
Cinque palle perse dell’Inter
Costruirai azioni migliori di quelle che questa squadra sembrava in grado di poter costruire, ma subirai gol più stupidi di qualunque gol stupido questa squadra avesse già subito. Andrai in vantaggio nel primo tempo onorando i principi del gioco di posizione, ma crollerai nel secondo profanando il manuale del calcio di José Altafini. Vedrai Candreva creare superiorità numerica con un taglio centrale tra le linee, ma dovrai arrenderti, a difesa schierata, ad un cross dalla trequarti e ad un lancio lungo dalla difesa.
Stefano Pioli ha imparato presto che sul Pianeta Inter «all magic comes with a price», e non si è tirato indietro quando il Signore Oscuro dell'Europa League gli ha concesso di godere di quarantacinque minuti di notevole brillantezza tecnica e tattica in cambio della parola "Fine" su un percorso di qualificazione già abbondantemente compromesso. L'incantesimo si è attivato subito dopo che Icardi ha colpito una traversa al minuto 52, al termine di un'altra bella azione in verticale, simile a quelle che avevano generato il primo e il secondo gol.
Da quel momento in poi, l'Inter ha smesso di aggredire la costruzione avversaria, ha perso metri, ha perso compattezza tra i reparti, e soprattutto ha perso una marea di palloni che con un po' di lucidità avrebbero potuto essere gestiti diversamente. Queste palle perse sono state raccolte nell’intervallo di tempo tra il 57esimo e il 67esimo, i dieci minuti che hanno ispirato la rimonta dell’Hapoel.
Handanovic
Il peccato originale dell'Inter è sempre la costruzione dal basso. Handanovic e Miranda sono due giocatori che - provando un attimo a eliminare i ricordi di ieri pomeriggio - avrebbero certamente occupato un altro posto nella storia del gioco se avessero avuto più confidenza nella gestione della palla (oppure se fossero nati vent'anni prima). Qui Handanovic forse voleva cercare Icardi, che si è appositamente defilato per ricevere, ma spara una traiettoria lenta e bassa tra i piedi di Radi. L’Hapoel si riposiziona e qualche secondo dopo segna il primo gol. Questo errore ci ricorda che la costruzione dal basso non è un vezzo di qualche allenatore troppo ambizioso, ma una fase di gioco indispensabile, che permette (anche) di recuperare il controllo della partita quando la spia delle energie fisiche e nervose inizia a lampeggiare.
Felipe Melo
Felipe Melo ha sorprendentemente giocato bene in questo sistema di gioco molto elastico, alternandosi nella veste di doppio mediano al fianco di Brozovic e in quella di riferimento centrale davanti alla difesa, quando Banega si accentrava e Éder si defilava a sinistra. A centrocampo, ha portato la grinta necessaria per mantenere alta la tensione e accorciare sempre nella zona della palla, e per tutto il primo tempo ha funzionato (nel momento in cui esce, Melo è secondo per intercetti al solo D’Ambrosio tra i 22 giocatori in campo). Però è anche il giocatore che completamente isolato, con un raggio di azione di oltre cinque metri in tutte le direzioni, riesce a sbagliare un appoggio del genere.
Banega
«Ostentazione di superiorità, di forzata condiscendenza e sopportazione» è la definizione che dà la Treccani alla voce “sufficiènza”. La forzata sopportazione di Banega è direttamente proporzionale al passare dei minuti e alla posizione che occupa in campo. Quando si posiziona alle spalle di Icardi, costringendo le ali a un lavoro difensivo supplementare che né Candreva, né Perisic, né Éder hanno nelle loro corde, è il segnale che è finita. Non è un caso che Vecchi lo abbia posizionato lì subito dopo l’esonero di de Boer: è la sua comfort-zone, ma Pioli dovrà fare di tutto per tirarlo fuori. Banega al centro del gioco legge ed esegue linee di passaggio che sfuggono ai comuni mortali, Banega fuori dal gioco commette leggerezze del genere.
Gnoukouri
In questo interminabile intervallo di dieci minuti, Gnoukouri ha preso il posto di Felipe Melo e poi ha perso due palloni sanguinosi nel giro di pochi secondi. Quest’anno l’ivoriano ha avuto finalmente occasione di misurarsi nelle rotazioni del centrocampo interista. Ha giocato quasi tutte le partite di Europa League da titolare, ma non è mai riuscito ad avere un grande impatto, come del resto dimostra il desolante ultimo posto. Non solo, era già successo contro il Cagliari che Gnoukouri subentrasse in una situazione di vantaggio e vedesse poi la squadra avversaria rimontare due reti, come ha fatto l’Hapoel. Gnoukouri è un giocatore molto elegante ma poco ordinato, e pur con il beneficio dei vent’anni non riesce a imporre il proprio gioco sul contesto: se la squadra è lenta, è ancora più lento, se non ci sono spazi, non sa dove andare. L’Inter avrebbe bisogno di pescare dalla panchina la carta “Ordine & Disciplina”, ma guardando la rosa a disposizione, soprattutto a centrocampo, non c’è molto che i suoi allenatori possano fare (se non lavorare per migliorare Gnoukouri).
Candreva
Il Signore Oscuro dell’Europa League è probabilmente lo stesso Candreva: «Posso anche concederti un movimento senza palla per uscire dal pressing, e poi posso attaccare il secondo palo per sfilacciare la difesa avversaria, ma mi devi lasciare le finte in isolamento a settanta metri dalla porta con il raddoppio di marcatura. E ci sto rimettendo».
5 cose notevoli da Roma - Viktoria Plzen
Il gol assurdo di Dzeko
Nel gol di Dzeko è naturale concentrarsi sulla bomba di interno piede tirata col goniometro sotto l’incrocio dei pali. Però è importante anche fare caso al gioco di gambe da pattinatore con cui si libera in area in spazi strettissimi. Il primo controllo d’esterno sinistro, il tocco a rientrare sul destro, la sterzata di tacco. Tutto nel grande libro dei centravanti alla voce “L’importanza di avere due piedi”.
I capelli di Zeman
Il calcio anti-nostalgico ci sta abituando a qualsiasi tipo di colore dei capelli. Zeman però è andato davvero oltre, usando questa sfumatura di viola esistita nella storia solo sopra la testa dei pupazzi “Troll”.
La rabona di Perotti

Questa è forse la cosa della serata. Eppure non è chiarissimo se Perotti volesse crossare o tirare, e c’è stata anche una piccola deviazione che ha sporcato la raffinatezza del quadro d’insieme. Tanto che quando Dzeko lo va ad abbracciare dice tipo “l’ha toccata… l’ha toccata”. Ma caro Diego, a noi non ce ne frega niente, e anzi siamo dei grandi fan dei gol ambigui e il direttore, Daniele Manusia, ha già buttato giù una bozza di manifesto sull’estetica dell’ambiguità.
Rudigerbauer
Antonio Rüdiger è uno strano personaggio e, sia in campo che fuori, fa delle cose talmente fuori contesto da risultare davvero pazze. Per dire, è uno che dal nulla può decidere di coprire il più innocuo dei palloni facendo una specie di can-can.
Raramente si parla del Rüdiger calciatore sul serio e anche se si apprezzano quelle che sono le sue qualità più evidenti - l’esplosività nella copertura della profondità, l’aggressività nell’uno contro uno, l’elasticità nei duelli aerei - quasi mai si va oltre, fino a parlare delle sue qualità con la palla. In realtà, l’abilità tecnica di Rüdiger non è una sorpresa. Ma prima di ieri questo suo aspetto, un po’ a causa del pregiudizio razzista sui difensori di colore un po’ per la sua esuberanza folle, non era mai uscito del tutto pubblicamente.
Contro il Viktoria Plzen, messo nella sua posizione “naturale” (lui, che è un destro di piede, di solito gioca sul centrosinistra per fare spazio a Manolas, ieri assente), il difensore tedesco ha dimostrato di non essere solo un centrale potente, ma di possedere anche una tecnica fine, che può dare molto in fase d’impostazione ad una squadra che spesso fa fatica a far uscire il pallone dal basso in maniera pulita.
Sul centrodestra, infatti, Rüdiger ha uno spettro più ampio di scelte potenziali e le può cogliere senza dover perdere un tempo di gioco per rientrare sul piede preferito. Ieri ad esempio, soprattutto quando la Roma riusciva a conquistare la metà campo avversaria e impostava con i centrali a sulla linea del centrocampo, il difensore tedesco gestiva il possesso quasi sempre a due tocchi, e molte volte con precisi laser-pass a trovare i compagni tra le linee. Prima in maniera sporadica, poi con sempre più continuità.
Ma Rüdiger si è anche dilettato nel gioco lungo. E non solo cambiando gioco in orizzontale, seppur in maniera estremamente precisa e tagliente, ma anche con delle fiondate direttamente in area à-la-Bonucci che hanno messo in porta Iturbe un paio di volte, ben prima dello splendido assist per il 2-1 di Dzeko.
Bisogna ovviamente relativizzare alla consistenza tecnica dell’avversario, che tra l’altro l’ha costantemente lasciato libero di impostare anche quando saliva fino alla trequarti, ma andare oltre la follia di Rüdiger e prenderlo sul serio come giocatore potrebbe rivelarsi una risorsa sorprendentemente preziosa per la Roma, sia in campionato che in Europa League.
La fine del sogno Sassuolo (le cose da cui ripartire)
di Marco D’Ottavi
Al Sassuolo non è bastato provarci fino in fondo per uscire dal San Mamés con un risultato utile almeno a mantenere vive le speranze di Europa League. La sconfitta per 3 a 2 ha sancito la fine del sogno europeo, ma soprattutto ha confermato tutti i problemi della squadra di Di Francesco, che negli ultimi due mesi ha vinto solo contro il Crotone. Non era facile invertire il trend negativo dell’ultimo periodo in uno stadio in cui quest’anno ha vinto solo il Barcellona. Eppure contro un Athletic parso a tratti poco concentrato era possibile fare qualcosa di più: ancora una volta il Sassuolo ha mostrato preoccupanti amnesie difensive (sono tre partite consecutive che subisce 3 gol, 26 subiti nelle ultime 11), ancora una volta la fase offensiva è sembrata organizzata ma poco incisiva, ancora una volta la sfortuna è tornata a battere cassa con due infortuni (Pellegrini e Biondini) nel giro di due minuti. Per tranquillizzare Di Francesco però vale la pena parlare delle cose positive che si sono viste ieri, per sperare in un futuro leggermente più luminoso.
- Gli avversari possono sempre segnarsi da soli
Pronti, via, prima Laporte si dimentica come si usano le gambe regalando il possesso a Defrel, poi sul debole tiro di Ragusa, Herrerin si produce in un intervento ai limiti del ridicolo respingendo il pallone al centro dell’area dove Balenziaga fa la cosa più evidentemente autolesionista di tutte spazzando il pallone nella propria porta invece di giocarlo con tranquillità. Tre errori così evidenti che devono essere frutto di qualche burattinaio che dall’alto vuole aiutare il Sassuolo.
- È tornato “il puma” Magnanelli
Tra le pesanti assenze, una delle più pesanti era quella del capitano e anima del centrocampo Magnanelli che mancava dalla partita col Bologna. Tornato ieri dal primo minuto è tornato a prendere in mano il gioco della squadra. Forse dovrebbero chiamarlo “ragnatela” Magnanelli.

- Su 16 calci d’angolo contro, il Sassuolo ha subito solo 2 gol
Se ci pensate non è una statistica così negativa, soprattutto considerando che nella scorsa stagione l’Athletic Bilbao è stata una delle squadre con la maggior incidenza di gol su calcio da fermo rispetto ai gol totali e che uno dei due è stato segnato da Aduriz, una tassa che in un modo o nell’altro devi pagare.
- Missiroli ha esordito in Europa con la maglia del Sassuolo

- Pol Lirola
Il giovane terzino è sembrato in affanno in alcuni momenti e sicuramente sbaglia la copertura su Lekue in occasione del terzo gol, ma sta dimostrando di avere anche alcune qualità per nulla ordinarie.
- Ricci sta a ‘anna a foco
Ricci, il cui best case scenario è Messi, mentre il worst case scenario è Ricci, è sembrato particolarmente in forma nei 5 minuti tra il 62esimo e il 67esimo. Da una sua giocata è nata la miglior occasione per il Sassuolo, che Defrel ha sprecato. Ma soprattutto questo lampo:
Qui riceve palla da rimessa laterale, prima tunnel e poi dribbling di tacco. Tutto perfetto fino a quando non arriva il momento di passarla. Ecco Ricci deve imparare a passare il pallone (42% di accuratezza ieri).
- Uscire dall’Europa League può non essere un male
Si dice sempre che il doppio impegno è un casino per chi non è attrezzato. Vista la situazione di classifica e infortuni, non può che essere una gioia per Di Francesco e i suoi tornare al consolatorio singolo impegno settimanale.
Ha segnato Kjaer
Grazie Europa League.
L’ora d’aria di Mkhitaryan
Ieri Mourinho ha concesso 90 minuti di prato verde a Mkhitaryan per fargli svolgere le sue funzioni vitali - correre, dribblare, tirare - ed evitare di farlo completamente impazzire. Noi allora abbiamo potuto godercelo come se fosse un giocatore nuovo.
Mkhitaryan si è per lo più posizionato alle spalle di Ibrahimovic, in posizione di trequartista centrale, da dove faceva partire scambi tecnici a una velocità che lo United non conosce da anni. Altre volte si è scambiato la posizione con Rooney, muovendosi da sinistra molto bene anche nella profondità senza palla. Ma soprattutto, finalmente abbiamo potuto ritrovare quella particolare categoria di contropiede in cui Mkhitaryan accende il nos.
Con l’armeno in campo lo United è sembrato avere molta più capacità di penetrazione, con e senza palla, impreziosendo anche il lavoro di sponda e rifinitura di Ibrahimovic. A fine partita avrà prodotto 5 dribbling e 3 passaggi chiave, risultando centrale nella maggior parte delle azioni offensive dello United. Una nuova era Mkhitaryan? Difficile, dopo la partita Mourinho ha dichiarato: «Ora ha bisogno di replicare questo tipo di partita in Premier, che è una cosa ben diversa. Ha bisogno di fare qualche passo in più» che tradotto Mourinhese-Mondo Comune significa all’incirca: questa partita non conta niente.
I migliori pali di Fiorentina Paok Salonicco
La traversa interna di Cristóforo
C’è una bellezza intrinseca nei tiri che finiscono per colpire la parte inferiore della traversa per poi atterrare rapidamente nei dintorni della linea di porta. È la bellezza dell’imperfetto, del brivido che corre tra il gol e il suo esatto contrario. Questa bellezza la troviamo tutta condensata nel bel piatto destro in corsa che Cristóforo ha scaricato alle spalle di Brkic e che ha finito la sua corsa timbrando il legno più lungo della porta. Che poi fosse effettivamente entrata, nel calcio empirico dell’Europa League, conta veramente qualcosa?
Il palo spaccato da Garry Mendes Rodrigues
Cosa sapevamo fino a ieri di Mendes Rodrigues? Che è nazionale capoverdiano, che segna poco e che ha vissuto la sua miglior stagione nel Levski Sofia. Cosa sappiamo da oggi di Mendes Rodrigues? Che può infiammare Firenze come solo Dante prima di lui. Nel classico giorno di gloria che tutti prima o poi hanno su di un campo da calcio, Garry - oltre a saltare avversari come birilli, fornire l’assist per il secondo gol e segnare quello della vittoria al minuto 93 - ha strappato un pallone dai piedi di Tomovic, si è accentrato come tutte le ali forti dovrebbero saper fare, ha evitato Gonzalo Rodriguez e poi tirato una sassata dritta verso il palo con l’obiettivo di spaccarlo. Guardate l’inquadratura da dietro: il pallone di Mendes cerca il legno come lo squalo il sangue.
La grazia naturale di Bernardeschi + la grazia innaturale di un pallone che dopo aver sbattuto sulla traversa finisce anche sul palo
Non c’è normalità nella grazia con cui calcia un pallone di sinistro Bernardeschi, neanche quando il portiere non c’è e basterebbe il minimo sforzo per il massimo risultato. La parabola che esce dal suo piede come la pasta fresca dalle mani di una nonna, si appoggia delicatamente sulla traversa e poi, non contenta, va a colpire anche il palo per qualche capricciosa legge della fisica. Ho scelto questo come miglior palo soprattutto perché, al netto della sfiga che è tanta, serve a Bernardeschi per ricordarsi che non è perché ora ha iniziato a segnare deve smettere di essere così, come questo tiro, più divertente che utile.