I migliori #cambioverso
di Fulvio Paglialunga (@FulvioPaglia)
È il bisogno di esprimere un giudizio ogni giorno, in contrasto con il vantaggio di guardare tutto dopo. Ma è anche la conseguenza di un calcio sgonfio che ogni tanto si sente il bisogno di elevare, sperando che nascano fenomeni o che si prestino sponde al racconto bello, dunque epico.
Poi, però, il calcio si gioca anche e tutta la poesia di cui si vuol caricare si spegne a volte di fronte ai risultati. Così si cambiano pareri, gli eroi diventano brocchi e ogni tanto anche il contrario. Sono i #cambioverso del pallone, dopo venti giornate di campionato.
Inzaghi, dalla rivoluzione ai dubbi
Nulla dice che Inzaghi non diventerà un grande allenatore, ma nulla poteva darlo per certo a giugno, quando ha preso il posto di Seedorf e sembrava tutta una svolta, tutta una sequenza di gesti alternativi: sembrava rivoluzionario anche che un allenatore facesse allenare la sua squadra, nella furia di chi cerca un Guardiola di casa nostra e se lo costruisce con l'immaginazione, prima che col campo. Poi la vittoria con la Lazio alla prima e a Parma alla seconda (con tre e cinque gol segnati) e il nuovo mago è servito.
E Diavolo d'un Pippo, come da titolo.
Il titolo è di ottobre, quando il Milan era per tutti favorito per il terzo posto mentre adesso è all'ottavo e la difesa che nel titolo era “più sicura” ora è in grado di regalare gol così agli avversari.
Certo non è colpa di Inzaghi se in un Lazio-Milan di otto anni fa (per restare al post Calciopoli) giocavano Dida, Stam, Nesta, Kaladze, Serginho, Seedorf, Pirlo, Gattuso, Kakà, Shevchenko e Gilardino e adesso giocano Diego Lopez, Mexes, Abate, Armero, Alex, Poli, Montolivo, van Ginkel, Menez, Bonaventura ed El Shaarawy.
E però andavano spese parole più caute prima, perché ora il tecnico che doveva cambiare il calcio italiano partendo da quello milanese è in discussione ogni ora. Poi Berlusconi deve chiamare Galliani dopo l'ennesima sconfitta in Coppa Italia per dire di lasciarlo lì, e lui improvvisamente si sente Ferguson e lo dice, per chiedere sette anni di pazienza (che uno li ha pure, soprattutto se non è milanista). E però potevano dirlo prima, senza che i giornali si lanciassero nell'agiografia anticipata del tecnico innovativo che faceva allenare i giocatori. (Piccolo inciso per i prossimi nuovi Guardiola in arrivo: Pep, prima di diventare l'allenatore del Barcellona, ha allenato la squadra B degli spagnoli. Servono anche a questo: ad allevare tecnici. E no: SuperPippo alla Primavera del Milan non vale: non sono la stessa cosa).
Torres non era un bidone
Su Fernando Torres va dato atto che l'esaltazione è stata contenuta. A parte Inzaghi (ops, di nuovo) che si lanciò in paroloni come: «Non scopro io il Torres giocatore, chi ha segnato quasi 300 gol non disimpara a farlo. Ma quando Mourinho mi detto che era il primo ad arrivare al campo e che si allenava con professionalità, ogni dubbio è scomparso», tutto il resto della critica e dei dintorni si è mantenuto cauto. Per l'idea che fosse bollito (ma a trent'anni forse è ancora presto?), per quel concetto ormai diffuso secondo cui un giocatore di nome viene in Italia ormai solo quando non ha più niente da dire e per un ragionamento semplice: se per Mou era questo esempio di professionalità perché avrebbe dovuto liberarsene. Quindi per Torres bastano un po' di partite senza gol (uno solo, contro l'Empoli) per caricare chi era cauto e aspettava soltanto il momento: è per tutti finalmente il bidone, con tanto di titolo e analisi spietate.
Bidone. Siamo tutti d'accordo? Oppure ha ragione Inzaghi e quindi uno che ha segnato quasi 300 gol non potrà dimenticarsi come si fanno? Aspettare, magari. Anzi, no: Torres va sacrificato, perché il Milan non funziona e con qualcuno bisogna prendersela e questo è ingombrante e guadagna troppo ed è meglio restituirlo, fagli fare un giro per tornare all'Atletico Madrid, con l'Italia che si fa furba e sotto sotto sghignazza e poi guarda Madrid che invece impazzisce. E sono 45mila in uno stadio solo per salutare il ritorno del Niño.
E uno si domanda perché tutto questo e la risposta è poco dopo, perché Torres fa una doppietta in Copa del Rey, nel ritorno contro il Real Madrid e poi lo ha fatto di nuovo, sempre in Coppa, contro il Barcellona. Cioè: in un trofeo che in Spagna vale davvero e contro le due squadre migliori. Dopo i 45mila applausi, i gol. E Torres costringe chi si era mantenuto cauto a mangiarsi le mani, perché forse era l'attaccante che serviva al Milan e invece è andato via come bidone (per Cerci che, a proposito di cambio di verso, era andato all'Atletico con la fidanzata che scriveva “Saluti Serie A, noi ce ne andiamo nel calcio che conta” e adesso è in Serie A. Ci starebbe un altro capitolo, ma poi sarebbe accanimento contro il Milan).
Lazio e Napoli, esoneri o Champions?
Quarta giornata: la Lazio perde in casa contro l'Udinese ed è la terza volta che succede e l'unica vittoria è contro il Cesena che certo non si è presentato con lo sguardo temibile all'avvio del campionato. Quattro giornate, e Lotito ovunque alla ricerca di una dimensione nella Federcalcio in fase di allestimento e la somma diventa semplice: sta sparendo la Lazio e forse Pioli è troppo e chissà quanto dura ancora sulla panchina o comunque così non si può, anche se il gioco non è male, ma la media è da bassa classifica. Dunque, Lazio tra gli imputati e Pioli soprattutto, che se non sterza subito si mette a rischio.
Quindi Lotito pensava alla Figc, Pioli non era all’altezza e la Lazio era incompleta: quattro giornate e via ai processi, pure interni perché il presidente stesso andò nello spogliatoio a sfogarsi con la squadra dopo la sconfitta con l’Udinese. E invece quattro vittorie consecutive subito dopo e adesso la Lazio è da Champions, dicono, nel posto che era prima del Milan (prima di cambiare verso, ovvio) e che attualmente è occupato dal Napoli, un’altra squadra sotto processo dopo quattro giornate (aveva perso in casa contro il Chievo e a Udine e pareggiato al San Paolo con il Palermo) e Benitez a rischio esonero, secondo i giornali.
E adesso chi doveva mirare alla Champions sta chissà dove, chi doveva cambiare allenatore mira alla Champions. Così imparate, dopo quattro giornate appena. Nemmeno Zamparini.
Iturbe se lo dice da solo
Quando la Roma acquista Iturbe i romanisti vanno in estasi: perché è stato uno dei migliori della scorsa stagione, con il Verona, ma soprattutto perché soffiato ai rivali della Juve, dunque una prima vittoria nel duello che da lì a poco si riproporrà in campionato. Iturbe firma e per la Roma è un esborso non da poco. La cifra totale, scrive il Corriere dello Sport, è seconda solo a quella spesa per Batistuta. E per tanti soldi e pochi anni (21) è un affare come pochi, un investimento per un bel po’ di futuro (contratto fino al 2019).
Comincia: gol e assist con il Cska. Si infortuna. Rientra: gol alla Juve. Ok, acquisto giusto. Ma si ferma di nuovo.
Rientra piano, Roma ha fretta, Iturbe ci mette molto a carburare, anzi gioca male, finisce nel frullatore e quindi via...
A un certo punto quasi per smarcarsi se lo dice da solo: «Sono stato un po’ una “pippa”. Però non è facile quando si sta più dal fisioterapista che in campo ad allenarsi. Ho preso tante botte nella mia breve carriera, ultimamente ho pensato che è arrivato il momento di rispondere e dare qualche colpo anche io». Il giudizio di Roma è cambiato, il suo pure. E adesso sta cambiando di nuovo, perché il ragazzo è in ripresa, perché tutti lo vedono meglio e perché con quello che è costato non poteva non essere il promettente campione dell’anno scorso. Era meglio aspettare. Certo, ora l'infortunio farà attendere un po' di più. Però, si cambia verso.