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Il bello dell'Europa League vol. 10
16 mar 2018
Le cose più oneste successe nel ritorno degli ottavi di finale della nostra coppa del cuore.
(articolo)
28 min
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Il power ranking dei quarti di finale

4. Lazio - RB Salisburgo

Livello Europa League: 12/20

Bellezza: 9/20

Equilibrio: 10/20

Giocatori da seguire: Milinkovic-Savic, Luis Felipe, Diadie Samassékou

Dopo il sorteggio dei quarti, che ha partorito Lazio - RB Salisburgo, Angelo Peruzzi, oggi club manager dei biancocelesti, ha dichiarato a caldo che «poteva andare peggio». Il Salisburgo è una squadra tatticamente preparatissima, che applica un calcio intenso e verticale, ma il dislivello tecnico tra le due squadre sembra talmente ampio da non lasciare scampo alla squadra austriaca. La Lazio dovrà avere paura più che altro di sé stessa, della paura cioè di sprecare quest’occasione di arrivare in una semifinale europea. L’ultima volta che ci è riuscita era il 2005, quando uscì in semifinale di Intertoto con il Marsiglia.

3. Arsenal - CSKA Mosca

Livello Europa League: 10/20

Bellezza: 14/20

Equilibrio: 11/20

Giocatori da seguire: Jack Wilshere, Henrikh Mkhitaryan, Sergej Ignashevich

L’Arsenal è una squadra storicamente pazza e attualmente (diciamo negli ultimi 8 anni) è anche in una fase da fine dell’impero (l’impero Wenger, in questo caso). Contro il Milan ha dominato la partita d’andata per poi soffrire molto la squadra di Gattuso al ritorno. La totale imprevedibilità della squadra londinese apre spiragli di speranza per il CSKA Mosca, che è riuscito inaspettatamente ad approdare ai quarti battendo il Lione fuori casa con una grande prestazione. Se volete, poi, potete leggere anche la sfida da un punto di vista geopolitico, dopo che pochi giorni fa la Gran Bretagna ha deciso di espellere 23 diplomatici russi dal paese dopo l’avvelenamento sospetto di un ex spia russa a Londra.

2. Atletico Madrid - Sporting CP

Livello Europa League: 11/20

Bellezza: 13/20

Equilibrio: 10/20

Giocatori da seguire: Bruno Fernandes, Bas Dost, Antoine Griezmann, Gabi.

Fra sedicesimi e ottavi di finale l’Atletico Madrid ha segnato 14 gol e ne ha subiti 2, apparendo una squadra semplicemente illegale per il livello un po’ svampito dell’Europa League. Per dare una misura di massima, secondo l’algoritmo di FiveThirtyEight - che calcola prestazioni difensive e offensive - l’Atletico Madrid sarebbe la settima squadra più forte d’Europa e starebbe benissimo ai quarti di Champions League, ad esempio più di Roma, Siviglia o Liverpool, che hanno punteggi peggiori. Lo stesso algoritmo della rivista indica l’Atletico come la favorita indiscussa dell’Europa League, ben più di Arsenal e Lazio.

Lo Sporting Clube non sembra un avversario in grado di poter mettere in difficoltà gli spagnoli, anche alla luce di quante difficoltà hanno avuto i portoghesi nel gestire il doppio confronto con il Viktoria Plzen. La squadra di Jorge Jesus ha un gioco estremamente verticale, con giocatori tecnici ma che amano andare il prima possibile verso la porta avversaria. Per livello tecnico e creatività offensiva, lo Sporting rappresenta se non altro un osso leggermente più duro per la squadra di Simeone, per non arrivare completamente addormentati alle fasi finali.

Con 12 gol subiti l’Atletico Madrid è la miglior difesa d’Europa mentre lo Sporting è terzo in campionato, ben dietro Porto e Benfica. Il confronto di questi quarti sembra insomma ancora piuttosto chiuso, ma sarà la partita con forse più qualità tecnica tra i ventidue in campo. Bruno Fernandes, Gelson Martins, Fredy Montero, Antoine Grizmann, Koke, Saul Niguez sono tutti giocatori per cui vale sempre la pena accendere il televisore.

1. RB Lipsia - Marsiglia

Livello Europa League: 13/20

Bellezza: 17/20

Equilibrio: 17/20

Giocatori da seguire: Florian Thauvin, Dimitri Payet, Marcel Sabitzer, Naby Keita

RB Lipsia - Marsiglia è una sfida dai contorni netti. I tedeschi sono una squadra dall’organizzazione molto codificata, che lascia poco al caso; i francesi sono invece una squadra che vive di più di illuminazioni individuali. A confrontarsi saranno quindi due modi di vedere il calcio quasi agli antipodi, che sembrano peraltro potersi incastrare nel modo migliore possibile per favorire lo spettacolo.

Il Red Bull Lipsia ama riconquistare il pallone alto e togliere ritmo al gioco avversario riaggredendone la costruzione; l’OM non disdegna fasi di difesa posizionale per aprirsi più campo possibile da attaccare con i propri talenti. È una sfida aperta, dal pronostico incerto, fra forse le due migliori formazioni della Coppa dopo l’Atletico Madrid.

Il Red Bull Lipsia probabilmente cercherà di schiacciare l’OM dal punto di vista tattico e fisico, giocando su ritmi a cui gli uomini di Garcia non sono abituati. I tedeschi hanno però dimostrato una certa fragilità nell’assorbire le transizioni avversarie, che è il terreno dove fiorisce il talento di Florian Thauvin e Dimitri Payet. Chiunque vinca si accrediterà con forza per la vittoria finale.

Conosci la tua squadra di Europa League: Red Bull Salisburgo

Un Gaur è mediamente lungo 3 metri e alto 2. Gli esemplari maschi più in forma arrivano a pesare una tonnellata. Gaur è il nome che indica il bisonte indiano, la bestia da soma più grande della nostra biosfera. Per la sua forza calma è molto presente nella cultura popolare del sud-est asiatico: “I Gaur Rossi” sono un’organizzazione paramilitare di estrema destra che opera in Thailandia e la sua versione in lingua Thai, Krathing, è ciò che ha ispirato la KratingDae, una bibita energetica thailandese nata nel 1976 per affilare la concentrazione dei lavoratori rurali di un’economia giovane come quella del sud-est asiatico.

Dietrich Mateschitz è un uomo d’affari austriaco d’origine croata. Si è laureato in economia, è impiegato in un’azienda di prodotti cosmetici e durante uno dei suoi viaggi di lavoro in Thailandia si innamora della KratingDae: ti sballa come il caffè ma è dolce come la CocaCola. Decide allora di portarla in Europa, aggiustandone il gusto su quello degli occidentali.

Mateshitz è laureato in marketing e inizia un lavoro articolatissimo per costruire un brand Red Bull. Sponsorizzare sport estremi, ad esempio, è un modo per comunicare un’idea di mondo veloce, pazzo, adrenalinico. Un universo in cui si può sopravvivere solo bevendo molta RedBull. Quando ha deciso di far entrare il suo brand anche nel calcio, Mateshitz ha cercato comunque di ricreare un contesto valoriale conforme a quello RedBull, cercando quindi di piegare il calcio ad uno sport estremo.

Le squadre Red Bull giocano a New York, Brasilia, Salisburgo, Lipsia, ma hanno tutte la stessa maglia bianca e i pantaloncini rossi, il logo del brand grande e centrato sul torace dei giocatori. Tutte propongono un calcio accelerazionista, giocato in verticale e ad alti ritmi: il calcio che si potrebbe giocare strafatti di Red Bull. La città pioniera, da cui partire per la conquista mondiale, è stata la patria di Mateshitz, Salisburgo, una perla mitteleuropea incastonata nel paesaggio alpino. È strano immaginare l’incubazione di una squadra così futuristica fra le architetture barocche di Salisburgo entro cui è nato Wolfgang Amadeus Mozart.

Il Red Bull Salisburgo è stato fondato nel 2005 e ha cancellato l’esistenza dell’Austria Salisburgo, la squadra fondata nel 1933 che giocava col bianco e il violetto - i colori della città - e che aveva vinto 4 campionati austriaci. Ha portato allenatori con una visione cupa ma interessante del calcio, come Roger Schmidt, ma alla fine del primo tempo - alla Red Bull Arena - suona la marcia di Radetsky, in uno strano tentativo di rivendicazione di un’identità locale.

Una canzone dell’ultimo disco di Lorenzo Senni, secondo Valerio Mattioli ispirato dagli energy drink.

Guidato dalla propria euforia sintetica, il Red Bull Salisburgo sta giocando una grande Europa League e ha eliminato il Borussia Dortmund, quella che fino a qualche anno fa era considerata la squadra del futuro. Spesso il Salisburgo funge da serbatoio di giocatori per la più potente Red Bull Lipsia, la franchise gemella che rischia di incrociare prima o poi in questa competizione, in una sfida che tutti noi bramiamo per poter decretare la fine del calcio per come lo conosciamo.

I tifosi della Dinamo Kiev accusano quelli della Lazio di non essere abbastanza fasci

Dovreste ormai conoscere una delle leggi più comuni di questa rubrica: in Europa League i mondi più distanti possono incontrarsi e dare vita a dei cortocircuiti degni di William Burroughs. Ieri ad essersi incontrati sono stati il mondo della Dinamo Kiev - la squadra più gloriosa dell’Ucraina - e quello della Banda Bassotti - un gruppo ska romano.

I tifosi della Dinamo Kiev sono bianchi e celesti come quelli della Lazio, e come loro - in alcuni gruppi organizzati - provano una certa simpatia verso l’estrema destra. I tifosi della Dinamo ci tengono però ad essere più a destra di tutti e circa un anno fa, prima di una sfida contro lo Shakhtar hanno lanciato su Twitter l’hashtag #whitefrenzy per accogliere degnamente i giocatori neri avversari. I tifosi della Dinamo si sono allora vestiti con i cappucci bianchi del ku klux klan con delle svastiche disegnate sopra. Insomma, i tifosi ucraini non hanno proprio voluto lasciare ambiguità sul loro fascismo e nel tentativo di mostrarsi più fascisti dei loro rivali della Lazio a un certo punto della partita hanno esposto questo striscione.

La Banda Bassotti è un gruppo dichiaratamente anti-fascista. Per dire, un loro album si intitola “Bella Ciao” e un altro “Rumbo al socialismo XXI”. È un gruppo piuttosto di nicchia ma straordinariamente conosciuto fra i fasci, che nel 2007 li hanno aggrediti dopo un loro concerto a Villa Ada. Siamo abituati ad atti violenti ed esagerati da parte delle tifoserie di estrema destra rispetto a cui una conflittualità di questo tipo - fra piccoli simboli sottoculturali - suona ridicola. In ogni caso fa sorridere l’immagine di un ultras della Lazio - vestito con pantaloni taglio classico, berretto di lana e occhiali da sole - ascoltare di nascosto in cameretta Stalingrado.

Dove si compra la barella dello Zenit San Pietroburgo?

I calciatori dello Zenit San Pietroburgo vengono soprannominati “I leoni”, anche se non è chiaro se ci sia davvero qualcuno che li chiami così o se non sia altro che un soprannome posticcio. La mascotte dello Zenit San Pietroburgo è comunque un leone molto simpatico, che dal 2014 è affiancato da Bart Simpson, che per qualche ragione è diventato un’altra mascotte del club.

Il leone è però rimasto come simbolo di forza e regalità su alcuni dettagli dello Zenit. I calciatori arrivano alle partite con una testa di leone gigantesca disegnata sul pullman e ieri abbiamo potuto ammirare anche la barella con il leone disegnato sul muso. Perfetta per andare a fare la spesa o le piccole commissioni quotidiane con stile.

Le reazioni di Inzaghi

Nel doppio confronto contro la Dynamo Kiev, la Lazio ha dimostrato una superiorità tecnica schiacciante eppure il passaggio del turno è rimasto in bilico fino all’82' del secondo tempo della partita di ritorno. I biancocelesti, nei 180 minuti, hanno sbagliato una quantità di occasioni da gol che di solito si spreca in un girone di campionato e fino a pochi minuti dal fischio finale potevano essere eliminati da un gol della squadra ucraina. Simone Inzaghi - che essendo un allenatore conosce bene tutte le regole non scritte del calcio, a partire da “Gol sbagliato, gol subito” - era per questo molto nervoso. La sua mimica del corpo ad ogni azione trasudava la paura di tutta la squadra di farsi sfuggire dalle mani questa occasione d’oro, nonostante la Lazio avesse indirizzato la partita già al 22esimo del primo tempo, con un gol di testa di Lucas Leiva.

Da quel momento in poi, però, ogni fibra nervosa di Simone Inzaghi si è diretta verso lo spettro che la Dynamo Kiev potesse pareggiare, facendo diventare qualsiasi occasione persa il segnale ineludibile che la catastrofe stesse arrivando. A metà del primo tempo Luis Alberto prova a segnare direttamente da calcio d’angolo (uno dei suoi 19 tentativi durante la partita), ma Boyko respinge il pallone con i pugni. Inzaghi si gira allargando le braccia con sdegno, come se il trequartista spagnolo avesse mandato la palla in curva a pochi metri dalla porta vuota. Dai, ma come si fa a fallire un gol olimpico?

Al 37' anche Immobile inizia la sua personale lotta contro il senno del suo allenatore, tirandosi su una gamba un facile cross basso al centro dell’area. Inzaghi è già in quello stato mentale che ti fa urlare prima contro la terra e poi contro il cielo con le mani alzate. Se un dio esiste, è sicuramente della Dynamo Kiev.

Ma il peggio deve ancora arrivare. Pochi minuti dopo Immobile è lanciato da solo verso la porta ma il suo tiro d’esterno viene ancora una volta ribattuto dallo stoico Boyko. Inzaghi ormai è un guscio vuoto, un uomo in attesa del suo destino.

Alla fine del primo tempo all’ingiustizia divina si aggiunge quella umana. Immobile corre di nuovo verso la porta da solo, prova a superare Boyko, ma questo salta e ferma il pallone con le mani, forse fuori area. Inzaghi mima il gesto del portiere ucraino verso il campo e poi verso il quarto uomo perché la sua indignazione non è più esprimibile a parole.

Dopo cinque minuti dall’inizio del secondo tempo anche Patric fallisce il colpo del definitivo KO, mandando alle stelle una palla che rimbalzava solitaria a pochi metri della porta vuota. Inzaghi si gira verso la panchina senza scomporsi troppo, scuotendo le mani come se gli scottassero. L’allenatore della Lazio sta aspettando l’ascia del boia e ci si mette pure questo.

Ma invece dell’ascia del boia, alla fine arriva finalmente il 2-0 che chiude la partita. Inzaghi non può crederci, corre verso il suo secondo come in un sogno bellissimo. Ma poco prima di arrivarci le suole lisce delle scarpe da matrimonio che tutti gli allenatori sono costretti ad indossare nelle competizioni UEFA slittano sulla pista d’atletica ghiacciata dello stadio ucraino, facendolo scivolare come Pippo.

Inzaghi ci aveva preso, qualcosa di brutto stava per accadere. Ma per fortuna della Lazio, non era quello che si aspettava.

How old are u: Bibras Natkho

In questa rubrica, come sapete, dovete indovinare quanti anni ha un giocatore dell’Europa League, la coppa in cui una partita di 90 minuti dura in realtà 130 anni di tempo empirico. Il protagonista di questa puntata è Bribras Natkho, centrocampista israeliano del CSKA Mosca. Se amate questa rubrica lo sapete che non potete barare cercando su Wikipedia. Se durante il quiz vi viene voglia di aprire Wikipedia guardate questa rovega di Moussa Sow.

Per aiutarci ci siamo serviti dell’applicazione “How-old”, dove abbiamo messo delle foto di Natkho e la app ci ha detto quanti anni ha secondo il suo algoritmo.

Ecco una foto di Natkho che esulta in uno dei suoi rari momenti di felicità. Natkho è un mediano e il suo compito è soprattutto quello di recuperare palloni e dare ordine al CSKA Mosca: non il miglior lavoro del mondo. Però quando pensate a Natkho, provate a immaginarlo come un 36 enne felice.

Prima che arrivasse al CSKA Mosca Natkho era un fiore: capelli lunghi, pelle tesa e lucida, occhi sorridenti. Guardatelo ora, dopo quattro anni di cetriolini e vento moscovita.

Forse devo mostrarvi una foto di Natkho al Rubin Kazan, appena arrivato in Russia. Guardatelo qua sotto, improvvisamente trentacinquenne, con la faccia non solo stanca ma anche cattiva. Quella particolare oscurità interiore di chi ha toccato con mano il male del mondo e ha capito che non può farci niente.

Secondo l’algoritmo l’età di Natkho è compresa fra i 35 e i 43, quelli che non gli permetterebbero di guidare il centrocampo del CSKA Mosca nel rigido inverno russo. Proteggere i fratelli Berezutskij dalle offensive avversarie.

Soluzione: Bibras Natkho ha 29 anni.

Il destino crudele del Viktoria Plzen

Il calcio è uno sport ingiusto e crudele. Questa banalità è stata codificata in decine di modi di dire, motti, aneddoti, ed è stata interiorizzata da tutti gli appassionati, che sanno che tifare una squadra è, sostanzialmente, soffrire. Eppure, persino una coppa come l’Europa League è riuscita a scrostare via la retorica da questa semplice verità, ricordandoci la bellezza atroce degli scontri diretti, con la partita più inaspettata.

Viktoria Plzen - Sporting Clube sembrava una partita già scritta. Tra le due squadre c’era grossa differenza tecnica e il 2-0 ottenuto in casa all’andata dallo Sporting sembrava aver già messo il passaggio del turno al sicuro. Dopo la partita d’andata l’allenatore del Plzen, Pavel Vrba, aveva praticamente alzato bandiera bianca: «Non ho la sfera di cristallo in vista della gara di ritorno ma loro partono da due reti di vantaggio. Poi se vediamo i calciatori a loro disposizione notiamo la qualità della rosa portoghese».

E invece il ritorno si è messo subito per il verso giusto, con un gol di testa di Marek Bakos dopo appena cinque minuti, su un cross dalla trequarti difeso malissimo dalla squadra di Jorge Jesus. Da quel momento in poi tutto è sembrato remare verso la qualificazione del Viktoria Plzen, con una serie di avvenimenti che solo il tifoso più sprovveduto non avrebbe interpretato come chiarissimi segni del destino.

I tifosi del Viktoria Plzen iniziano a crederci.

Al 39' del primo tempo, ad esempio, Bas Dost ha messo a terra un campanile dalla trequarti, servendo Bryan Ruiz esattamente sul dischetto del rigore. Il costaricense ha contato i rimbalzi, ha colpito di collo pieno ma ha mandato la palla ad qualche metro dal palo alla sinistra del portiere della squadra ceca, fallendo praticamente un rigore in controbalzo. Il primo tempo è finito pochi minuti dopo.

Poco dopo il ritorno in campo delle due squadre, il secondo, inequivocabile, episodio. Bruno Fernandes riesce a recuperare una palla vagante all’altezza del centrocampo, sfugge alla marcatura di due uomini e calcia dalla distanza, trovando però la grande risposta di Hruska. Sulla respinta arriva Acuña, che batte a colpo sicuro: la palla invece di finire in porta, però, per qualche ragione, sbatte sul palo e torna nuovamente sul piede dell’ala argentina, che non contento, spara questa volta il pallone sopra la traversa. I tifosi dello Sporting iniziano a capire che qualcosa sta andando storto.

Il Viktoria Plzen, sentendo il vento alle spalle, alza i ritmi, moltiplicando le occasioni da gol create, e al 63esimo arriva il 2-0, ancora di Marek Bakos, che porterebbe la sfida ai supplementari. Lo Sporting prova a invertire forzando le giocate ma la serata sembra ormai segnata.

Al 90esimo esatto Bas Dost riesce a raccogliere un rinvio un po’ casuale dal centrocampo andando in uno contro uno con il portiere. Sul recupero del difensore ceco forse viene sfiorato e l’arbitro assegna il rigore che dovrebbe chiudere definitivamente la sfida. L’attaccante olandese, però, tira malamente a mezza altezza, colpendo le gambe del portiere. La palla torna su Bruno Fernandes che però stoppa male e calcia alto. A quel punto nessuno si aspetta qualcosa di diverso dal passaggio del turno del Viktoria Plzen.

Tifosi del Viktoria Plzen che, dopo il rigore fallito da Bas Dost, sentono di meritare un quarto di finale di Europa League.

Al 98esimo del primo tempo supplementare Bryan Ruiz viene pescato di nuovo tutto solo in mezzo all’area da un gran cross di Bruno Fernandes, ma sul suo colpo di testa si allunga miracolosamente il solito Hruska, probabilmente nella sua miglior serata da molti anni.

Sta ormai finendo il primo tempo supplementare e lo Sporting batte un ultimo calcio d’angolo, quasi trenta secondi oltre il minuto di recupero assegnato dall’arbitro. Nessuno sa che il calcio sta per compiere la più terribili delle sue maledizioni: Bruno Fernandes mette dentro l’ennesimo cross perfetto della sua giornata, trovando la testa di Battaglia, che con una torsione perfetta riesce finalmente a battere Hruska.

La morte, sotto forma di tifoso bambino, che saluta i sogni dei tifosi del Viktoria Plzen, poco dopo il gol vittoria di Battaglia.

Rodrigo Battaglia è alto un metro e 87 e pesa circa 80 chili ma per qualche motivo è soprannominato El Flaco, cioè il magro, come Pastore. Ha avuto una carriera dimenticabile tra Argentina e Portogallo, e forse dopo oggi non ne sentiremo parlare più. I tifosi del Viktoria Plzen, invece, di lui non si dimenticheranno mai.

La partita di Wernbloom, il mediano reinventato centravanti

Siamo abituati a calciatori che vengono spostati centravanti solo in situazioni disperate. I difensori molto grossi possono spostarsi in attacco per gli ultimi minuti, cercando di creare caos aereo nella difesa avversaria. Al CSKA, il nuovo allenatore prodigio dell’est, Viktor Goncharenko, ha radicalizzato quest’idea e in questa stagione sta schierando con continuità Pontus Wernbloom - mediano svedese di 32 anni - da centravanti dal primo minuto.

Lo ha fatto anche ieri, nella trasferta contro il Lione. L’impressione è stranissima: quest’uomo alto e nodoso con il numero 3 da difensore, ma le movenze rigide e geometriche di un centrocampista. Wernbloom non è neanche un mediano fantasioso o particolarmente tecnico: è invece uno di quei centrocampisti di fatica che emergono a un buon livello nel calcio attuale soprattutto grazie a un atletismo fuori dal comune.

Wernbloom anche da centravanti usa queste qualità. È un giocatore intelligente che sa quando attaccare la profondità e quando abbassarsi per tirare fuori i difensori avversari dalla linea. A quel punto favorisce i tagli interni dei due giocatori più talentuosi di una squadra arida come il CSKA: Dzagoev e Musa. Wernbloom usa benissimo il corpo e questo lo rende prezioso nel gioco aereo, quando la squadra ha ancora meno idee del solito e decide di lanciare lungo. Per dire, ieri, contro due centrali fisici come Marcelo e Diakhaby, è riuscito a vincere OTTO duelli aerei.

Wernbloom ha segnato anche il gol del 3 a 1, facendosi trovare pronto su un passaggio in area e chiudendo in porta col sinistro, non il suo piede. Nel calcio contemporaneo il ruolo del centravanti è sempre più difficile da interpretare, e la richiesta di qualità universali porta paradossalmente a rendere più adatti giocatori come Wernbloom - più a loro agio nel saper interpretare tante situazioni diverse - che centravanti puri, troppo concentrati sulla definizione del gioco.

I peggiori errori della giornata

L’errore di Acuña contro il Viktoria Plzen

Marcos Acuña è tra i pochi ex terzini che nel calcio contemporaneo è stato convertito ala. Un percorso che di solito è inverso. Contro il Viktoria Plzen tutta la sua poca dimestichezza con la porta avversaria è però tornata a galla in questa specifica occasione. Acuña sbaglia già il primo gol in modo abbastanza grave, aprendo troppo il piatto sinistro verso il secondo palo. Ha la fortuna che però la palla gli ritorna esattamente sul suo piede, col portiere a terra, e Acuna tira alto, altissimo. Forse non avrebbe segnato neanche con un’altra porta messa in verticale sopra quella normale. Poi, come fa spesso chi viene da un errore grave, copre la vergogna chiedendo calcio d’angolo. Anche un compagno gli dà spago e indica la bandierina col dito. Ma chi ci crede Marcos, chi ci crede.

L’errore di Bryan Ruiz sempre contro il Viktoria Plzen

La cosa bella di questo errore di Bryan Ruiz è guardare con quanta decisione l’attaccante si prepara e tira dopo la sponda del compagno. Ruiz la controlla bene, ce l’ha un po’ addosso ma è un giocatore con un’ottima tecnica di tiro e la colpisce quando è ancora alta, per evitare l’anticipo del difensore. Guardate come stende la gamba per tirare, dritto dritto fuori di quattro metri. Ruiz ha tutto il corpo diretto verso il punto in cui tira, non sembra fortuito. Sembra proprio che Ruiz abbia problemi di vista.

L’errore di Patric contro la Dinamo Kiev

Oltre a Sporting Lisbona - Viktoria Plzen anche Dinamo Kiev - Lazio è stata una partita con gravissimi errori sotto porta. Nello show dei gol sbagliati Ciro Immobile ha avuto una grande parte, con 5 tiri in area di rigore e 0 gol. Il più bell’errore di tutti è però questo di Patric, che è di quegli errori che violano la logica fisica del nostro pianeta. È quasi impossibile tirare col piatto da lì senza prendere la porta, per questo errori di questo tipo vanno celebrati come i migliori gesti tecnici.

Giocatore europa league: Danny Welbeck

Quando ci abbiamo creduto: 6

Quanto è stato realmente forte: 4

Quanto è caduto in disgrazia: 2

Quanto sembra depresso: 9

Il rigore regalato all’Arsenal ieri è stato probabilmente uno degli errori arbitrali più grossolani e meno spiegabili degli ultimi anni. Persino in diretta il tuffo di Welbeck è sembrato ridicolo, non ci poteva essere spazio per alcuna ambiguità.

Persino nel tuffarsi Welbeck è sembrato enfatico e goffo, come in quasi tutte le altre cose che fa sul campo da calcio. Gli stop in cui sembra fare una fatica enorme ad offrire il piatto del piede al pallone; le conduzioni in velocità in cui deve sempre stare attento a non andare più forte della palla; i tiri in cui non ha una vera e propria tecnica ma una soluzione improvvisata di volta in volta. Tra ciò che Welbeck appare e i suoi numeri, e in generale la considerazione di cui gode in Inghilterra, risiede un grande mistero. Non c’è niente di particolarmente buono che Welbeck sa fare sul campo, niente che giustifichi il suo impiego da centravanti in una partita di alto livello, eppure risulta per essere spesso più indispensabile di quanto dovrebbe.

Welbeck riesce ancora a sorprendersi dopo aver sbagliato un gol.

Nell’Inghilterra, dove ha un invidiabile score di 15 gol in 36 partite, e nell’Arsenal, dove quest’anno doveva finalmente smettere di vedere il campo, e invece sta giocando tutta l’Europa League da titolare. Welbeck gioca perché Aubameyang non può giocare (lo aveva già fatto col BVB) e perché Lacazette si è infortunato, e così deve accollarsi i destini offensivi della sua disgraziata squadra, in questa disgraziata annata, in cui da vincere è rimasta solo una coppa disgraziata, che sembra a tutti alla portata ma che in realtà è insidiosissima.

Welbeck ha avuto una parabola per certi versi opposta a quella del tipico giocatore da Europa League. Se in Europa League ritroviamo alla periferia del calcio giocatori che per un certo periodo sono stati forti, Welbeck è ancora nel cuore del calcio europeo nonostante forte non lo sia mai stato. Quando è andato via dal Manchester UTD, Welbeck sembrava destinato a scendere in una squadra più simile al suo livello, ma per qualche ragione - che ha di certo a che fare col masochismo dell’Arsenal come ente del mondo - Wenger ha deciso di investire su di lui.

Welbeck ha mancato anche la narrativa del riscatto e ha continuato a giocare in modo mediocre. È questo grigiore indistinto, in cui Welbeck gioca, questa impossibilità a capire cosa la gente vede in lui, che lo rende un giocatore Europa League. Contro il Milan si è guadagnato quel rigore senza merito - perché in fondo ha anche simulato male - e ha segnato il gol del 3 a 1 con un colpo di testa sgraziato sulla riga. Una prestazione degna del peggior anti-eroe.

Ciao Aritz!

Eusko Gudariak gara

Euskadi askatzeko,

gerturik daukagu odola

bere aldez emateko

Euzko gudariak

Siamo i combattenti baschi

arrivati per liberare Euskadi

Generoso è il sangue

che verseremo per lei

Combattenti Baschi

Ieri sera Artiz Aduriz potrebbe aver giocato la sua ultima partita di Europa League. A 37 anni e con la sua squadra lontana 8 punti dall’ultimo posto valido per qualificarsi il prossimo anno, è un’opzione che dobbiamo tristemente considerare. L’attaccante è senza dubbio uno dei giocatori che più ha onorato questa competizione: ha segnato 25 gol nelle ultime tre edizioni, 28 in totale che lo rendono il secondo miglior marcatore nella storia dell’Europa League (il migliore se consideriamo anche i turni di qualificazione). Quest’anno solo Immobile (o Griezmann se ne ha davvero voglia) può impedirgli di vincere il secondo titolo di capocannoniere, una gioia che è toccata due volte solo a Falcao.

Sotto la pioggia battente di Bilbao, Aduriz ha iniziato bene la sua partita sfiorando l’incrocio dei pali con uno stacco di testa in controtempo. Purtroppo non è bastato: la squadra - e lo stesso Aduriz - sono calati e il Marsiglia ha chiuso facilmente il discorso qualificazione con due gol. A quel punto Aduriz ha prima cercato di aumentare il suo bottino con un morbidissimo lob finito sopra la traversa e - involontariamente - ha servito l’assist ad Inaki Williams. Poi un finale inaspettato: un cartellino rosso per doppia ammonizione. Una chiusura che può apparire malinconica, ma che cela una certa logica: come possibile ultimo atto in Europa League, Aritz ha scelto di falciare Ocampos, un giocatore che rappresenta pienamente la deriva Cristianoronaldesca di un certo tipo di calcio, che mal si sposa con la competizione più amata dal basco. Forse gli ha anche passato qualche tipo di potere e da domani l’esterno del Marsiglia diventerà uno dei giocatori più fedeli dell’Europa League.

Nel salutarlo vale la pena ricordare alcuni dei momenti migliori del rapporto tra Aritz Aduriz e l’Europa League:

  • 16/02/2012: esordisce in Europa League con la maglia del Valencia nella sfida contro lo Stoke City.

  • 23/08/2012: segna il primo (di testa) e il secondo gol (di destro) della sua vita nei preliminari di Europa League nella sfida tra Athletic Bilbao e HJK Helsinki.

  • 08/11/2012: segna il primo gol nella fase finale di Europa League in una sconfitta per 2 a 3 contro il Lione. In questo momento ha 31 anni.

  • 26/02/2015: viene eliminato dal Torino di Ventura.

  • 18/12/2016: contro il Marsiglia segna uno dei gol più belli della storia della competizione.

  • Vince il titolo di capocannoniere dell’edizione 2015/16 con 10 gol.

  • 03/11/2016: segna 5 gol in una partita, primo - e ad oggi unico - nel riuscire nell’impresa.

  • 07/12/2017: segna il gol 4700 nella storia dell’Europa League.

Speriamo davvero di poter aggiornare ancora questa lista.

Il gol più Europa League: Iñaki Williams in Athletic Club - Marsiglia 1-2

Virilità: 7/10

Assurdità: 9/10

Anti-epicità: 10/10

Paura della morte: 10/10

Iñaki Williams è il primo giocatore nero ad aver indossato la maglia dell’Athletic Club, una squadra dove possono giocare solo giocatori nati o provenienti dai Paesi Baschi, ed è una delle più luminose promesse del calcio spagnolo. Quest’anno, però, Iñaki Williams, insieme a tutto il resto dell’Athletic, sta deludendo: l’attaccante di origini ghanesi ha segnato appena 8 gol in stagione, mentre la squadra basca è al 12esimo posto in campionato. L’ottavo di finale contro il Marsiglia, in cui l’Athletic è sembrato impotente di fronte alla varietà offensiva della squadra di Rudi Garcia, è stata in questo senso una piccola sineddoche della stagione. E il gol che ha realizzato Iñaki Williams, al 74esimo del secondo tempo con la partita già finita, una sineddoche nella sineddoche.

L’Athletic ha trovato il Marsiglia sbilanciato in transizione con un rilancio lungo dalla mediana per Susaeta, che ha portato il pallone fino alla trequarti prima di appoggiarlo per la sovrapposizione esterna di De Marcos, che ha crossato al centro di prima. La difesa del Marsiglia sembrava in controllo, con Rami pronto a pulire l’area di testa. Il centrale francese, però, ha cercato di colpire il pallone di nuca, piegandosi come se dovesse sollevare un bilancere, non accorgendosi di avere alle spalle Aduriz. Il pallone è quindi rimbalzato sul centravanti basco e poi, come in un flipper, nuovamente su Rami, finendo nello spazio vuoto tra i difensori e il portiere. Iñaki Williams si è allungato in spaccata per anticipare Mandanda, che ha cercato disperatamente di spazzare via il pallone con i piedi. I due sono rimasti a terra con le gambe incrociate, come in una partita di Twister finita male, mentre il pallone rotolava in porta. Pochi minuti Aduriz è stato espulso per un intervento in scivolata su Ocampos e la partita si è spenta definitivamente.

«Personalmente mi sento tranquillo: le critiche mi rendono più forte», aveva detto ieri Iñaki Williams, nella conferenza pre-partita «Se ti criticano, d'altronde, è perché la gente sa che sei capace di realizzare tanti gol. Le occasioni ci sono sempre, magari mi sblocco proprio domani».

Chi sa solo di Europa League non sa niente di Europa League

Il cerchio della vita dell’Europa League si sta stringendo: rimangono solo otto squadre, ma soprattutto otto città, tutte diverse (o almeno molto più diverse di RedBull Lipsia e RedBull Salisburgo), tutte che rispecchiano la natura più profonda del vecchio continente, quello da cui prende il nome l’unica competizione che ha votato la Bonino. L’Europa, quindi: Madrid, Lipsia, Salisburgo, Roma, Londra, Lisbona, Mosca e Marsiglia per essere più precisi. Ma pensate di conoscere davvero il continente che ha dato i natali a Jon Snow (almeno credo)? Ecco un quiz che coinvolge le otto città rimaste, l’Europa e la vostra conoscenza. Per non farvi usare Google vi abbiamo messo anche le tre opzioni.

Qui è nato MozartSalisburgoMoscaLipsia

Fu fondata dai Focesi nel 600 a.C.RomaLisbonaMarsiglia

Qui si trova la libreria più antica del mondo, la Bertrand Bookstore fondata nel 1732LisbonaLondraSalisburgo

Vi è seppellito MarxCimitero degli inglesi, RomaCimitero di Highgate, LondraCimitero di Novodevičij, Mosca

Era chiamata la Terza RomaRomaMoscaMadrid

Qui si trovano 3 pezzi del Muro di BerlinoMadridMoscaLipsia

7) Ha avuto un sindaco comunista e critico d’arte

Marsiglia

Londra

Roma

8) C’è uno dei cori di voci bianche più famosi del mondo

Lipsia

Salisburgo

Mosca

Risposte:

Salisburgo: sebbene sia nato a Salisburgo, c’è una grossa disputa tra tedeschi e austriaci sulla paternità di Mozart. All’epoca infatti "tedesco" si definiva anche colui che si sentiva legato al "Sacro Romano Impero di Nazione Tedesca", tra cui lo stesso Mozart.

Marsiglia: Timeo di Tauromenio racconta che i focesi guidati da Furio e Perano raggiunsero le rive di quella che divenne poi Marsiglia, incontrarono un pescatore. Perano, lanciandogli una cima gli gridò "Lega, pescatore!".

Lisbona: A causa del grande terremoto di Lisbona (1755) i suoi libri vennero ospitati nella Capela de Nossa Senhora das Necessidades per 18 anni, finché non tornarono in un nuovo edificio nel centro della città.

Cimitero di Highgate, Londra: qui è sepolto insieme ad altri pensatori europei come Eric Hobsbawm, Douglas Adams e George Michael. Al cimitero degli inglesi di Roma è sepolto Gramsci, se vi interessa.

Mosca: Il primo a chiamarla in questo modo fu il monaco ortodosso Filofej in una missiva del 1523 al Gran Principe di Mosca con la quale lo esortava a combattere l’eresia: “Due Rome sono cadute, ma la terza resiste e non ve ne sarà una quarta”.

Madrid: Si trovano all’interno del Parque de Berlìn, in una zona periferica e poco conosciuta. Un aneddoto racconta che una volta un addetto alle pulizie provò a cancellare le scritte sui pezzi di muro venendo però fermato in tempo.

Roma: Giulio Carlo Argan, negli anni 1976-1979 fu il primo sindaco non democristiano di Roma. Pochi anni prima aveva scritto L'arte moderna 1770-1970 che conoscerete se avete studiato Storia dell’Arte o ci avete provato con chi l’ha studiata.

Lipsia: Il Thomanerchor è un coro fondato nel 1212 dal marchese Teodorico I di Meissen composto da ragazzi tra i 9 e i 18 anni vestiti “alla marinara”. Bach ne fu direttore dal 1723 fino alla morte.

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