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Il calcio nella Terra di Mezzo
04 mar 2015
04 mar 2015
La difficile crescita del movimento calcistico cinese, tra poco pubblico, tanta corruzione e colonizzazione europea.
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All'inizio erano 12 squadre che si sfidavano in gare di andata e ritorno fra marzo e dicembre, e si chiamava Chinese Football Association Jia-A League. Dalla modifica del format avvenuta nel 2004 la massima serie calcistica della Cina si chiama Chinese Super League, nell’ultima edizione aveva 16 partecipanti e gli ultimi quattro campionati sono stati vinti dal Guangzhou Evergrande. Se parlaste con un locale, in realtà, vi racconterebbe orgoglioso che il calcio è stato inventato da loro molto prima che i calciatori dello Sheffield FC, nel 1857, iniziassero a correre dietro a un pallone: risalirebbe addirittura alla Dinastia Han (terminata nel 220 d.C.). La media degli spettatori delle ultime stagioni è in crescita. Parliamo ancora di poco più di 19 mila persone a partita e il dato risente di una dicotomia fra le squadre di prima fascia (Guangzhou Evergrande: 42 mila spettatori; Beijing Guoan: 39 mila; Harbin Yiteng, Jiangsu Sainty e Shandong Luneng Taishan: tutte sopra i 22 mila) e il resto delle squadre, oscillanti fra i 10 mila e i 15 mila spettatori in media a partita. Numeri che vanno messi in relazione con il bacino d’utenza: Guanghzhou ha circa 12,7 milioni di abitanti, Shanghai addirittura 23,8 milioni. E va tenuto conto che anche questi dati rischiano di essere viziati, almeno a leggere un articolo della Reuters del 2012, secondo la quale il Guangzhou Evergrande era solito distribuire 10.000 biglietti gratuiti a partita per creare il senso di appartenenza e abituare le persone ad andare allo stadio. La Cina vive di programmazioni di medio periodo e il calcio non fa eccezione. A novembre del 2014 è stato deciso che il calcio diventerà una componente obbligatoria del percorso scolastico, con un piano teso a costruire oltre 20 mila campi entro il 2017: problema non di poco conto se si pensa che fino a poco tempo fa Pechino, città da 20 milioni di abitanti, ne aveva solo 80. L’obiettivo è quello di “creare” un bacino di almeno 100 mila giovani calciatori, attraverso i quali far scalare il ranking FIFA alla Cina (a febbraio 2015 occupava l’82.esimo posto). La realtà da cui si parte però non è delle più facili e, sopratutto, non è detto che il Governo sia abbastanza paziente.

Corruzione e scarso interesse Il campionato cinese ha avuto un momento di forte crisi nel 2010, quando è esploso uno scandalo sul calcioscommesse che ha portato, fra l’altro, all’azzeramento dei quadri dirigenti nazionali. Appena un paio di anni fa, poi, sempre per lo stesso motivo è esploso uno scandalo ancora maggiore che ha visto 33 persone (fra dirigenti della Federazione cinese, arbitri e calciatori) condannati. Cinque dei calciatori erano nel giro della Nazionale cinese. Le pene sono state severe, ma il danno ormai era reiterato. Nell’immaginario collettivo il campionato di calcio “domestico” è visto come totalmente inaffidabile, ecco quindi che il giovane cinese medio preferisce seguire quelli esteri. Il circolo vizioso della corruzione sembra aver bloccato anche le possibilità di sviluppo del movimento calcistico cinese: il pubblico non è interessato alla semplice partita di calcio ma ai giocatori migliori che, però, non possono essere attratti in un campionato relegato tra i meno prestigiosi a livello mondiale. Lo stipendio elevato non è uno stimolo sufficiente per i giocatori nel pieno della loro carriera e quelli che raggiungono le squadre cinesi sono solitamente stelle sul viale del tramonto, giocatori anche bravi, abbastanza famosi, ma tendenzialmente a fine carriera, in questo caso attirati dal solo guadagno (ad esempio Drogba, che ha avuto un ingaggio di circa 13-14 milioni di euro annuali). Per questo, nonostante gli spettatori stiano crescendo, la percentuale di chi conosce e segue i campionati esteri è di gran lunga maggiore di quelli interessati al campionato nazionale. Le statistiche parlano di un bacino di utenza per la Super League di circa 11 milioni di spettatori, valore certamente molto contenuto se rapportato alla popolazione, ma di tutto rispetto come numero relativo. In Cina qualsiasi organizzazione in qualsiasi settore deve affrontare il problema della corruzione, ma non è difficile capire perché in altri ambiti è un problema sopportato meglio rispetto allo sport: le partite a “esito predefinito” non piacciono a nessuno. Anche sul fronte del merchandising la battaglia è lunga: le magliette vendute negli stand (vere o false che siano) spesso non sono quelle delle squadre locali. I brand sono quelli di Manchester United (in assoluto la squadra più conosciuta in Cina), Arsenal, Inter, Milan, Real Madrid, Barcellona: il giro di affari (comunque modesto) legato al calcio è spinto dalle squadre internazionali, non da quelle domestiche. In una società ancora in evoluzione, in cui il cinese “medio” è sempre più attratto da tutto ciò che fa tendenza nell’Occidente, il calcio non poteva non diventare un fenomeno: il calcio in Cina è nato per “osmosi da colonizzazione” nei primi del ‘900 ed è rimasto in sordina fino agli anni 90, quando infine è diventato di moda. E così, è frequente imbattersi in persone che sono aggiornate e conoscono le principali squadre europee (Premier League in testa, ma anche le top spagnole e italiane), che seguono i giocatori di maggiore tendenza e, soprattutto, vivono con interesse i derby più famosi, e non c'è da sorprendersi neanche se uno dei più famosi classici è Inter-Milan. Questo, ovviamente, indirizza anche le scelte commerciali: Messi, Rooney e Cristiano Ronaldo sono volti noti e presenti su molti cartelloni pubblicitari (anche se il mito, onnipresente, è ancora David Beckham). D’altra parte la popolazione in Cina è al corrente di questi sistemi e di queste connivenze di interessi, andare allo stadio è visto come un passatempo, alla stregua del teatro. Il classico andare a giocare a pallone con gli amici, vedere bambini che fanno due passaggi in piazza, sono un qualcosa di molto raro. Ma, attenzione, non è idiosincrasia verso il calcio: la verità è che il calcio non rientra ancora fra le attività extracurricolari con cui i genitori riempiono l'agenda dei figli (quasi tutti unici) programmando il loro successo futuro.

Proprietari privati, club non autosufficienti Le squadre della CSL sono prevalentemente in mano a grandi proprietari privati (14 su 16). Bisogna però considerare che lo Stato, in Cina, è sempre molto “presente”. Se uno dei soci del Guangzhou Evergrande (la Evergrande Real Estate) è un ricco privato che ha deciso di investire in immagine (propria) e “relazioni”, probabilmente ci sarà anche un interesse governativo dietro. Anche perché, in caso contrario, non sarebbe stato possibile realizzare alcun investimento. Invece, lo scorso settembre ha iniziato ad operare la Guangzhou Evergrande Soccer Academy, capace di ospitare 3.150 studenti di età compresa fra i sette e gli undici anni, selezionati fra oltre 45 milioni di coetanei. L’obiettivo è quello di “produrre” calciatori da utilizzare per i campionati Under-13 sia a livello nazionale, sia nelle competizioni interasiatiche. Per fare il salto di qualità il club ha raggiunto un accordo con il Real Madrid, che ha messo a disposizione quindici allenatori specializzati per i giovani, solo per iniziare. Un "do ut des" fra lo Stato, che cerca di creare le basi arrivare a buoni risultati in ambito mondiale, e gli investitori privati, che puntano ad attrarre il favore governativo (non a caso molti azionisti provengono dal settore immobiliare). Nomi come Shandong Luneng Group Co., Ltd (Shandong Luneng Taishan FC), Evergrande Real Estate Group (Guangzhou Evergrande FC), Greenland Group (Shanghai Greenland FC) e Guangzhou R&F (Guangzhou R&F FC) non sono nel calcio per caso. Hanno la possibilità di effettuare investimenti anche ingenti, grazie all’andamento dell’economia cinese, ma probabilmente vogliono più di tutto poter ottenere visibilità e riconoscenza. Quello che è certo è che le squadre non sono autosufficienti dal punto di vista finanziario, ma assorbono ancora grandi quantità di denaro destinate a un semplice ritorno in termine di immagine, favori, relazioni. Ma come ha osservato Nan Yang, direttore per la ricerca e la strategia della società Oceans Sport Marketing: «Nessuno sa per quanto tempo saranno ancora disponibili ad investire nel calcio cinese o se smetteranno immediatamente quando la politica del governo non fosse più in loro favore. Se ciò accadesse, nasceranno molti problemi le cui soluzioni non saranno facili da trovare in breve termine». Il problema potrebbe essere causato da una crisi del mercato immobiliare, che ormai da un paio di anni viene annunciata da tutti gli osservatori internazionali. Secondo alcune stime del 2013 il surplus di immobili residenziali, unito alla capacità di spesa non omogenea, sta favorendo operazioni di concentrazione di patrimonio immobiliare nelle mani della fascia di reddito medio-alta, piuttosto che consentire una progressiva diffusione della proprietà privata. Lo Stato sta intervenendo costantemente per calmierare la situazione ed evitare la crisi che avrebbe conseguenze pesanti sull’economia nazionale, ma quanto durerà? E cosa potrebbe accadere se gli azionisti delle principali squadre di calcio perdessero l’attuale capacità di investimento “a perdere”? Forse qualcuno si scandalizzerà, ma dovrebbe prima ripensare a quello che è successo in Europa e in Italia, con la miriade di presidenti “mecenati”: la chiave di lettura del loro investimento non era poi così diversa. Anche se magari non hanno operato con l’obiettivo di ingraziarsi il favore dello Stato, le dinamiche di spesa non sono state dissimili. Noi ci siamo accorti di cosa voglia dire, all’improvviso, quando bisognava tirare il freno d'emergenza alle spese pazze. Fatto sta che in Cina si continua a spendere. E tanto.

Qualcosa sta cambiando? Nel 2014 il calcio cinese ha investito oltre 100 milioni di dollari per acquistare calciatori stranieri, in particolare brasiliani, che sono ormai un terzo dei 74 calciatori stranieri che giocano in CSL; l’anno prima, secondo i dati FIFA, la spesa era stata di “soli” 24 milioni. Adesso si cercano giocatori più giovani, che possano migliorare la qualità del gioco, anche se così facendo si continua ad impedire una crescita del sistema nazionale. Anche in Cina, quindi, occorre fare i conti fra le necessità di programmazione di medio-lungo periodo (sviluppo dei settori giovanili, investimenti infrastrutturali) e quelle di massimizzazione del ritorno immediato, ottenibile solo creando le condizioni per un incremento della visibilità del campionato. Questo crescente interesse per il Brasile potrebbe dipendere anche da motivazioni di carattere politico: nessuno mette in dubbio che il Paese sudamericano sia una fucina di talenti, però è anche un importante area di investimento da parte della Cina, sempre a caccia di relazioni durature in aree che possano soddisfare l’enorme fabbisogno di materie prime e dove si possano anche convogliare investimenti diretti per consolidare la propria potenza economica. E il Brasile sembra poter soddisfare entrambe le esigenze. Magari è solo una coincidenza, ma sarebbe perfettamente in linea con la politica estera degli ultimi anni. Il gigante dell’e-commerce Alibaba, lo scorso giugno, ha deciso di entrare nel mondo del calcio acquisendo il 50% del Guangzhou Evergrande per una cifra pari a circa 192 milioni di dollari. La ragione? Nel prospetto della quotazione a Wall Street (NYSE) (in cui il proponente deve fra l’altro spiegare la strategie future della società per consentire agli investitori di decidere se scegliere di acquistare le azioni) ha espressamente motivato l’investimento parlando di «una piattaforma di marketing che darà accesso a milioni di tifosi in tutta la Cina». Nonostante l’enorme liquidità ottenuta a seguito della quotazione, difficilmente una società è disponibile ad investire così tanto denaro senza averne un potenziale ritorno. D’altra parte anche la sponsorizzazione della CSL sta crescendo di valore: se Pirelli, nel 2009/10, ha potuto dare il suo nome al campionato cinese circa 5 milioni di euro annui, ce ne sono voluti il doppio per Wanda Group per il trimestre 2011-2013. E nel 2014 è stato il turno di un nuovo investitore, la Ping An Insurance, con 23 milioni di euro all’anno fino al 2018. Valori che ormai hanno raggiunto quelli delle equivalenti competizioni europee.

È ancora presto per capire che evoluzione potrà avere il fenomeno del calcio in Cina. I segnali sono molto contrastanti, anche se i flussi crescenti di denaro investito tenderebbero a far propendere per uno sviluppo in un futuro prossimo. Che ci porterà, forse, il primo calciatore cinese in Italia. Anzi, no, quello lo abbiamo già avuto: Ma Mingyu, tesserato dal Perugia dell’allora Presidente Gaucci per la stagione 2000/01. Proveniente dal Sichuan Quanxing, fu pagato 1 miliardo di lire per giocare una gara amichevole estiva ed una porzione di una partita di Coppa Italia contro la Salernitana. Un affare.

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