Il bello dell’Europa League 2018 vol.2
Le cose più belle, pazze e orribili successe nella seconda giornata della coppa migliore del mondo.
La partita di Jack Wilshere
L’Arsenal ha avuto vita abbastanza facile in terra bielorussa, contro un BATE Borisov troppo impegnato ad autosabotarsi per essere un avversario temibile. In quella che non è stata una bella partita, nonostante i sei gol, dopo troppo tempo è tornata però a brillare la stella di Jack Wilshere. Il centrocampista inglese non ha ancora giocato un minuto in Premier, ma ieri ha preso in mano la partita e non l’ha mai lasciata, ricordando a tutti perché per un periodo è stato considerato un talento incredibile. Inutile dire che una rondine fa primavera, e che prima di tornare a parlare di rinascita bisognerà aspettarsi un po’ di continuità da un giocatore che per limiti e sfortuna (soprattutto sfortuna) non ne ha mai avuta. Ma un Wilshere così è una ciliegina su quella torta invitante che è l’Europa League. Ecco alcune delle sue giocate migliori dalla partita di ieri.
Dalla posizione di trequartista, Wilshere ha la capacità di penetrare nelle difese avversarie come un coltello caldo nel burro. Gli basta un triangolo con Giroud per bruciare la difesa del Bate e arrivare sul fondo. Il tocco sotto per scavalcare i due difensori e mettere il pallone in testa a Walcott, poi, è pura poesia. Peccato che l’ala inglese abbia bisogno di due tentativi per far gol, togliendo il sacrosanto diritto di un più uno alla voce assist per Jack.
Wilshere ha gestito la partita per tutti e novanta i minuti, e già questa è una notizia. Ha finito con il 92% di passaggi completati, senza però mai limitarsi al compitino, ma cercando ogni volta di collegare i reparti dalla trequarti e rendere la squadra pericolosa. Questo passaggio, per tempi, direzione e velocità, è un passaggio perfetto. Taglia fuori tutta la difesa del Bate e permette all’Arsenal di avere superiorità nel cuore dell’area avversaria. Che poi questo non basti per segnare, non è colpa del povero Jack.
Che uno è in quella che gli anglofoni chiamano “the zone” lo si nota soprattutto dalle piccole cose. Su questo campanile, Wilshere con il corpo tiene lontano il recupero del difensore, mentre con la gamba sinistra crea una specie di incavo dove il pallone va ad adagiarsi perfettamente.
In definitiva il senso di questa serata di Europa League dell’Arsenal è uno, ben sintetizzato da @GunmanGiroud:
If watching Jack Wilshere play doesn’t fill you with joy, football isn’t for you
— ً (@GunmanGiroud) 28 settembre 2017
Il silenzio dello Stadio Olimpico
Lazio – Zulte Waregem si è giocata a porte chiuse per la squalifica dell’Olimpico a causa dei cori razzisti dei tifosi nella partita dello scorso anno contro lo Sparta Praga. Ma che vuol dire a porte chiuse? Come ben sa chi ha visto la partita, o ha visto altre partite a porte chiuse, questo tipo di squalifiche chiude la porta in faccia ai tifosi, ma permette l’ingresso ad una sparuta minoranza di fortunati (oddio, fortunati).
100 membri dell’Essevee Business Club sostengono non troppo convintamente lo Zulte. I cori ascoltati durante la partita dovrebbero essere principalmente i loro.
Lo Zulte ha impostato la partita in maniera prettamente difensiva: disposto in campo con un 3-5-2 speculare alla Lazio, la formazione belga si è ben presto abbassata nella sua metacampo ritrovandosi con un 5-3-2 stretto e compatto con il preciso scopo di impedire transizione veloci alla Lazio. Un progetto conservativo che è naufragato dopo soli 18 minuti quando Caceido è stato il più lesto nel deviare in porta una sponda di testa di Marusic.
Una volta trovato il vantaggio, la Lazio si è ben vista dallo spingere più di tanto, addormentando la partita con il palleggio e cercando più che altro di controllare. Se in campo lo spettacolo offerto non è stato dei più memorabili, lo stesso non si può dire per il contorno: l’assenza di tifosi ha creato uno spettacolo, surreale ma pur sempre spettacolo, sia da un punto di vista estetico ( ieri il colore nettamente dominante era il blu acceso dei seggiolini vuoti dell’Olimpico) sia da quello sonoro, dato che era possibile distinguere le singole voci dei pochi tifosi e di chi era in campo.
I più attenti avranno potuto ascoltare tutte le indicazioni date nel corso della partita da Simone Inzaghi, un sottofondo costante alle giocate dei suoi undici. Prima del fischio d’inizio si è anche adoperato per dire a Gigio (che dovrebbe essere Di Gennaro) di passarla a Marco (dove Marco sta per Parolo).
Da buon soldatino il playmaker laziale appena ricevuto il calcio d’inizio ha cercato con un lancio lungo la testa di Parolo, come sapevano già i più attenti. Oppure lo abbiamo sentito spesso invitare Luis Alberto a salire con il pallone tra i piedi, con lo scopo di velocizzare la manovra biancoceleste, troppo spesso arenatasi contro la difesa schierata dello Zulte.
In tutto questo il tifo sugli spalti andava ad ondate: a momenti di quasi silenzio, si alternavano momenti in cui i pochi tifosi belgi provavano a sostenere la loro squadra con cori molto simili a preghiere di un muezzin.
Più andava avanti la partita più si scivolava in un silenzio sonnacchioso quasi sacro. A risvegliare le squadre dal torpore è arrivato l’urlo di dolore di Luis Alberto, colpito duramente alla caviglia.
All’urlo del laziale hanno fatto da contraltare i fischi dei soliti cento tifosi arrivati da Waregem come a dirgli “ma alzati, che non te sei fatto niente”. E invece Luis Alberto dopo quel colpo ha dovuto lasciare il posto a Milinkovic-Savic, mentre Immobile ha preso quello di Di Gennaro.
Questi due cambi, invece di dare alla Lazio la forza di chiudere la partita, hanno un po’ scollegato i reparti permettendo allo Zulte di uscire fuori e creare qualche pericolo dalle parti di Strakosha, molto reattivo in un paio di circostanze. Avanzando il proprio raggio d’azione, lo Zulte ha dovuto concedere più spazio alla Lazio, e chi è che sembra nato per fare gol in campi sempre più aperti? Ovviamente Ciro Immobile. L’attaccante laziale ha dimostrato una volta di più, qualora ce ne fosse bisogno, di avere una abilità speciale nel concludere le transizioni della propria squadra, anche in Europa League, anche in mezzo al silenzio, anche davanti a cento tifosi entrati chissà come.