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Fulvio Paglialunga
Il Classificone 1/4: I migliori cambioverso
10 nov 2014
10 nov 2014
I migliori cambioverso della Serie A del primo quarto di stagione: ritorna il rinnovato Classificone, la rubrica più amata de l'Ultimo Uomo. Sempre più coinvolgente, subitanea & seducente.
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Fulvio Paglialunga
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È tutta una questione di approccio: cambiare idea è sempre possibile anche in periodi rapidi, non cambiarla è legittimo soprattutto se si ha una forte convinzione in ciò che si sostiene. Astraendosi dal dover dare per forza un giudizio e per forza in tempo reale, invece, si resta del proprio e si osservano gli altri. Però tra stereotipi e voltafaccia, c'è qualcosa che resta, nel grande racconto della prima metà di mezzo campionato. La classifica senza ordine dei #cambioverso.

 


Nella seconda giornata le milanesi provano a lanciarci messaggi di cui un po' ce ne dovremmo fregare. Invece no. C'è l'Inter che vince 7-0 contro il Sassuolo e Icardi che fa una tripletta e Osvaldo che ne fa due: quindi sembra tutto un trionfo, perché la scommessa Osvaldo è vinta, è l'anno di Icardi e sette gol non sono mai facili da fare. Nemmeno al Sassuolo. O forse al Sassuolo sì, visto che era accaduto anche l'anno scorso, ma quest'anno sembra diverso, anche perché contemporaneamente il Milan ha vinto a Parma 5-4, che è un risultatone e sembra spettacolo: in realtà lo è, ma qui resiste questa forma di stereotipo per cui nel calcio italiano questo risultato è frutto di errori (senza considerare che ogni gol subito è di fondo un errore) e quindi una serie di gol così veloce non è bella da guardare perché mica è il campionato inglese, qui accade perché sono scarsi. Ma questo è lo stereotipo, il punto è che nei giorni successivi, con il Milan a sei punti su sei e l'Inter che ha appena fatto gol sembrava non ci fossero altre squadre in testa, ma solo una città rinata. Fino, ad esempio, alla sconfitta doppia proprio della decima giornata: a Parma, dove aveva vinto il Milan 5-4, l'Inter; in casa con il Palermo il Milan. Ora tutti ridono di Milano. Prima dicevano che Milano rideva.

 



 



 


Questa stagione è segnata dall'inizio: dev'essere la stagione di Zeman, del ritorno in panchina del boemo, del maestro o qualunque appellativo sia funzionale alla perenne agiografia. Qui non si cambia idea, c'è una narrazione da sostenere e non si sa perché. E allora sempre occhio al Cagliari: alla prima segna Sau e «vedrete che con Zeman Sau farà tantissimi gol, perché il maestro valorizza i giocatori come nessuno» e poi alla seconda vince l'Atalanta in Sardegna e «ma è Zeman, quindi con lui non puoi mai sapere cosa accadrà» e via giustificando, alimentando stereotipi e solite parole che si fa fretta di utilizzare. Fino al 4-1 in casa dell'Inter (quella che era diventata grande dopo i sette gol al Sassuolo, per intenderci) e via che riaprono le porte di Zemanlandia (eccolo, il neologismo non più neo che premeva per essere pubblicato) che arriva lo spettacolo senza preoccuparsi della bambola dell'Inter perché nel frattempo c'è Ekdal che ha fatto una tripletta e dunque va rinforzato il coro per cui il boemo lancia gli sconosciuti, anche se c'era già, anche se era

 



 

della Juve, anche se forse lancia gli sconosciuti perché quelli si trova ad allenare. E poi di nuovo contro l'Empoli. Ora, mentre la forza del racconto continua a dire che è tutto uno spettacolo, il Cagliari ha vinto solo due partite. Fuori casa. Segnando in entrambi i casi quattro gol, certo, perché forse molto più banalmente ama il contropiede e in trasferta questo riesce. Ma sta lì, sta facendo il suo campionato così come Sau non sta volando e Ekdal, tripletta compresa, ha segnato quattro gol. Ma non interrompete il racconto del maestro: in dieci giornate non ho ancora capito perché lui sì e Sarri, che ha una squadra meno dotata, no.

 


Di questo voltafaccia non se n'è accorto nessuno. Nemmeno chi lo ha fatto. Tutti quelli che il calcio è brutto, gretto e che i tifosi sono mostri insensibili che giocano alla guerra e i calciatori ignoranti che guidano macchinoni senza fregarsene del resto. Intanto, la categorizzazione è il male a prescindere. Poi, proprio in questi giorni il calcio ha dimostrato di essere sano e avere una coscienza. È la mano invisibile che sta portando in alto Genova, giustamente celebrata per il momento da protagonista, unita pur continuando a tifare ognuno per la propria parte: la Sampdoria terza, il Genoa (alla terza vittoria consecutiva, due fuori casa, una contro la Juve) un punto sotto. E Antonini che permette ai rossoblù di battere la Juve. Proprio il ragazzo con la pala, sorpreso dalle fotografie per un gesto normale e spontaneo, da genovese senza esserlo, da bravo figlio di una terra che non è sua: l'Antonini che segna e lo stesso che spala il fango dell'alluvione. E invece nella Samp segna, nell'ultimo turno Luca Rizzo, ragazzo di via Fereggiano, sempre una delle più colpite dalle alluvioni (anche nel 2011), costretto a dormire due notti fuori perché a casa non poteva tornare (ed è rimasto da De Silvestri). E poi nelle settimane prima ci sono le curve degli altri che solidarizzano con Genova, e poi i genovesi che dalle loro curve ringraziano gli ultrà vicini alla tragedia. Ultrà che hanno spalato, anche. Perché il calcio sa essere sano. E quando vuole, restituisce tutto. Sorrisi, al posto delle lacrime. Non basta, ma almeno costringe a cambiare idea chi pensa che qui si addensino tutti i mali. E invece.

 



 


La fretta di dire qualcosa ad effetto ha portato a grossi rischi. Poi, si è cambiato verso anche, qui. Fortunatamente. Intendiamoci, i numeri dicono che Josè Maria Callejon è il miglior marcatore del campionato e che alla quarta, quinta, sesta, settima e ottava giornata ha fatto gol (ha segnato anche alla prima e alla decima, per la statistica), quindi cinque giornate consecutive e qui il verso è quello epico, però quasi blasfemo: sei giornate di fila aveva segnato solo Diego Armando Maradona e la sintesi dei titoli ha fatto il resto. “Callejon a un passo da Maradona”, addirittura. Il Mattino ha scritto prima della partita con l'Atalanta: «Davanti a lui, nelle statistiche del calcio azzurro, resta solo Maradona». Sarà forte, avrà ancora un bel po' di anni davanti, ma ai titoli in caso di gol non saremmo stati pronti. Infatti, l'ultimo #cambioverso è proprio grazie a lui. A quel pallone calciato alle stelle quando anche cadendo si dovrebbe segnare, a quella palla sulla linea, solo, senza nessuno, spedito con il sinistro oltre la traversa. Che avrà fatto incazzare i napoletani o forse no. Tanto ha segnato la partita dopo, giusto in modo da dire che Callejon non è Maradona.

 

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