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→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
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Redazione
Il classificone: Febbraio
06 mar 2014
06 mar 2014
I gol più belli, i giocatori più forti, il ruolo calcistico, i peggiori tweet, l'uomo-NBA, le storie strappalacrime, il meglio del tennis, le interviste più interessanti del mese più breve dell'anno.
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INTRODUZIONE: FLORAdi Tim Small (@yestimsmall) Siamo ormai giunti al quarto classificone del mese, la rubrica in cui raccogliamo il meglio del mese appena terminato in termini sportivi, avvalendoci dell'aiuto di un ampio gruppo di nostri collaboratori. Personalmente, ho partecipato solo alla prima edizione, raccontandovi il perché di questa rubrica, e parlandovi del frutto del mese (si trattava di novembre; era il caco) e del fiore del mese (la calla). Dato che non penso che sia più necessario raccontarvi il perché di questa rubrica, ho deciso di concentrarmi sugli altri due aspetti. Il frutto del mese: tompinambur

Il frutto del mese, per il mese di febbraio, è molto difficile da scegliere. A livello di frutta-frutta, non offre molto: limoni, pompelmi, stop. Non che non ami gli agrumi, anzi, ma fatico molto a trovar loro un uso. E soprattutto, soffrono, nella mia personale opinione, il confronto col re di tutti gli agrumi, aka l'arancia. Anche a livello di verdura, però, non c'è poi molto. Le bietole? Chi ama le bietole? I carciofi sono meravigliosi, deliziosi, ma sono in giro a febbraio quest'anno solo per via dell'inverno particolarmente mite: sono più verdure primaverili che invernali. Ergo, ho deciso di scegliere il topinambur, anche noto come il "jerusalem artichoke" o il "sun artichoke" in inglese, per via del fatto che, alla fine, stiamo parlando dell'unico tubero che può vantarsi di "sapere di carciofi", e perché cresce al sole. Il topinambur è conosciuto in piemonte, dove viene usato molto, ma se non lo conoscete ve lo consiglio. È molto ferroso, è buono crudo con un po' di limone, e tende a lasciarti le mani nere (proprio come il carciofo), quindi vi consiglio di tenere una ciotola d'acqa e limone a portata di mano quando lo preparate. Secondo classificato: cavoletto di Bruxelles.Il fiore del mese: biancospino

Le azalee sono elegantissime, e ho appena avuto modo di acquistarne una pianta immensa, bella, tutta fiorita, bianca. Il fiorista mi ha detto che si trattava di "azalee di fiume". Splendide. Purtroppo, sono più di marzo che di febbraio. Dato che, nella mia personale opinione, i fiori più belli sono quelli bianchi, ho deciso di scegliere il fiore di febbraio che è talmente bianco che ha pura la parola nel nome: il biancospino. Ma come, direte voi, e le rose? Bah, risponderei. Sopravvalutate. Secondo classificato: bucaneve. Terminato questo breve quanto inutile excursus nella flora di febbraio, vi auguro di divertirvi con le prossime otto classifiche. I GOL DEL MESEdi Daniele Manusia (@DManusia)10. Kwadwo Asamoah. 16 febbraio. Juventus - Chievo 1-0 (finale: 3-1). Assist: Fernando Llorente http://youtu.be/pI3CbZ8-3bI?t=53s Non so se dipende da una mia predisposizione in questo periodo ma ho l'impressione che questo mese ci siano stati davvero dei gol eccezionali. Ho scelto di cominciare con questo gol perché è il più normale del gruppo. È bella l'azione, il movimento esterno-interno di Asamoah, è bello anche il triangolo con Llorente ed è bella la nonchalance con cui calcia Asamoah (dall'inquadratura del video si vede particolarmente bene quella frazione di secondo precedente al tiro in cui “Asa” rilassa i muscoli del proprio corpo sicuro che ormai il più è fatto). 9. Emmanuel Badu. 8 febbraio. Udinese - Chievo 3-0. Assist: Bruno Fernandes http://www.youtube.com/watch?v=zxmVRSnSJrc In questa stessa partita, vale la pena ricordarlo dato che ha già annunciato il ritiro al termine della stagione, Di Natale ha segnato uno dei suoi ultimi “alla Di Natale” (collo destro al volo sul secondo palo). Ma il gol di Badu è un ottimo esempio del meglio che il calcio verticale sa offrire. Sembra, anzi, un esercizio da scuola calcio. Solo che qui ci sono gli avversari. Prima l'incrocio tra Muriel e Bruno Fernandes, poi il no look di ritorno di quest'ultimo, e infine l'inserimento di Badu che arriva addirittura prima di Muriel sulla palla. L'Udinese non sembra in grado di risalire la classifica come ha fatto lo scorso anno, e non ho un'opinione precisa sull'ipotesi Guidolin selezionatore della Nazionale, so solo che la sua Udinese ci ha regalato bei momenti di calcio negli ultimi anni, e anche adesso è capace di belle cose come questa. 8. Gonzalo Higuaín. 24 febbraio. Napoli - Genoa 1-0 (finale 1–1). Assist: Marek Hamšík http://www.youtube.com/watch?v=q5MXfJfRnpc Tanto per cominciare qui c'è un gran filtrante di Hamšík che quando gioca fronte alla porta torna ad essere uno dei migliori giocatori del campionato. Poi il movimento del “Pipita” che, da quando ho scoperto che sua madre fa la pittrice e per non farsi rompere i vetri del salotto ha fatto costruire una piscina in giardino, non riesco a non immaginare bambino con la camicia bianca sbottonata, le guance rosse senza barba e la fronte sudata. Lo immagino buttare la cartella in terra e scattare sul filo del fuorigioco, guardare la palla per sincronizzare la propria corsa e al tempo stesso, con la coda dell'occhio, il portiere in uscita che poi scavalca con un tocco sotto cinico e raffinato. Da bambino benestante ma non per questo frivolo. 7. Stefan Radu. Lazio - Sassuolo 1-0 (finale 3-2). Assist: Cristian Ledesma http://www.youtube.com/watch?v=opKzOn9EU6E Da difensore che si spinge in avanti solo sui calci d'angolo e che tira più di una volta a partita da centrocampo spedendo la palla oltre le recinzioni del campo, non posso non rispettare un gol del genere. Questo è il secondo gol di Radu in Serie A in sei stagione e mezzo. Notevole la precisione con cui indirizza la palla, facendola girare appena verso l'esterno, all'incrocio del primo palo. È esattamente il tipo di tiro che penso uscirà dai miei piedi ogni volta, prima di perdere il pallone nel Tevere. 6. Adel Taarabt. 8 febbraio. Napoli–Milan 0–1 (finale 3–1). Assist: palla recuperata a centrocampo http://youtu.be/DCignqrAnjM?t=24s Dal diario di Adel Taarabt: 9 febbraio 2014. «Caro diario, sono passato dalla panchina di una squadra di Championship all'undici titolare di una grande italiana. Anche se il Milan è in un periodo di crisi mi dà la possibilità di giocare gli ottavi di Champions League. Mi sento fortunato, al tempo stesso so di meritarlo, è il resto che non capisco, tutti quegli allenatori che... Ma adesso posso dire che è acqua passata. Ho esordito al San Paolo con il Napoli terzo in classifica; ho rubato palla a centrocampo dopo 7 minuti e ho puntato direttamente la porta avversaria come se non ci fosse stato un domani. Poi ho rallentato perché comunque non sono nella mia forma migliore, ah ah, anche il Maradona dentro di me sapeva che non sono ancora in grado di fare tutto da solo. Poi però ho cambiato idea sulla questione “fare tutto da solo” e ho calciato a giro rasoterra sul secondo palo. Voglio dire, la difesa del Napoli continuava a indietreggiare come se fossi stato un giocatore qualsiasi. Ho cercato di mantenere un atteggiamento professionale e sicuro al tempo stesso. Ho pensato a quando da piccolo papà mi portava al mini-golf di Marsiglia. Ero così più bravo di lui che mi avvicinavo alla buca il più possibile, poi la mettevo dentro da pochi centimetri tenendo la mazza con una mano sola. Papà si arrabbiava, ma adesso che ci penso magari mi lasciava vincere. Mi sono sentito come se la palla fosse solo a qualche centimetro dalla buca di porta. Perché la vita non è sempre così facile? Mentre esultavo ho ripensato a tutti quegli allenatori che... E sono corso ad esultare abbracciando Seedorf, anche lui è arrivato al Milan solo da qualche settimana. Sembra simpatico.» 5. Matías Fernández. 24 febbraio. Fiorentina–Parma 2–2. Punizione. http://www.youtube.com/watch?v=F2h4RA7rNC4 Come avete in parte visto e come vedrete nelle prossime posizioni di classifica febbraio è stato un mese di tiri da fuori incredibili. La punizione di “Mati” Fernández ha una curva opposta a quella solita, a uscire sul palo del portiere anziché a rientrare sopra la barriera. A volte una soluzione di questo tipo coglie impreparato il portiere pronto a tuffarsi dalla parte opposta, ma in questo caso specifico no. Mirante non si muove, parte forse un po' in ritardo ma la palla gira e accelera all'improvviso e se non arriva sulla palla è perché il tiro di “Mati” non solo lo scavalca ma finisce nella parte laterale della rete di porta (quella che i francesi chiamano petit filet, la “retina”). Anzi, se guardate l'ultimo replay si vede anche che Mirante la sfiora. 4. Rafal Wolski. 8 febbraio. Fiorentina–Atalanta 2–0. Assist: Matías Fernández http://www.youtube.com/watch?v=c38q1CxUY38 Secondo una definizione dell'Avvocato Agnelli, che non ricordo dove ho letto e che parafraso: l'eleganza dipende dall'impressione che non ci sia sforzo. Ecco, adesso proviamo a scomporre questo gol per capire quanta fatica ci sia invece dietro gol difficili come questo che però l'eleganza dell'esecuzione fa sembrare semplici. Lanciato in contropiede da una scivolata di Matías Fernández, Wolski percorre velocissimo i primi trenta metri della metà campo atalantina, si porta avanti la palla di destro, poi rallenta controllando di sinistro sulla trequarti, poi con il tacco sinistro [0:07] se la porta nuovamente sul destro quando vede arrivare il primo difensore; se l'allunga di nuovo e fa appena in tempo a tirare il freno a mano [0:09] ed eseguire un cambio di piede destro-sinistro con cui si infila nello spazio tra quel difensore e i tre che arrivano da dietro; protegge palla con il sinistro [0:10] dalla carica del secondo difensore; e poi, cadendo, conclude di destro rasoterra sul secondo palo anticipando il portiere in uscita. Vedete quante cose si possono fare in quattro secondi? 3. Emerson Ramos Borges. 16 febbraio. Livorno - Cagliari 0-1 (finale: 1-2). Assist: Benassi. Se si può definire assist un passaggio al centrale difensivo che tira in porta da 40 metri

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Emerson ha esordito a 33 anni in Serie A e ha segnato due gol finora. Il primo era un tiro da trentacinque metri dritto sotto la traversa . Il secondo è questa cosa qui sopra, da ancora più lontano. Da dietro si vede bene che Emerson colpisce la palla di collo esterno e con una traiettoria a uscire, un angolo ottuso che di solito si vede in tiri sbagliati che finiscono in tribuna. Qui se preferite c'è un video con dei replay confusi tipo camera a mano, tipo Cloverfield, perché il cameraman non riesce a seguire la traiettoria del tiro, ma se guardate un numero sufficiente di volte la gif vedrete che succede qualcosa quando, da questa prospettiva, il pallone è più o meno all'altezza della bandierina del calcio d'angolo. Quasi impercettibilmente la palla si abbassa e si rialza stabilizzandosi finché non arriva in porta, Emerson in qualche modo è riuscito a dare alla palla la traiettoria degli aeroplanini di carta. 2. Stephan Lichtsteiner. 2 febbraio. Juventus - Inter 1-0 (finale 3-1). Assist: Andrea Pirlo e il misticismo nel calcio

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Questo gol sarebbe potuto essere in cima alla classifica di febbraio non tanto per l'azione corale (che qui potete vedere per intero, facendo caso a come la Juventus recuperi palla con un pressing altissimo portato addirittura da Chiellini, accompagnato da Pogba, Tévez e Asamoah che costringe al rilancio Jonathan) quanto per la palla incredibile di Pirlo. Così incredibile da distinguersi, almeno a mio umile giudizio, dal resto delle palle incredibili date da Pirlo in una carriera prolifica sotto questo profilo. La palla di Asamoah viene da sinistra. È alta, anche abbastanza forte, Pirlo deve spostarsi di qualche passo per stopparla di petto e già il fatto che ci riesca non è comune. Pirlo poi aggiunge subito un tocco di sinistro per spostarsi la palla sul destro che lo prepara, come se già lo sapesse, all'assist per Lichtsteiner dalla parte opposta. Ho scritto come se già lo sapesse perché non è affatto normale sapere una cosa del genere. Pirlo ci ha pensato così rapidamente che sembra non averci pensato affatto, come se fosse un unico gesto. O meglio, sembra che Pirlo abbia fatto quel tocco di sinistro in funzione del movimento di Lichtsteiner che però non poteva conoscere. Volendo si potrebbe scomporre il gesto in due parti: Pirlo prima si sposta la palla sul destro poi vede il movimento di Lichtsteiner. E magari sarà dovuto a una serie di schemi provati in allenamento (o dall'abitudine di Pirlo di passare il sale e il pepe a tavola a Lichtsteiner—come nel video geniale caricato dalla Juventus sul suo canale YouTube). Ma a me ha fatto pensare ad alcune letture mistiche svolte in passato secondo cui è possibile percepire il tempo invertito, ad esempio nei sogni. Credo che per Pirlo sia venuto prima il movimento di Lichtsteiner e poi il suo controllo di palla (prima la conseguenza poi la causa). Che Pirlo, insomma, sia un mistico che anziché meditare gioca playmaker. 1. Mario Balotelli. 14 febbraio. Milan–Bologna 1–0. Assist: Montolivo, ma ho molti dubbi che anche questo possa essere considerato un assist.

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Considerate le differenze tra questo gol e quello di Emerson al terzo posto. Anzitutto Balotelli è più vicino. Ma anche più laterale. Quindi la porta, da dove la vede lui, è più stretta. Per questo se guardate Curci quando si tuffa, non resta molto spazio libero. La traiettoria del pallone è praticamente dritta (come si vede qui dal terzo replay). Curci non ci arriva perché la palla percorre il 90% del proprio tragitto a un'altezza per lui irraggiungibile. È un passo fuori dai pali, forse due, e la palla scende solo una volta che lo ha superato. Scrivendo di Taarabt su queste stesse pagine il direttore Tim Small a un certo punto dice di amare i calciatori problematici, quelli con un talento che li potrebbe portare in cima al mondo ma che lottano con i loro demoni, perché: «Quando ci riescono, è quasi commovente. Quando non ci riescono, soffro per loro». Ho letto queste parole in un periodo complicato sul piano personale e mi è sembrato di vedere qualcosa di importante. Ho pensato che in Italia il calcio di solito viene interpretato in chiave morale, e la morale italiana dei calciatori problematici è che hanno sbagliato a sentirsi speciali, che a noi italiani non piace quando qualcuno non sta con i piedi per terra o non fa sforzi per piacerci. Noi italiani vogliamo vedere Balotelli fallire perché così si giustificherebbero tutti i compromessi e i sacrifici che, in un periodo storico complicato, siamo costretti a compiere quotidianamente, tutti i nostri sorrisi forzosi, quella fiducia nel futuro fatalista che ci fa essere educati. O che comunque non ci fa perdere la testa, piangendo ad esempio davanti a migliaia di persone. Balotelli segna questo gol a cinque minuti dal termine di un pareggio a reti inviolate, lo segna in una situazione complicata (a trequarti di campo, calciando di destro da destra, senza giro), senza che a nessuno spettatore o avversario fosse venuto in mente che da lì Balotelli potesse tirare. Una cosa così inaspettata, nella monotonia di uno 0-0, che rende evidente quanto Balotelli sia speciale. E che anche se per lui è difficile essere sempre speciale, quando ci riesce «è quasi commovente». I 3 GIOCATORI DEL MESEdi Fabrizio Gabrielli (@conversedijulio)3. Mattia Cassani, Parma Il Parma non perde dal 2 Novembre dell’anno scorso. Sì, andate a controllare. Tredici risultati utili consecutivi. No, per dire. A febbraio ha passeggiato a Bergamo sull’Atalanta due settimane dopo che l’Atalanta aveva passeggiato sul Napoli (la silloge è valida: il Parma ha passeggiato pure sul Napoli al San Paolo). E allora viene da pensare subito a Cassano. Certo, ovviamente. E poi Amauri, ça va sans dire. Il simbolo di questa inossidabilità parmense, però, va cercato altrove. In difesa, a destra della riga al centro di Paletta. Mattia Cassani da Borgomanero, nell’idea di gioco di Donadoni, interpreta (forse è rimasto l’unico in Italia?) il ruolo di terzino, appunto, all’italiana: uno per il quale la priorità è difendere, e saper scendere sulla fascia fino alla trequarti avversaria è un simpatico diversivo più che una conditio sine qua non.

Con Mattia Cassani, la fascia destra difensiva del Parma è ben coperta (anche senza ricorrere alla maglia in lana grezza)

2. Omar El Kaddouri, Torino Figuraccia casalinga contro il Bologna a parte—condita da un’ingenuità macroscopica del belga-marocchino, colpevole d’essersi allontanato dal campo di gioco per chiedere il cambio maglia lasciando di fatto i suoi in dieci in fase difensiva—il Torino di Cerci, Immobile e appunto El Kaddouri è proprio in forma smagliante. Così in alto in classifica che non succedeva dagli anni ’90. Nel mese appena trascorso ha raccolto un pari a San Siro contro il Milan e soprattutto una vittoria al Bentegodi, contro un Verona contendente a un posto UEFA, una vittoria schiacciante in cui El Kaddouri ha caricato a pallettoni le canne mozze di Immobile e Cerci tenendosi per sé la stoccata conclusiva, da sicario rancoroso e vendichevole (Verona capitava una settimana esatta dopo il Bologna). Una vittoria che ha permesso al Toro di arrivare al Derby meno depresso di quanto non sia accaduto negli ultimi anni. Ora, se siete tentati da maliziose insinuazioni, sappiate che non sto facendo tutto un discorso su El Kaddouri solo ed esclusivamente à la agent provocateur, per arrivare al fallo di Pirlo. http://www.youtube.com/watch?v=J3awo68mn0U

L'esatta pronuncia di El Kaddouri è Al Kaddouri

1. Paulo Sérgio Betanin “Paulinho”, Livorno Paulinho nell’ultima di campionato è entrato in doppia cifra, e nel mese appena trascorso è andato a segno in tutte le partite in cui il Livorno è andato a segno. Ha messo una firma nell’importante vittoria a Cagliari e nel pareggio del Massimino contro il Catania: è fin troppo ovvio che sia lui il faro degli amaranto. Nondimeno, visto che non ho il piacere di conoscere troppo approfonditamente le sue gesta, mi è venuto in mente di chiedere a uno dei miei due amici tifosi del Livorno (contingentemente sono entrambi scrittori, ed entrambi molto bravi), che si chiama Simone Ghelli (l’altro è Alberto Prunetti), di raccontarmi "tre cose che non so di Paulinho". In soldoni i’ Ghelli ci ha tenuto a farmi sapere che «intanto va detto che Paulinho s’è fatto tanta gavetta. [...] Anche Emerson, brasiliano dal tiro alla Zico, ha una storia simile, che se non era per Davide Nicola stava ancora al Lumezzane [...] Paulinho corre tanto, a volte fa reparto da solo, la palla dai piedi—come ogni buon brasiliano che si rispetti—difficilmente gliela togli. [...] Il suo punto forte, secondo me, è lo stop a seguire di petto, quando si accentra dalla diagonale, e tira». Paulo Sérgio Betanin, nel 2004, gioca con la Juventude di Caixa do Sul, la città in cui è nato. Ha diciotto anni, e voglia di sfondare nel calcio del Vecchio Continente. Sostiene un provino con il Chelsea di Mourinho, che lo vede piuttosto abbattuto, lo avvicina e gli confida «hai grandi potenzialità, ma devi crederci di più». Poi si ferma in prova per una settimana all’Inter. Si allena con la Primavera, alla Pinetina: dall’altra parte del complesso sgambettano Alvaro Recoba, Adriano, Materazzi. Al suo ritorno in Brasile, viene convocato per uno stage della Seleçao Under 20. Durante una trasferta in Colombia gli arriva una proposta da parte del Livorno. Ma la proposta è in italiano, e Betanin—nonostante i nonni veneti—non capisce una parola d’italiano. Ora: il direttore tecnico di quella Seleçao Under 20 è Cláudio Vaz Leal Branco, il terzino famoso per le punizioni turbo-missile, quello che mandò in frantumi la porta del Liverpool. Branco fa quel che ci si aspetta faccia un allenatore, un padre, un mentore: traduce, dispensa suggerimenti, snocciola aneddoti. Conosce personalmente Spinelli, che di quel Genoa dei miracoli, semifinalista UEFA nella stagione 1991-1992, era presidente. È così che nell’estate del 2005, a 19 anni, Paulinho viene tesserato dalla società labronica. È ingenuo, Paulinho, e sprovveduto: non ha neppure una macchina per andare agli allenamenti. Per questo si fa passare a prendere tutti i giorni da José Luis Vidigal. In due stagioni gioca pochissimo, segnando solo due reti: il reparto offensivo è formato da Cristiano Lucarelli, Igor Protti, e poi Palladino, Danilevicius, Bakayoko. Come fai a trovar posto? Paulinho decide allora di accettare la destinazione Grosseto, in prestito. Per raggiungere il capoluogo maremmano, per la prima volta nella sua vita, sale su un treno. «Per farsi le ossa bisogna fare esperienza, e prendere le botte», ha detto in un’intervista. Anche i treni, a volte. Ma le botte più di tutti; e in Italia il posto migliore per prenderne di santa ragione è la Lega Pro. Ed è là che Paulinho, in quello che potrebbe apparire il nadir della sua carriera e che invece si rivelerà l’ultima curva in salita prima del discesone su cui battere in volata, finisce: in Lega Pro, con il Sorrento, spinto anche dal tecnico amaranto Ruotolo, che in Costiera ha chiuso la carriera. Sulla panchina dei rossoneri campani Paulinho incontra Simonelli, O’ Professore, un tecnico che reputa fondamentale per la sua crescita professionale. Un lunedì, dopo aver raccolto un 2-2 deludente ad Alessandria, Simonelli fa provare e riprovare, fino allo sfinimento, fino alla nausea, alcuni schemi su calcio d’angolo. La squadra non risponde come vorrebbe. «Vuje durmite, Scetammece!», grida Simonelli. In una pausa Paulinho tutto dimesso va dai compagni: «Scusate, cos’è che ha detto il mister?» Da Sorrento Paulinho è tornato a Livorno più cosciente dei suoi mezzi, più deciso. Sulle braccia si è tatuato una frase da Lettera ai Filippesi: «Tutto posso in Colui che mi dà la forza». Indossa un teschio d’argento incastonato in un filo di caucciù. «La vita la affronto così: con la faccia cattiva e il sorriso», dice. In due campagne con gli amaranto, in B, ha segnato più di trenta reti, venti nell’ultima, la stagione della risalita in A, inclusa quella nel playoff contro l’Empoli, che considera la sua rete più importante. In estate, secondo Spinelli, Juventus, Inter, Sampdoria (il cui presidente Garrone era stato molto esplicito) e alcuni non meglio identificati club russi si erano proposti per acquisire le prestazioni del brasiliano, che però ha deciso di firmare un rinnovo fino al 2018, di legare il suo destino a quello degli amaranto. Paulinho cercherà di salvare il Livorno dalla retrocessione. Magari ci riuscirà, magari no. Di certo, a ritagliarsi un posto tra i verdeoro per i prossimi Mondiali non ci pensa minimamente. «Brasile? Non scherziamo, sarò già felice di andare a vedere qualche partita da spettatore, visto che i Mondiali li fanno vicino a casa mia.»

"Tutto posso in Colui che mi dà la forza"

IL RUOLO DEL MESEdi Emiliano Battazzi (@e_batta) La paura di veder scomparire il nobile ruolo del centravanti è quanto meno esagerata: è vero che ormai proliferano nuove (neanche troppo) figure calcistiche, e su tutti i campi il falso nueve attira l'ammirazione dei neofiti (eh sì, niente si inventa), eppure, ci sono più tipologie di centravanti nelle aree di rigore della Serie A che tipi di impiegati sulla Prospettiva Nevskij di metà Ottocento. Un primo tipo di centravanti che non manca e mai mancherà in Serie A è quello d'area di rigore. In quei 16 metri si possono svolgere più tipi di lavoro: ci si può nascondere dietro il centrale avversario e aspettare la possibilità di segnare un gol dall'unico pallone capitato di lì, magari per sbaglio. Perché il centravanti d'area di rigore gioca poco con la squadra e fondamentalmente deve fare gol. Più degli altri. “Miro” Klose Un grande esempio, forse il più grande nel nostro campionato, è Klose, centravanti tedesco con il record di gol segnati con la maglia della propria Nazionale. Nel recente Lazio-Sassuolo, Klose ha toccato il pallone per 30 volte, una in meno del portiere Berisha. E qui forse bisognerebbe ripensare al cliché sulla solitudine del portiere: certi attaccanti hanno molto più tempo libero a disposizione, durante le partite.

Fare solo 15 passaggi in una partita, e risultare decisivo con un gol

Ma il centravanti d'area, attenzione, non è inutile per la squadra: garantisce sempre la profondità, aiutando i compagni con un punto di riferimento sicuro in attacco; garantisce l’utilità dei cross dalle fasce, aiutando così ad attivare un meccanismo di gioco tutto sommato semplice. Sui cross bassi fa quella finta indietro-avanti che sembra sempre la stessa eppure finisce sempre con un gol. Insomma, il centravanti d'area è quel giocatore che è contento solo quando segna, e che solo quando segna ha davvero fatto il suo compito. Altrimenti, sembra spesso inutile, sebbene non lo sia. Ma non capita spesso e quindi un centravanti così nella mia squadra ideale lo vorrei sempre. L'uomo target e il valore della “spizzata” Poi c'è quel tipo di numero 9 così classico che probabilmente era già un classico al The Oval di Londra nella prima sfida tra Inghilterra e Scozia nel 1870. In sostanza l'uomo target è il centravanti forte fisicamente, molto alto, ma non c'è bisogno che sia alto come Crouch, va bene anche qualche centimetro in meno. L'unica caratteristica tattica che condivide con il centravanti d'area è la capacità di dare profondità alla squadra, ma partecipa maggiormente al gioco. Partecipa con la “spizzata” (credo sia un termine di origine romanesca ma ormai abbastanza diffuso): la deviazione di testa per gli inserimenti degli esterni (si dice che la “spizzata” sia oggetto di lezione a Coverciano); o addomesticando i lanci lunghi della difesa, sistemandoli, difendendo il pallone nonostante un paio di avversari aggrappati, dando modo ai compagni di rifiatare e/o di salire in avanti. Questo tipo di centravanti è capace di spostare le difese avversarie: a livello tattico, le linee difensive nemiche sono costrette ad arretrare.

Grafico Squawka: Quanto è profondo Luca Toni?

Toni e Llorente Luca Toni è stato capocannoniere in Serie B, Serie A, Bundesliga e Coppa UEFA. Toni, però, è uno che vince spesso anche la classifica dei falli subiti e dei falli fatti. Un'altra grande caratteristica di questi grandi (in tutti i sensi) giocatori: la capacità di prendere spesso un calcio di punizione in zone avanzate del campo, regalando il tempo per rifiatare, se non un'opportunità al compagno specialista dei calci piazzati. All'età di 36 anni, Luca Toni si sta prendendo ancora molte soddisfazioni ed è il perno offensivo dell'ottimo Verona di questa stagione (13 gol e 7 assist). La dimostrazione che il target man, quando sa fare bene il suo mestiere, non conosce età (anche perché il dinamismo non è caratteristica richiesta). http://www.youtube.com/watch?v=gtocMCF7iMU&t=4m10s

Llorente spalle alla porta resiste a tutti gli avversari e pulisce un pallone per Tévez

Un altro che segna molto nonostante la mole è Fernando Llorente. Una delle abilità tipiche del target man è di giocare spesso spalle alla porta, e lo spagnolo sa farlo molto bene. Può sembrare una cosa da niente, ma non deve essere facile giocare spalle alla porta, e provateci voi magari a scrivere spalle al mon

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