Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Il Cattivo
05 ago 2016
05 ago 2016
Qualche riflessione sulla follia di Pepe, il miglior difensore degli ultimi Europei.
Dark mode
(ON)

Al fischio finale Pepe si inginocchia, faccia verso terra, come in un momento di profondo raccoglimento. La telecamera lo riprende alla ricerca di un’inquadratura ricca di pathos: il miglior giocatore della finale, il miglior difensore dell’Europeo, il leader carismatico di un Portogallo privato di Cristiano Ronaldo. Poi Pepe si mette a vomitare, e la telecamera deve rimbalzare via. È un’immagine di un’autenticità respingente, epica ma al contempo assolutamente inadatta a elevarsi a copertina della vittoria portoghese. Le copertine hanno bisogno di sublimare le emozioni svuotandole del loro aspetto più materiale, fino a cristallizzarle in valori astratti e rarefatti.

È un immagine che dovrebbe darci l’idea del livello di tensione fisica e mentale a cui i giocatori devono spingere sé stessi in partite di quella importanza, fino a un livello in cui lo sforzo diventa innaturale, malato, quasi inservibile al racconto sportivo. Quando dopo la partita Pepe ha dichiarato che nella vittoria la squadra “ha messo sangue, sudore e lacrime” non stava usando metafore. La sua non è semplice retorica.

Maestro zen della difesa

A fine serata Pepe è stato eletto miglior giocatore della finale: un riconoscimento che stona su un giocatore che ha passato una carriera a non fare niente per farsi apprezzare dagli altri. Come per tutto il Portogallo, l’Europeo di Pepe è stato tanto eccezionale quanto inatteso. Ma mentre si è parlato molto, e giustamente, della narrazione di Cristiano Ronaldo, della gioventù esuberante di Renato Sanches, della redenzione di Ricardo Quaresma, meno si è parlato di Pepe. Nonostante si possa dire senza esagerare che Pepe sia stato il giocatore chiave del Portogallo agli ultimi Europei.

Per una squadra che ha costruito il proprio successo sulla solidità difensiva, oltre che su una capacità quasi perversa di distruggere il gioco avversario, prendendo un solo gol nella fase a eliminazione diretta, Pepe ha avuto un peso specifico evidente anche a chi lo sopporta poco.

Fernando Santos, che lo ha definito “un leader naturale”, e lo ha eletto di fatto a suo braccio destro in campo. In particolare Pepe è stato fondamentale per la sua capacità di difendere in avanti con coraggio. Una caratteristica che non lo accomuna ad altri difensori della squadra lusitana, e che permetteva di non lasciarsi schiacciare troppo tenendo i reparti corti e compatti.

Pepe ha un grande talento nel difendere in avanti, affinato soprattutto negli ultimi anni di carriera, in cui le letture e la scelta dei tempi diventano fondamentali per sopperire a un calo delle prestazioni atletiche.

Non si può dire che Pepe oggi sia un giocatore macchinoso. Ma non ha più l’esuberanza che lo caratterizzava a inizio carriera e che lo rendeva un difensore, nel rapporto tra altezza e rapidità, raro del calcio internazionale. Nel corso della stagione Pepe aveva perso il posto in favore di Raphael Varane, più giovane di lui di dieci anni. Con il francese Pepe ha sviluppato un certo dualismo: se lui interpreta la vecchia guardia gelosamente attaccata alla poltrona, Varane è il nuovo che avanza. Nel 2013 Mourinho disse che Pepe era frustrato perché Varane era semplicemente meglio di lui, ed è brutto farsi rubare il posto da un ragazzo di 19 anni.

Due anni dopo, a stagione in corso, soprattutto dopo l’arrivo di Zidane, Pepe ha ripreso posizione al centro della difesa del Real, dove la sua intelligenza tattica e il suo carisma sono stati decisivi per la conquista della Champions League.

In un’epoca di difensori atleticamente debordanti, imbattibili nell’uno-contro-uno atletico con gli attaccanti, Pepe attualmente non sembra mai poter veramente dominare i suoi avversari. Ma la sua attitudine mentale - la sua intensità su ogni palla, la sua concentrazione nelle letture - gli permettono di essere perfettamente in controllo della situazione.

Facciamo un esempio. In quest’occasione corre all’indietro mantenendo contemporaneamente l’attenzione a uomo e pallone, e infatti sceglie un tempo perfetto per anticipare Giroud, e poi ha il carisma e la qualità per dribblare Sissoko in uscita. Nell’occasione è evidente quanto il livello di concentrazione e di intensità mentale di Pepe sia sopra alla media del contesto.

Nel modo in cui Pepe è in campo non esiste sciatteria. Qui per esempio sembra temporeggiare ma appena Milik scopre palla Pepe gliela scippa con una semplicità ridicola. A volte sembra l’unico sveglio in un mondo di addormentati.

Villain

L’equilibrio e la concentrazione cui Pepe gioca sembra nutrirsi di una serenità mentale in totale disaccordo con la sua immagine più comune: quella di uno psicopatico, violento e sempre fuori controllo. Una buona descrizione di questa bipolarità l’ha data Danilo qualche settimana fa, quando ha definito Pepe una persona “zen”, che però in campo si trasforma.

È difficile stabilire fino a dove i gesti di Pepe facciano parte di un universo interiore da squilibrato, oppure siano considerabili un suo modo di intendere il calcio. Come se le tacchettate sullo sterno di Messi, i gomiti alti, le simulazioni, facciano tutte parte del repertorio tecnico di Pepe, che Pepe li consideri gesti tecnici come altri, appresi negli anni della formazione e mai dimenticati. Non saprei neanche quale delle due cose sarebbe più grave.

La sua partita non consiste solo in marcature, anticipi, diagonali, coperture, ma soprattutto nella creazione di un terreno generalmente ostile per l’attaccante. L’obiettivo di Pepe, ogni partita, è trasformare l’ultimo quarto di campo, quello che separa il centravanti avversario dal proprio portiere, in un campo minato, in un terreno vischioso, inospitale. Il suo è un gioco fatto di messaggi esterni, di giochi mentali. Far precipitare l’avversario in una realtà difficile in cui lui è l’unico davvero in controllo della situazione (per questo vedrei bene Pepe nell’eventuale terzo remake di Funny Games).

In questo senso forse non è un caso che Pepe abbia spesso dato il peggio di sé nelle partite contro il Barcellona, dove non poteva certo dirsi in controllo della situazione. In un Classico del 2014 pare abbia detto a Messi “Con me te la fai sempre sotto”, con l’Argentino che gli ha risposto : “ma se compari in tutte le foto dei miei gol al Real”. Forse quando Pepe perde il controllo del suo territorio lascia uscire fuori la sua parte fuori di testa. Magari è solo una forma estrema di ansia verso i propri compiti da difensore: un ruolo in cui una minima sbavatura può fare da ago della bilancia del mondo “Devo difendere il mio club, ho la responsabilità di tutte le persone che ci seguono. Non mi piace essere superato in un’azione, come a un attaccante non vorrebbe sbagliare un’occasione da gol” ha dichiarato.

Oppure era una semplice beatbox battle.

La storia del calcio ha tantissimi esempi di giocatori aggressivi e spesso violenti, ma quasi tutti sembrano agire comunque dentro codici di campo: all’interno di un mondo logico fatto di onore e rispetto. Un mondo in cui il gioco del calcio è uno sport duro ma leale, dove a un atto ne corrisponde un altro e dove solo chi semina vento raccoglie tempesta. Per questo giocatori come Roy Keane, o Paolo Montero, o Joey Barton, pur non essendo amati da tutti, godono del rispetto di chi vi proietta la propria visione del mondo. Di chi si vuole rispecchiare in un’immagine di virilità sincera e senza ipocrisie.

La parte violenta del gioco di Pepe ha dei connotati borderline su cui nessuno davvero può rispecchiarsi. Non è virile, è sul confine della pazzia vera e propria, quella che non ispira nessuna empatia ma solo repulsione.

Per questo i titoli e le descrizioni dei video che gli dedicano hanno un livello di ricchezza lessicale da racconto di Lovercraft. Qui si prende l’epiteto di The Assassin, che è un picco di macabro difficilmente raggiungibile da qualsiasi giocatore, anche il più ruvido. Il discorso internet su Pepe ruota spesso attorno a categorie morali da bestie di satana: “Pure Evil" è il titolo di quest’altro video, in cui la descrizione è “Pepe. Tuffi, simulazioni, colpi, pugni, lotte, calci, strilli, pestaggi. Pura cattiveria”. Nel video, dove vengono mostrate le imprese più disturbanti di Pepe, c’è la musica solenne di Requiem for a Dream e in alcuni momenti non è così impossibile immaginare Pepe come l’anticristo.

E infatti i commenti sotto al video rispecchiano il livello di odio che gli appassionati di calcio nutrono nei confronti di Pepe. Un sentimento con una consistenza diversa rispetto all’odio che si prova di solito per i giocatori molto divisivi. Pepe non è divisivo: tutti odiano Pepe, quindi nessuno ha bisogno di esprimere la propria opinione su di lui con grande forza. I commenti sono gravi, quasi rassegnati come di fronte alle ingiustizie del mondo: “Pepe è un tipo di bastardo che dovrebbe essere radiato a vita dal calcio”; “Pepe non dovrebbe mai più giocare a calcio”; “Spero che la FIFA ti squalifichi a vita, che ti metta in prigione per sempre e che brucerai all’inferno”.

La gimmick di Pepe rompe anche il tacito velo di omertà dei colleghi:

Del resto le immagini di Pepe in campo non hanno niente di normale. Non sono i soliti video di YouTube sul tema calcio e violenza. Le sue reazioni generano un livello di isteria e tensione mentale davvero disturbante, un’esagerazione espressiva simile a un monologo di Klaus Kinski, a una pièce di Pina Bausch. A quei momenti in cui l’arte vuole comunicare che la forma che assumono gli esseri umani ogni giorno non è per forza naturale ma frutto di convenzioni.

Se quando calpesta la mano di Messi sembra quasi usare un vecchio trucco di campo, così come quando rifila questa ginocchiata all’attaccante davanti a lui, sicuro di non essere visto dall’arbitro, in altri casi la barriera con la psicopatia vera e propria viene frantumata. Come quando rifila una tacchettata sulla coscia di un attaccante del Lione in ritardo, senza motivo o quando dà un calcio a Cissokho sull’orecchio (!), con un’estensione della gamba da can-can.

In questa situazione per esempio sembra colpirsi con un pugno, mentre di tacco in elevazione riesce a dare un calcio al giocatore dietro di lui.

Anche nelle simulazioni Pepe è eccessivo fino al punto in cui sembra aver perso l’oggetto della sua rivendicazione. E infatti attorno a lui i compagni prendono un’aria preoccupata, come di fronte a qualcuno con un attacco epilettico.

La situazione più estrema di cui Pepe si è reso protagonista è stata quella dell’aggressione a Casquero, attaccante del Getafe. In un contrasto spalla a spalla all’ingresso dell’area, Casquero cade per terra e Pepe prova a colpirlo fortissimo con un calcio sulla schiena, strusciandolo con i tacchetti. Dopodiché non si ferma nemmeno quando l’arbitro lo espelle e la situazione ormai sembra chiara: Pepe si avvicina a Casquero e lo prende per la testa. È quasi difficile dire dove la violenza finisce e diventa stranezza pura. È l’unico episodio verso cui Pepe guarda con pentimento: «Personalmente, ho sempre riconosciuto i miei errori, come con Casquero. Grazie a Dio non è più accaduto, perché mi sono detto che se si fosse ripetuto non meritavo di vestire la maglia del Real Madrid».

Quando è stato chiesto a Pepe di indicare il più forte attaccante che ha incontrato, ha citato l’unico giocatore il cui livello di morbosità è paragonabile al suo: Diego Costa: “è un attaccante che lotta molto, a cui piace il contatto”. E il duello tra Pepe e e Diego Costa all’interno di quello tra Atletico e Real è stato una specie di freak show davvero difficile da interpretare.

Quando in un’intervista gli fanno delle domande sulla sua presunta pazzia Pepe spesso si limita a usare una logica paracula ma spiazzante: “Potete dire quello che volete ma Neymar è stato ammonito più volte di me”, ed è vero tra l’altro. Altre volte usa un sillogismo: «Il Real Madrid è un club esemplare. Se fossi stato un pazzo e un violento non avrei mai avuto la possibilità di giocare in un club del genere così a lungo». Altre volte si limita ad autodefinirsi “un giocatore nobile”. Sebbene possano sembrare semplici provocazioni, quando Pepe dice queste cose lo fa con il tono di chi ha il sospetto che non verrà mai capito del tutto.

Mourinho, Cristiano Ronaldo e la lealtà

Nella costruzione di questa immagine di Pepe un grosso peso ce lo ha avuto il periodo passato sotto la guida di Josè Mourinho. È tra il 2010 e il 2013 che Pepe diventa Evil Pepe, e cioè il braccio armato di Mourinho, il prolungamento di campo delle sue provocazioni e delle ostilità retoriche in sala stampa, un’esperienza che ha raggiunto picchi perversi, per esempio quando Mourinho lo ha schierato da centrocampista centrale in un Classico con chiari scopi intimidatori. Prima di quella partita Grantland ha fatto uscire un pezzo sul fatto che Pepe - definito nell’articolo “un mercante della morte” - sarebbe stato il giocatore chiave del match: per dire quanto l’immagine di Pepe fosse ormai simmetrica a quella del Real Madrid di Mourinho: una squadra antipatica, isterica, lontana dalla sua identità aristocratica, disposta ad usare qualsiasi mezzo per vincere.

Sarebbe però sbagliato considerare Pepe un sergente di Mourinho. Quando nel 2013 la situazione nello spogliatoio si era trasformata in una specie di congiura di Catilina, con Mourinho pronto a far fuori tutti quelli che considerava tramare contro di lui, Pepe si è esposto pubblicamente per difendere Iker Casillas, chiedendo più rispetto per una bandiera del club. Sebbene Mourinho abbia provato a screditare Pepe, evidenziando la sua frustrazione da panchinaro, Pepe sembra sinceramente attaccato al Real Madrid e pochi giocatori, nel bene o nel male, hanno definito l’identità del Real degli ultimi anni quanto Pepe.

Questo sarà il suo ultimo anno di contratto e l’idea di lasciare il Real sembra quasi ferirlo: «Darò sempre la priorità al Madrid. Se a fine stagione mi diranno che non servo prenderò le mie cose. Ma il Madrid sarà sempre la mia prima opzione». Quando gli chiedono chi sia il suo idolo risponde “Fernando Hierro”, di cui a quanto pare custodisce la maglia in un museo personale a casa che somiglia molto a una versione in scala del museo del Bernabeu. Ci sono anche i guanti di Iker Casillas e altri cimeli del Real.

Sulla sua vita a Madrid dice che ci tiene ogni tanto a buttarsi in strada, a mescolarsi con le persone, ad avere un contatto con loro. Nell’ultima finale di Champions League Pepe ha pianto per la prima volta per il calcio, e a farlo piangere in particolare pare sia stata l’immagine di un ragazzo della cantera del Real realizzare un calcio di rigore in una finale di Champions. Quando Pepe lo racconta lo fa con una sensibilità inedita per un universo emotivamente confezionato come quello del calcio: «È difficile da spiegare. Quando Lucas Vazquez si è avvicinato al dischetto così tranquillo, sembrava fosse nel suo quartiere con gli amici, e ho visto la palla entrare, ho cominciato a piangere. Sono rimasto basito. Ho sentito che non potevamo perdere questa finale. Come in precedenza, quando Sergio ci ha fatto segno che stavamo andando a battere i rigori sotto la nostra curva, qualcosa mi ha detto che avremmo vinto. Lucas tira, segna sotto il nostro pubblico ... e ho cominciato a piangere. Ma ho pianto solamente quando tiravamo noi. Non riesco a capire perché. Ho parlato con mia moglie, con la mia famiglia, perché era la prima volta che piangevo in un campo di calcio. Sono venute a galla tutte le emozioni».

E se il comportamento di Pepe fosse un’estrema (e distorta) forma di lealtà verso il suo club?

E se anche la sua amicizia con Cristiano Ronaldo fosse in parte un tentativo di proteggere il più grande giocatore del proprio club e della propria Nazionale?

Non è un tema strumentale perché l’amicizia con Cristiano Ronaldo definisce la percezione di Pepe quasi più del suo valore tecnico. Non è raro trovare qualcuno che sostenga che Pepe giochi ad alti livelli solo perché è lo scagnozzo di Cristiano Ronaldo, che insieme costituiscano una lobby perversa all’interno dei vari spogliatoi.

Pepe e Cristiano Ronaldo per molti rappresentano una perfetta coppia di cattivi. Il primo usa il suo smisurato talento come un supereroe malvagio, mettendolo al solo servizio del proprio ego e della propria brama di successo; il secondo lo aiuta con mezzi biechi accontentandosi di elemosinare un po’ di gloria riflessa.

Ma il rapporto tra Pepe e Cristiano Ronaldo e più complesso di così e prende più spesso una declinazione protettiva, del primo verso il secondo. Pepe che gli tocca far da pacere da Cristiano Ronaldo e lo spogliatoio del Real, assicurando il mondo che “tutto va bene”; Pepe che accetta di risultare più basso di Cristiano Ronaldo negli auguri di Natale; Pepe che gli tocca rimproverare Cristiano Ronaldo perché stava esultando troppo per un successo del tutto personale.

Best friends forever.

Anche dopo questa finale, dove Pepe si è guadagnato il premio di miglior giocatore della partita, davanti ai microfoni ha dichiarato di aver detto alla squadra di “vincere per Cristiano Ronaldo”. E quando gli è stato chiesto della grande prestazione della squadra ha subito precisato che «È stata dura perché abbiamo perso il nostro uomo migliore, quello su cui riponevamo più speranze, uno che può risolvere le partite in qualsiasi momento», un po’ per avvalorare ancora di più il grande successo, ma anche per ricordare a tutti chi è Cristiano Ronaldo.

Anche in queste dichiarazioni si capisce quanto Pepe attribuisca un grande valore al concetto di lealtà. Quando gli chiedono cosa avrebbe fatto se non fosse diventato un calciatore risponde «l’autista come mio padre. Mio padre è il mio specchio e voglio essere la stessa persona che è lui». In un’intervista di poco tempo fa il padre di Pepe racconta di quando è stato costretto a fare i debiti per comprargli il paio di scarpini che voleva. Racconta della cura e dell’attenzione che Pepe dedicava a quegli scarpini. Oggi Pepe indossa lo stesso brand di scarpe e questo per lui è un motivo di vanto, un simbolo forte di realizzazione personale.

In questo video potreste persino sperimentare il brivido di volere bene a Pepe, per un attimo solo.

L’Europeo giocato permetterà a Pepe di riscrivere la propria narrazione umana e calcistica?

O la sua immagine di villain è così perfetta che ha ormai oscurato definitivamente il suo valore tecnico? È difficile credere che Pepe lascerà un ricordo positivo per gli appassionati di calcio, e l’intenzione di questo pezzo non era quella di riabilitare la sua immagine, ma almeno di restituirne dei contorni meno fumettistici. Il mistero di Pepe è legato al rapporto tra la sua visione del mondo e il suo stile violento per noi inaccettabile. E se, nonostante tutto, Pepe incarnasse una specie di versione pazza dell’ideale del giocatore anti-moderno che qualsiasi tifoso vorrebbe dalla propria parte? Un uomo che si mette a disposizione degli altri, disinteressato al successo personale?

E se Pepe, in questo senso, e in un modo che si può anche considerare distorto, andasse considerato addirittura un giocatore nobile?

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura