo punto che ha pensato più volte che avrebbe preferito essere su quell’aereo con i suoi compagni. E questo ci dice tutto.

Perché il dolore più grande quando succedono queste cose è sempre in chi rimane, effettivamente.

Loro non ci sono più. Tu ci sei ancora e la tua vita è segnata. E non c’è altro da dire, fondamentalmente.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura