Gli esperimenti di Montella nel deludente pareggio con l'AEK
Una cosa che non avremmo saputo predire due mesi fa, quando eravamo pieni di speculazioni sul nuovo Milan, è che avrebbe faticato in casa contro l’AEK Atene in una tiepida serata di fine Ottobre. Con la stagione ormai iniziata da due mesi, la squadra di Montella è ancora alla ricerca della sua identità e la partita di ieri ha confermato molte delle difficoltà incontrate fin qui nel creare gioco.
Subito dopo il derby dell'ultima giornata di campionato, Bonaventura era andato davanti ai microfoni ed aveva detto: «L’anno scorso ho fatto tante partite da mezzala, ma giocare sempre col 4-3-3 ci dava dei vantaggi. Ora col 3-5-2 stiamo faticando, ma questi sono problemi che deve risolvere l’allenatore. Non è facile far adattare i nuovi, è difficile mettersi nei panni di Montella». Ieri Montella si è messo nei suoi panni ed ha schierato Bonaventura esterno sinistro a tutta fascia.
Fossimo meschini penseremmo che questa mossa sia stata fatta proprio per punire le dichiarazioni del centrocampista italiano, ma nella realtà l’allenatore del Milan ha provato questa mossa disperata per risolvere i problemi di gioco della sua squadra. Inserendo Bonaventura, Montella ha provato ad aumentare la qualità degli interpreti del suo 3-5-2 abbassando allo stesso tempo Rodriguez nei tre di difesa, accanto a Bonucci e Musacchio, e permettendo al suo centrocampista, con la presenza sull’altra fascia di Calabria, di non doversi occupare eccessivamente della fase difensiva. In fase di non possesso, infatti, Calabria tendeva a scalare sulla linea dei difensori e di conseguenza Rodriguez si allargava, andando a formare un 4-4-2.
Qui su un rilancio lungo del portiere, Calabria scala in difesa, mentre Bonaventura rimane alto sulla linea dei centrocampisti.
Sulla carta questa scelta doveva permettere al Milan di avere sull’esterno un giocatore in grado di entrare dentro al campo e giocare il pallone con qualità, soprattutto per la sua capacità di servire i movimenti delle due punte. In realtà la posizione di Bonaventura non ha creato però i vantaggi sperati per il Milan perché il centrocampista rossonero tendeva ad entrare troppo all’interno del campo quando la palla si trovava sul lato destro dell’attacco, andando ad affollare il centro. Allo stesso modo, quando il gioco si strutturava dalla sua parte, Bonaventura è stato poco dinamico non riuscendo ad andare dietro le linee avversarie per dare profondità alla manovra.
La pass map evidenzia come, con Calabria bloccato sulla linea dei difensori e Bonaventura stretto, il Milan perda tutti i vantaggi dell’ampiezza generati dal 3-5-2.
Bonaventura è un giocatore in grado di occupare diverse zone del campo, eppure la scelta di far giocare un destro con una propensione così naturale ad accentrarsi in quel ruolo non è sembrata ottimale. Contro una squadra che difendeva principalmente il centro del campo, il Milan non è mai riuscito a dare ampiezza alla manovra, proprio perché con Calabria più bloccato mancava uno sfogo naturale a sinistra.
Bonaventura affianca Cutrone in area, portandosi dietro altri due uomini. Sette giocatori collassano intorno al portatore di palla, mentre il lato sinistro del campo è completamente scoperto. Per l’AEK difendere in questa situazione è molto semplice.
Bonaventura e Chalanoglu hanno finito per pestarsi continuamente i piedi, andando ad occupare la stessa porzione di campo. Se infatti Montella aveva ipotizzato che i due potessero alternarsi nella posizione di esterno largo, questo non è mai successo, finendo per avere due giocatori con la tendenza a venire a ricevere il pallone nel mezzo spazio di sinistra. Questo ha accentuato le difficoltà del Milan nel costruire gioco e lo stesso Bonaventura non si è mai reso pericoloso con i suoi passaggi, quasi tutti orizzontali. In settanta minuti ha mandato solo una volta al tiro un compagno, con André Silva che ha calciato altissimo da 30 metri.
Insomma Bonaventura esterno a tutta fascia è un altro esperimento poco riuscito di Montella, alla ricercata disperata dell'assetto giusto per la sua squadra. Il Milan è ancora alla ricerca di risposte, che il suo allenatore fatica a trovare.
La Lazio può vincere l’Europa League
Nizza - Lazio era innanzitutto una prova sull’efficacia del turnover. Entrambe le squadre sono arrivate alla partita sconvolte dalle rotazioni, che ne hanno snaturato l’identità. I francesi sono scesi in campo facendo a meno di Seri, rinunciando alla casella che più di tutte ne oliava il sistema di circolazione del pallone; ma soprattutto senza Plea e Saint-Maximin, i due migliori a creare superiorità numerica e ad attaccare la profondità alle spalle della difesa.
Il Nizza è una squadra che vuole controllare il pallone e arrivare in porta tramite il palleggio, ma senza i titolari ha perso idea di come distendere questo possesso oltre la linea avversaria. Come vediamo sotto, tutti i centrocampisti del Nizza vogliono la palla sui piedi, sia Snejder (trequartista centrale) che Balotelli (centravanti molto teorico) hanno la tendenza ad accorciare verso la palla. La pigrizia di Balotelli a mettere in difficoltà le difese è leggendaria.
L’azione del primo gol è la sintesi della capacità di palleggio del Nizza, ma anche dell’ambizione quasi astratta dell’undici messo in campo ieri. Al termine di un’azione da quasi 30 tocchi, Walter e Jallet si associano a sinistra, con il terzino che entra in area, scarica su Snejder, che di prima crossa per il colpo di testa di Balotelli.
La Lazio è rimasta tranquilla e ha trovato il gol appena ha rimesso la palla al centro. Come aveva fatto 4 minuti prima nel calcio d’inizio, ha lanciato lungo per la testa di Milinkovic-Savic nel mezzo spazio di sinistra. Il serbo ha giocato di sponda per l’inserimento di Caicedo che ha approfittato dell’incertezza di Cardinale e Dante per segnare il pareggio.
Ricapitolando la circolarità perfetta dei primi 4 minuti di partita: calcio d’inizio della Lazio> Lancio per Milinkovic> palla persa > 3 minuti e mezzo di possesso del Nizza > Gol di Balotelli > Calcio d’inizio della Lazio > Lancio per Milinkovic > Gol di Caicedo.
La partita quindi è ricominciata come prima e la Lazio è stata più brava ad alternare fasi difesa posizionale (comunque mai passiva) a folate di pressing ultra-offensivo, come vediamo nell’immagine sotto alla fine del primo tempo.
La Lazio è scesa in campo facendo a meno della capacità sovrannaturale di Immobile di giocare porzioni enormi di campo, ma anche della bravura di Luis Alberto nella pausa e nell’ultimo passaggio. Al loro posto hanno giocato Nani e Caicedo. Al posto di Lucas Leiva, invece, Simone Inzaghi ha schierato Di Gennaro; al posto di De Vrij ha giocato lo spagnolo Luis Felipe. Nessuno di loro ha brillato particolarmente, ma la Lazio ha dimostrato di essere capace di saper recitare lo spartito a memoria: un calcio fluido, pragmatico, equilibrato.
Sebbene zeppa di riserva, la Lazio ha interpretato alla perfezione i diversi momenti di gara, lasciando cuocere il Nizza nel palleggio stantìo, senza farsi schiacciare, capitalizzando al massimo le occasioni che la sbadata difesa del Nizza ha concesso. Milinkovic-Savic chiuderà con 2 gol, 1 assist, 5 key-passes, entrando nella stretta cerchia di giocatori che possono dominare questa coppa da soli.
La Lazio ha storicamente sofferto il doppio impegno stagionale, eppure ieri - pur zeppa di riserva - ha dimostrato di aver raggiunto uno stadio del proprio sviluppo collettivo così avanzato da mantenere quasi intatta l’efficacia anche con giocatori di qualità inferiore. La squadra di Inzaghi ha chiuso il giro di boa del girone con 9 punti in 3 partite: un bel segnale di forza per una competizione, per usare un luogo comune, “lunga e logorante” ma che per una volta i biancocelesti sembrano avere i mezzi per affontare.
La grandissima partita di Ilicic
A un certo punto verrà il momento in cui dovremo parlare seriamente di Josip Ilicic all’Atalanta. Seriamente perché quando è arrivato quest’estate sembrava uno scherzo: il giocatore meno vitale d’Italia nella squadra più vitale d’Italia. Dopo un primo periodo di difficoltà, però, Ilicic ha iniziato a diventare una chiave fondamentale della squadra di Gasperini. Se la presenza di Kurtic a destra lo scorso anno sbilanciava la costruzione del gioco tutta a sinistra, sui piedi di Gomez, quest’anno l’Atalanta ha praticamente due centri creativi.
Come si vede dalla Passmap, le connessioni create attorno ad Ilicic sono stati superiori anche a quelle di Gomez. Al netto della tara da fare al livello dell’avversario, ieri lo sloveno ha fatto 1 gol, servito 2 assist e messo insieme 10 passaggi chiave, un numero semplicemente mostruoso. L’assist per il gol di Freuler, di petto, ricevendo un cross di Gomez, è una delle giocate più belle di ieri sera.
André Schembri ci riporta coi piedi a terra
Il gol del momentaneo pareggio dell’Apollon contro l’Atalanta, segnato dal maltese André Schembri, è una rete a suo modo storica. Si tratta della prima segnatura di un calciatore proveniente dall’isola nella fase a gironi di un torneo UEFA, e André aveva tutti i motivi per festeggiarla a dovere. Invece si è limitato ad abbassare il capo, e alzare una mano in segno di protesta, come volesse mandare a quel paese il mondo.
L’Europa League non è tutta frivolezza: anzi, gli uomini che la animano sono personaggi del nostro tempo, che vivono l’attualità e le sue problematiche, emozionandosi. Niente diatribe con Sardinha, nel pieno di un egotrip in cui pensava di essere l’unico dell’Apollon a poter segnare in Europa League. Piuttosto un gesto di presa di coscienza forte e chiaro, di solidarietà nei confronti di Daphne Caruana Galizia, uccisa questa settimana da un attentato dinamitardo.
Chi ha avuto la peggiore serata fra i portieri?
Aly Keita - Ostersunds
Aly Keita ha ricevuto un passaggio normale all’indietro, ma ha sbagliato lo stop e per rimediare all’errore - come spesso capita in questa realtà così ironica - ha peggiorato le cose: è caduto e ha lasciato l’Athletic segnare il gol dell’1 a 0. L’Ostersunds comunque è riuscito a pareggiare, e in ogni caso questa non sarebbe stata neanche lontanamente la peggiore serata di Aly Keita.
Nel 2016 un invasore di campo è arrivato a colpirlo in campo all’ultimo minuto di Jonkopings Sodra-Ostersund. L’invasore non era un tifoso bensì uno scommettitore di 17 anni che stava per perdere la schedina.
Serkan Kırıntılı - Konyaspor
A 20 anni Serkan era il portiere dell’U-21 turca, il mondo gli sembrava un lungo corridoio di promesse e le persone attorno a lui gli sorridevano. 12 anni dopo, a 32 anni, Kirintili non si accorge degli attaccanti che ha vicino e che gli rubano la pallaper segnare.
Iago Herrerin - Athletic Bilbao
Iago Herrerin è così lento a recuperare la propria respinta di un tiro da fuori che sembra un uomo a cui hanno tagliato le gambe e che cerca di avanzare a fatica su dei moncherini.
Dante lascia scorrerere per chiamare l’uscita di Cardinale, ma non protegge la palla abbastanza bene e Caicedo da dietro segna con un piccolo pallonetto. La partita di Cardinale, in generale, è stata disastrosa, forse la peggiore in questa brutta serata per i portieri di Europa League.
I migliori omonimi dell’Europa League
Rigoni
Emiliano Rigoni è arrivato quest’anno allo Zenit San Pietroburgo nello stock di argentini che Mancini ha ordinato su Amazon e ieri ha segnato una tripletta in Europa League: ciò che né Luca né Nicola sono mai riusciti a fare nella loro vita. Ci sono due Rigoni in Serie A e nessuno dei due è il più forte Rigoni esistente :(
Hubner
Come in un capriccio da programmatore di videogame manageriale, a distanza di un decennio un altro Hubner è tornato a dominare il nostro immaginario calcistico: ovviamente, come spesso capita, in un ruolo completamente opposto rispetto a come siamo abituati a ubicare in campo un Hubner. Benjamin è uno dei due difensori centrali dell’Hoffenheim, non proprio spettacolari in quanto a dinamicità (la squadra di Nagelsman è ultima in Bundesliga per intercetti) eppure solidi e concreti. Non sembra che stiamo parlando di Dario? Ci sono così tanti contatti tra Tatanka e Mini (non chiedeteci perché un giocatore di 1,93 debba essere soprannominato Mini) che vogliamo mettervi alla prova con cinque domande. Indovinate di quale Hubner stiamo parlando.
Ha esordito in massima serie a 26 anni suonati, in una neopromossa
Dario
Benjamin
Un pezzo di famiglia è radicato a Francoforte.
Dario
Benjamin
Il fratello ha una carrozzeria
Dario
Benjamin
Ha avuto un allenatore di soli tre anni più vecchio
Dario
Benjamin
Non è mai stato convocato in Nazionale
Dario
Benjamin
Curiosi di sapere le risposte?
Benjamin, perché Dario ne aveva già 30 suonati. 2. Entrambi. Il nonno di Dario era di Francoforte; il padre di Benjamin è il DS dell’Eintracht 3. Dario. Il fratello di Benjamin si chiama Florian, sono due gocce d’acqua e gioca con l’Hannover 96. Quindi ne parliamo ne Il Bello dell’Europa League dell’anno prossimo. 4. Dario: Adriano Bacconi, nel 1998 per qualche giornata. Nagelsman invece ha due anni più di Benjamin. 5. Nessuno dei due. :’(
Sacchetti
Esteban Fernando Sacchetti viene dal Tucuman, un’area soprannominata anche “Il giardino della repubblica”. È alto appena un metro e settanta, gioca davanti la difesa e gioca da una vita a Cipro, dove si è affermato soprattutto nella Doxa Katokopias. Nel 2015 si è reso colpevole di alto tradimento, passando dall’AEL Limassol ai feroci rivali dell’Apollon Limassol. Grazie per averci ricordato Stefano Sacchetti, ex difensore della Sampdoria.
Joao Pedro
Joao Pedro ha un doppio taglio blando, un taglio di barba baffi-pizzetto morbido, poco marcato. La faccia spigolosa al punto giusto e complessivamente una faccia che grida “nessun segno particolare”. Insomma, Joao Pedro sembra uno studente fuori sede de La Sapienza, anche se è portoghese e fa parte di quella categoria di trequartisti-ali dalla buona tecnica coinvolte nel traffico internazionale di giocatori. La loro è pura manovalanza sulla trequarti, la loro carriera è una voce su transfermarkt, un’etichetta sulle formazioni di risultati.it. Sono un vuoto pneumatico, una stringa di codice, non sono niente. Da ora potete ricominciare a occuparvi dello Joao Pedro buono.
Nemanja Miletic (quasi Nemanja Matic, dai)
Il Partizan Belgrado ieri sera ha schierato uno accanto all’altro due Nemanja Miletic, uno da centrale e uno da terzino sinistro.
Se la tattica non è il vostro forte, ecco qualche consiglio per distinguerli:
- Nemanja Miletic centrale è nato a gennaio; Nemanja Miletic terzino è nato a luglio;
- Nemanja Miletic centrale non ha tradito la sua squadra; Nemanja Miletic terzino ha fatto le giovanili nella Stella Rossa;
- Nemanja Miletic centrale si fa chiamare “Cola” dal padre (Radosav “Laco” Miletic); Nemanja Miletic terzino no.
Tutto chiaro adesso?
Silas
Il problema non è tanto se non sapete chi è Silas Araujo de Silva (ventunenne dello Zorya, arrivato quest’anno dall’Internacional de Porto Alegre, uno che ha tutta l’aria di finire per aprire una churrascheria in centro a Luhansk nel giro di un paio d’anni), che ci sta pure, quanto se non ricordate Paulo Silas.
È quello che in questa foto, nonostante lo scudetto sul petto, ha lo sguardo più diffidente, gli occhi della tigre di uno che teme di doversi aprire una churrascheria a Genova nel giro di un paio d’anni, e ha tutto da dimostrare.
Suonala ancora, Kabananga
Il bello dell’Europa League è che ogni settimana ha un suono diverso. Quello di questo turno ha il ritmo rimbombante delle allitterazioni di tamburo che risuona nei cognomi di Junior Kabananga e Ziguy Badibanga.
Kabananga è la punta dell’Astana che ieri sera ha sfracellato praticamente da solo (ok, in coppia con Twumasi che però non ha un cognome musicale) le velleità del Maccabi Tel-Aviv di Jordi Cruyff. Cresciuto nel vivaio dell’Anderlecht, dove avrebbe dovuto raccogliere il testimone di Romelu Lukaku (anche lui di origini congolesi, repubblica democratica del), nel 2015 si è andato a infognare in un cul-de-sac kazako dal quale fatica a uscire. L’anno scorso ha provato a sfondare in Turchia, senza grande successo, preferendo anche le colline dell’Anatolia e la loro relativa uncoolness alla steppa kazaka. E anche a gennaio aveva fatto sottilmente intendere, dopo essersi laureato capocannoniere della Coppa d’Africa in Gabon, di volersi mettere alla prova in un campionato di livello leggermente superiore.
Alla fine è rimasto ad Astana, a galleggiare in un contesto in cui è di gran lunga il più forte attaccante, oltre che - forse - il più figo.
Ziguy Badibanga, invece, ha probabilmente il più bel nome di tutti i giocatori dell’Europa League, e un’innata predisposizione alle Stelle. Mi sorprende che nessuno l’abbia ancora soprannominato Ziguy “Stardust” Badibanga.
Già protagonista in Europa League, tre stagioni fa, con la maglia dell’Asteras Tripolis (che nello stemma, infatti, ha una stella), ieri ha segnato un gol importantissimo per i Moldavi dello Sheriff Tiraspol, che ha consentito agli sceriffi di agguantare il pari contro i più quotati russi del Lokomotiv Mosca.
Dopo una carriera stramba, trascorsa a girovagare alle periferie dell’Europa che conta, a Tiraspol Ziguy ha trovato un club con cui fondersi in esatta simbiosi: cosa c’è di meglio, per un calciatore che sfoggia dreadlocks biondi e bandanas abbinate, di una squadra con uno stemma che fonde Pallone Della Champions, stella da sceriffo di quelle che si trovano nelle buste sorpresa e stellina da ClipArt?
Wenger torna ai giovani, ma chi sono questi giovani?
L’Europa League sembra un abito fatto su misura per Arsène Wenger. L’allenatore alsaziano può infatti usare un girone di qualificazione particolarmente morbido per tornare a fare quello che nel corso degli anni è sempre stata una delle sue caratteristiche: lanciare giovani sconosciuti.
Un tempo l’Arsenal di Wenger era una squadra fichissima anche perché lanciava giocatori giovanissimi che poi diventavano Viera, Petit, Anelka, Fabregas, Walcott, Bendtner, Wilshere, eccetera eccetera. Con il passare degli anni i giovani sono rimasti nella politica dell’allenatore alsaziano, ma sempre meno hanno dimostrato di avere il talento necessario.
Nella partita contro la Stella Rossa, Wenger ha schierato a centrocampo Reiss Nelson, anni 17; Ainsley Maitland-Niles, 20 anni e Joseph Willock di anni 18. Ma soprattutto ha riempito la panchina di bambini in gita.
Siccome sono davvero troppi i giovani portati da Wenger a Belgrado, e statisticamente qualcuno dovrà fallire, mentre qualcun’altro splendere come una supernova, abbiamo dato un po’ di percentuali di successo:
Reiss Nelson - 17 anni - possibilità di farcela 85%
Reiss Nelson è nato il 10 Dicembre del 1999, quindi non fa totalmente parte del nuovo millennio per un attimo. Prima di oggi aveva già due presenze da titolare con l’Arsenal e c’è moltissima fiducia intorno a lui in società. Il suo ruolo naturale è quello di esterno offensivo, ma Wenger ha deciso di utilizzarlo come esterno destro di centrocampo perché così “impara a far fronte alle responsabilità difensive, una buona cosa per un giocatore moderno”.
Nelson si ritrova quindi neanche diciottenne a farsi le ossa inseguendo esterni assatanati in Europa League, una scuola di vita neanche male. Contro la Stella Rossa il ragazzo ha giocato una partita solidissima, sia in fase di copertura che nella gestione del possesso - è stato il giocatore dell’Arsenal ad eseguire più passaggi - offrendo sempre uno scarico alla manovra con il suo continuo movimento.
Insomma Nelson gioca attaccante coi giovani, poi va a fare l’esterno nel 3-4-2-1 dei grandi. Se non gli viene un gran mal di testa, il futuro è assicurato.
Ainsley Maitland-Niles - 20 anni - possibilità di farcela 50%
Maitland-Niles continua la traduzione dei giovani inglesi super-promettenti con il doppio cognome, una garanzia di successo. È un giocatore duttile, può giocare ala o centrocampista, grazie ad una fisicità rara per un giocatore così giovane.
Come per Nelson, sadicamente Wenger lo ha schierato come esterno nei quattro di centrocampo, in questo caso sinistro. Ma la strada per il successo è lastricata da partite giocate fuori ruolo e Maitland-Niles non si è fatto scoraggiare. La sua è stata una prestazione onesta, in cui ha svolto i compiti di attacco e difesa in maniera diligente, senza mai lasciarsi trasportare degli eventi. Più di Nelson ha pagato la partita fuori posizione, non riuscendo a dare il massimo, ma su uno con un fisico così, c’è solo che da puntare.
Fa parte dell’accademia dell’Arsenal da quando a 6 anni, ma occhio che la madre è la classica madre che mena i dirigenti.
Joseph Willock - 18 anni - possibilità di farcela 70%
Anche se gli onori sono andati a Nelson, dovreste stare tutti in fissa con Joseph Willock, un giocatore davvero speciale. Già contro il Bate Borisov aveva offerto una prestazione assolutamente esaltante, ripetuta a Belgrado anche se in maniera meno appariscente.
Willock ha tutto ciò che serve per diventare un ottimo centrocampista centrale: è sempre in controllo, sempre al punto giusto, in grado di collegare i reparti con la sua rapidità. Ieri il 93% dei suoi passaggi ha avuto successo, e tra lui e Coquelin sembrava lui quello esperto.
Marcus McGuane - 18 anni - possibilità di farcela 45%
Di Marcus McGuane si parla molto bene, pare sia cercato anche da United e Juventus. Ieri è entrato all’ottantanovesimo e nell’unica azione che l’ha visto coinvolto è prima scivolato da solo e poi commesso un mezzo fallo da rigore.
Facciamo che ripassiamo dopo.
Ben Sheaf - 19 anni - possibilità di farcela 35%
Ben Sheaf è il classico centrocampista inglese, magro, biondo e bianchissimo. Potrebbe essere Wilshere o Ramsey a prima vista. Se è una cosa buona, questo decidetelo voi.
Joshua Dasilva - 18 anni - possibilità di farcela 33%
Per alcuni il suo nome è Joshua Da Silva, per altri Josh Da Silva, mentre altri ancora lo chiamano Joshua Dasilva. Fidiamoci di Wikipedia che lo chiama Pelenda Joshua Tunga Dasilva. Detto questo, con tutti questi problemi di identità, la sua riuscita nel calcio professionistico è davvero a rischio.
Dalla sua ha una faccia perfettamente simmetrica.
Matt Macey - 23 anni - percentuale di riuscita 8%
Matt Macey ha 23 anni, tanti per un giovane, ed è il terzo portiere dell’Arsenal dietro a Cech ed Ospina, che non ne azzecca una. Recentemente è salito agli onori della cronaca per aver preso parte ad un giochino con le palline da ping-pong per allenare Cech.
Chuba Akpom - 22 anni - possibilità di farcela 5%
Quest’estate Chuba Akpom è rientrato all’Arsenal dal quarto prestito consecutivo. Vai che è la volta buona Chuba.
Jordi Osei-Tutu - 18 anni - possibilità di farcela 15%
Jordi Osei-Tutu deve il suo nome al grandissimo Cruyff, Jordi Cruyff.
Eddie Nketiah - 18 anni - possibilità di farcela 60%
Eddie è un attaccante molto promettente che ha segnato quasi un gol a partita nelle giovanili dell’Arsenal. Molto forte fisicamente, il suo punto forte sono i tagli alle spalle della difesa e la capacità di finire in area.
Il suo unico problema è che l’Arsenal sta facendo di tutto per non avere un grandissimo attaccante in squadra perché comunque poi con Giroud come la mettiamo?
Il mistero di Alberto Tegoni
All’ottavo minuto del primo tempo di Braga-Ludogorets i padroni di casa passano in vantaggio sugli sviluppi di un calcio di punizione sul lato sinistro della trequarti. La squadra portoghese arriva in area con un filtrante, con la palla che poi viene messa in mezzo con un cross teso in orizzontale, che attraversa tutta l’area di rigore fino ad arrivare alla conclusione semplice, a pochi metri dalla linea di porta, di Ferreira. Davide Massara, su indicazione di uno dei suoi due guardalinee, Alberto Tegoni, però annulla per fuorigioco.
Inquadrato nella posizione plastica della segnalazione dell’offside, Tegoni mostra però una divisa inusuale: sulla classica maglietta nera da arbitro non c’è la toppa ufficiale della FIFA ma lo stemma della Nazionale italiana di calcio.
La divisa ufficiale, indossata da Massara.
Come mai? Cosa è successo che noi non sappiamo?
Era un messaggio politico revisionista, quello di mettere un tricolore su uno sfondo nero? Patriottismo? Semplice nostalgia? Oppure stiamo andando oltre con le sovrastrutture e Tegoni è stato costretto a fare di necessità virtù da un contrattempo da calciotto il giovedì sera? Si era scordato di lavare la divisa ufficiale? Gli si era scucita la toppa della FIFA ed è stato impossibile trovare tra 26 uomini qualcuno che ci sapesse fare con ago e filo? Tutte ipotesi plausibili, ma allora come ha fatto a mettere la toppa della Nazionale? E poi perché proprio quella della Nazionale? Non sarebbe stato meglio un simbolo meno divisivo in terra straniera, come il logo dell’ONU? È un mistero che si riannoda nel momento stesso in cui provi a scioglierlo.
Noi continueremo a investigare, ma con reticenza, perché la magia dell’Europa League si fonda soprattutto sull’impenetrabilità dei suoi segreti.
Conosci la tua squadra di Europa League: F.K. Ostersunds
90 metri sotto il livello del mare, nei meandri oscuri del lago di Storsjon, nel centro esatto della penisola svedese, nei pressi della città di Ostersund, abita lo Storsjondjuret, letteralmente: “Il grande mostro del lago”. La sua prima apparizione risale al 1635 ed è stato descritto come un’enorme biscia acquatica, il dorso ricco di gobbe spinose e la testa di cane o di gatto. Sull’isola di Froso, al centro del lago, è presente un’antica runa risalente all’undicesimo secolo e il rettile che vi viene rappresentato è secondo alcuni proprio lo Storsiondjuret.
Se siete appassionati di criptidi e volete partire alla ricerca di questo serpente mostruoso vi do qualche consiglio: innanzitutto cercate di evitare i giorni in cui spira da nord il nordvastan e da est il kallvastan, i gelidi venti artici che affliggono Ostersund; secondo, poi, portatevi dietro almeno un paio di sci.
A Ostersund, che se vi interessa è la città più a nord del mondo ad essere fondata sull’agricoltura, sono pazzi per lo sci. La città e i suoi dintorni sono ricoperti di piste, la neve è sempre abbondante è la città ha ospitato diverse volte i “Giochi Nordici”, la competizione antenata delle Olimpiadi invernali. Il motto della città è “Vinterstaden” (Città dell’inverno). Se vi organizzate per tempo - diciamo nel giro di un mese - sarete abbastanza fortunati da coniugare la nobile arte dello sci con una gita alla gloriosa Jamtkraft Arena, dove gioca la bella squadra di casa: l’FK Ostersunds.
L’Ostersunds è nato nel 1996 dalla fusione delle tre squadre della città con un sogno pazzo: portare la squadra a competere nella Allsvenskan, il massimo campionato nazionale. 20 anni dopo l’Ostersunds ce l’ha fatta, è arrivato nella massima serie, e un anno dopo si sta giocando l’Europa League con un’ispirazione sorprendente. La squadra svedese sta dominando il Gruppo J, che comprende anche l’Hertha Berlino e l’Athletic Bilbao. Ieri, dopo essere passata in svantaggio dopo il ridicolo errore del suo portiere, è riuscito a rimanere in piedi una partita stupenda contro il Bilbao, uscendone con un 2 a 2 e 1 punto che sarà forse sufficiente a superare il girone (lo Zorya è secondo, gli spagnoli terzi a 2 punti, i tedeschi ultimi a sei lunghezze di distanza).
Ce n’è abbastanza per fare dell’Ostersunds la vostra squadra preferita, ma vi dico almeno altre due cose che vi faranno brillare gli occhi e il cuore.
Sebbene lo stemma ufficiale della città di Ostersunds sia una classica alce, il club si è staccato da questa banalità, mettendo al centro del proprio stemma un gufo maledetto che dispiega le proprie ali sopra i colori sociali: il rosso dell’inferno, il nero del male.
Nel gennaio del 2014 l’Ostersunds ha siglato un accordo da mezzo miliardo di corone con il governo libico con lo scopo di formare ed educare dei giocatori libici. L’accordo comprende la formazione di 250 giovani libici ogni anno. Questi ragazzi riceveranno, oltre a quella calcistica, anche un’istruzione sulla lingua inglese e alcune basi informatiche. L’accordo, alla fine dei conti, non s’è mai fatta, perché i libici sono stronzi. La stella della squadra è l’attaccante Saman Ghoddos, nato a Malmo ma che ha deciso di vestire la maglia della Nazionale iraniana dei suoi genitori.
Procuratevi la sua maglia per la prima gara eliminatoria di Europa League mai giocata alla Jamtkraft Arena. Ci vediamo lì.
Christodoulopolous è diventato Daniel Day Lewis
Dov’è la palla in Zlin - Copenaghen?
Ogni turno di Europa League prevede almeno una partita radicalmente condizionata dalle condizioni meteorologiche. Ieri Zlin - Copenaghen è stata dolcemente sovrastata dalle tenebre della Moravia, che pian piano sono discese sul campo con un abbraccio notturno e romantico. A un certo punto del secondo tempo la partita è stata sospesa per evitare che i giocatori varcassero un wormhole che li avrebbe condotti in un’altra dimensione. Come sappiamo per giocare a calcio la cosa fondamentale è vedere quanto meno dov’è il pallone, una condizione di base venuta meno in Zlin - Copenaghen. Per allenare la vostra percezione abbiamo preparato questo test in cui dovete indovinare dov’è il pallone per testare la vostra sopravvivenza sui campi da calcio della Moravia.
Nella didascalia dell’immagine trovate il link che vi rimanderà a un’altra immagine col pallone evidenziato. Buona fortuna.
1.
2.
3.
Ma a Lugano ci va qualcuno allo stadio?
No, non ci va nessuno, stanno tutti a lavorare mi sa.
Milot Rashica, pronto a vincere la prima edizione di Tirana Shore
Cioè il reality sui coatti albanesi (scherziamo).
Skenderbeu - Partizan Belgrado: pericolo scampato
Ieri sera si è giocata una delle partite più pericolose degli ultimi anni. Mentre il mondo (inteso qui come il mondo che guarda l’Europa League, cioè noi e voi, cari lettori) era concentrato sulle mistiche coreografie della curva della Stella Rossa, che invocava santità ortodosse per spaventare un avversario sostanzialmente indifferente, a Elbasan, in Albania, si giocava Skenderbeu - Partizan Belgrado.
Skenderbeu e Partizan Belgrado sono due delle squadre più importanti rispettivamente di Albania e Serbia, e Albania e Serbia hanno pessimi rapporti praticamente da sempre. Il motivo è sostanzialmente il Kosovo, stato oggi indipendente a maggioranza etnica albanese, che è reclamato da entrambe come parte del proprio territorio. Il fatto è che il Kosovo ospita la culla sia del nazionalismo albanese che di quello serbo: e cioè Prizren, dove iniziò la nostalgia per la cosiddetta Grande Albania, cioè l’insieme di quei territori a maggioranza etnica albanese, alcuni dei quali vennero dati agli stati confinanti nel 1878 con il trattato di Santo Stefano; e Kosovo Polje, dove i serbi nel 1389 vennero sconfitti e successivamente sottomessi dall’Impero Ottomano nella cosiddetta battaglia della piana dei merli.
La tensione tra i due stati è stata rinverdita nel 2014, quando Ismail Morina ha interrotto Serbia-Albania guidando un drone che portava una bandiera rappresentante la Grande Albania dentro lo stadio, a Belgrado, scatenando il finimondo. La crisi diplomatica che è seguita non si è ancora risolta e oggi Morina è a Dubrovnik, dove ha chiesto asilo politico alla Croazia, che però sembra intenzionata a concedere l’estradizione alla Serbia.
In un contesto di questo tipo, era comprensibile avere dei timori sull’andamento della partita, anche perché erano più di trent’anni che il Partizan Belgrado non giocava in Albania, cioè dal settembre del 1987, quando fu sconfitta dal Flamurtari (squadra di Valona che speriamo di vedere presto in Europa League).
La UEFA aveva quindi chiesto e ottenuto che le due squadre vietassero alle proprie tifoserie le rispettive trasferte e lo stato albanese, dal canto suo, aveva dislocato delle misure di sicurezza da stato d’emergenza, con 200 ufficiali di polizia schierati allo stadio e addirittura alcuni cecchini.
Visto che l’atmosfera era troppo tranquilla, Bajram Jashanica, centrale kosovaro dello Skenderbeu, qualche giorno prima ha deciso di dichiarare che la partita sarebbe stata importante soprattutto per non dimenticare cosa hanno fatto i serbi ai kosovari durante le guerre balcaniche. Chissà come l’ha presa Nemanja Miletic, centrale serbo del Partizan, nato a Mitrovica (città oggi in Kosovo ma con una forte presenza serba) quando ancora faceva parte dell’ex Jugoslavia.
Ma la parte di pubblico che si è interessata alla partita con l’attesa perversa di chi sa che può vedere della violenza sarà rimasta probabilmente delusa. La partita è stata noiosa e le dichiarazioni degli allenatori nel post-partita istituzionali. Il Partizan ha rischiato di vincere soltanto negli ultimi 5 minuti, nonostante una superiorità tecnica evidente, ma il quarantenne portiere-capitano dello Skenderbeu, Orges Shehi, ha tenuto la propria squadra in vita con alcuni grandi interventi.
Skenderbeu e Partizan adesso sono a pari punti (2) e nelle prossime partite si giocheranno il secondo posto con lo Young Boys (a quota 3), che ha a sua volta pareggiato con la Dinamo Kiev. Nella prossima giornata le due squadre si incontreranno nuovamente, questa volta a Belgrado, in una partita che potrebbe essere decisiva per le sorti del girone. Speriamo che le ragioni di classifica non accendano la scintilla sopra le polveri su cui siedono queste due squadre.
Piccolo intermezzo statistico, o della supremazia in Euskadi
Ieri Willian José della Real Sociedad ha segnato quattro gol in Macedonia, salendo sul podio dei pokeristi insieme a Radamel Falcao ed Edison Cavani.
In una stagione di Europa League in cui sono impegnate entrambe le squadre più importanti dei Paesi Baschi ci sembra una maniera forte di chiarire la supremazia regionale.
Se solo Aduriz non ne avesse già segnati cinque in una volta sola, la stagione scorsa.
Chi sa solo di Europa League, non sa niente di Europa League
Dice un antico proverbio indiano che “Viaggiando alla scoperta dei paesi troverai il continente in te stesso”. Allo stesso modo viaggiando alla scoperta dell’Europa League troverai l’Europa League in te stesso. Questa settimana vogliamo mettervi alla prova con un quiz facile facile, ma le cui risposte diranno molto su che tipo di Europa League siete. Si tratta di scegliere, per ogni nome che vedete l’opzione A o l’opzione B, proprio il grado minore di quiz esistente.
Vladimir Lossky
A) Teologo russo autore del saggio Saggio sulla teologia mistica della chiesa d'Oriente
B) Difensore centrale dello Zorya
Dragos Nedelcu
A) Poeta, scrittore, drammaturgo e medico nato a Parscov
B) Giovane centrocampista del Fotbal Club Steaua București
3. Davy De Fauw
A) Ministro delle finanze del Belgio dal 1971 al 1973
B) Terzino destro dello Zulte Waregem
Vladimir Propp
A) Formalista russo
B) Portiere di riserva del Bate Borisov
Mario Piccinocchi
A) Pittore aero futurista
B) Centrocampista italiano del Lugano
Yehudi Menuhin
A) Violinista statunitense
B) Trequartista del Maccabi Tel Aviv
Moumi Ngamaleu
A) Scrittore, poeta, attivista e produttore televisivo nigeriano.
B) Attaccante camerunense dello Young Boys
Carlos Manuel de Ascenção do Carmo de Almeida
A) Cantante di Fado
B) Centrocampista centrale del Vitória de Guimarães
Hovhannes Hambardzumyan
A) Scacchista armeno, Gran Maestro dal 1994
B) Difensore del Vardar
Risposte giuste (come se importasse): 1. A; 2.B; 3.B; 4.A; 5.B; 6.A; 7.B; 8.B, 9.A; 10.B
Maggioranza di risposte A: Non avete passato abbastanza giovedì sera davanti ai tabellini di Europa League. Potete rimediare andando in pellegrinaggio in ginocchio a Solna, sede della finale dell’ultima edizione.
Maggioranza di risposte B: Siete sulla giusta strada. L’Europa League per voi è importante, ma non ancora l’unica cosa che conta.
Solo risposte B: siete dei grandi. Nel vostro cuore alberga l’Europa League. Per voi non esistono più le altre persone, ma solo ruoli e squadre di Europa League. Ci vediamo prossimamente a Tiraspol.
Il gol più Europa League: cross di Bonera, gol di Bacca
Virilità: 6
Assurdità: 6
Anti-epicità: 8
Paura della morte: 10
Se seguite questa rubrica da abbastanza tempo dovreste avere ben presente la prima regola universale dell’Europa League: in Europa League ritroviamo esseri umani che un tempo qualcuno ha considerato migliori, e che ora si ritrovano in una coppa che somiglia a un centro di recupero.
Ieri Bacca ha segnato su assist di Bonera. Un tipico cross alla Daniele Bonera: lento, a casaccio, con quell’aria di chi sente di aver fatto una cazzata un secondo prima aver calciato il pallone. Poi un tipico primo controllo alla Carlos Bacca, uno dei migliori attaccanti nella preparazione del tiro.
Mario Gavranovic il rubagioie
Maxwell Acosty, un passato non troppo brillante in Italia, la faccia bonaria di chi si presta a tutto e padre del futuro capitano del Crotone, ha in comune con Mario Gavranovic il fatto di trovarsi di fronte allo snodo fondamentale della propria carriera: al Rijeka si giocano le chances che hanno sprecato a Firenze, il ghanese, e allo Schalke 04 lo svizzero (che segnò al suo esordio in Champions League, un’era geologica fa). Una guerra tra disillusi che ha toccato l’acme di drammaticità ieri sera: alla mezz’ora, contro l’Austria Vienna, Acosty doma un lancio lungo con molta classe, poi incespica un po’ ma riesce comunque a dribblare un difensore e a prepararsi una palla succosa sul sinistro. Gli basta giusto il tempo di incrociarla sul palo più lontano. Peccato che nell’esatto istante in cui sta per scoccare il tiro subentri Gavranovic, rubandogli tempo e gloria. Così, mentre Gavranovic scivola sulle ginocchia esultando per la sua prima doppietta europea, Acosty lo rincorre, urlandogli qualcosa di indicibile, probabilmente lontano dalla frase «Che meraviglia riscattarsi in queste serate di Europa League!».
Il gol autoreferenziale dell’Arsenal
Dopo aver placidamente ignorato la partita per ottantacinque minuti, Olivier Giroud ha pensato fosse il caso di portare la sua specialità - i gol bellissimi - anche in Europa League. Tutta l’azione del gol è sembrata una grande auto-rappresentazione dell’Arsenal degli ultimi anni
Contiene infatti in sé due dei più bei gol della storia recente dell’Arsenal: l’azione corale di prima per il gol di Wilshere contro il Norwich (segnato esattamente 4 anni fa!) e il gol-scorpione dello stesso Giroud, finalista ai Puskas Awards. Ma contiene anche tutta la fragilità di Wilshere, la sua capacità di essere decisivo sulla trequarti, purtroppo troppo altalenante; l’incapacità di giocare un calcio associativo di Walcott, che passa quel pallone di testa come se fosse una bomba ad orologeria, e poi tutta l’unicità di Giroud, capace di sbagliare gol facilissimi per poi riuscire a segnare in rovesciata con un pallonetto mentre stava cadendo a terra.