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Il bello dell'Europa League 2018 vol.2
29 set 2017
29 set 2017
Le cose più belle, pazze e orribili successe nella seconda giornata della coppa migliore del mondo.
(articolo)
25 min
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Olympique Lione - Atalanta

Due cose che un mese fa non avrei saputo prevedere: l’Atalanta che siede da sola al comando del girone, e Gasperini che si è già guadagnato l’autorevolezza per imporre il suo contesto tattico in Europa, per di più in una trasferta delicata come quella di Lione. Come Koeman, Génésio ha schierato i suoi con un 4-2-3-1, che diventa 4-4-2 in fase di non possesso (il trequartista Fekir si affianca alla punta Mariano e le ali Traoré e Aouar accompagnano l’azione difensiva, anche fino alla linea di fondo se necessario, dato che l’Atalanta attacca con molti uomini sulle fasce).

A differenza di Koeman, però, ha dimostrato di conoscere perfettamente le trappole da evitare per non farsi risucchiare dalla pressione degli uomini di Gasperini: il pallone non circola mai in verticale, perché i trequartisti non possono ricevere di spalle, e soprattutto non circola mai dal centro, perché è sulle fasce che si può creare superiorità contro il 3-5-2 con cui si schiera inizialmente l’Atalanta. La posizione molto alta dei terzini Tete e Mendy, spesso ricercati in costruzione, crea continue apprensioni a Spinazzola e Hateboer, incerti nel decidere fin dove possono spingersi con la pressione.

Nel frattempo l’Atalanta segue i suoi principi: i centrali di centrocampo De Roon e Freuler non si guardano neanche per salutarsi, ciascuno supporta la formazione di triangoli sulla catena laterale di competenza. In particolare, la catena sinistra con Gómez, Freuler e Spinazzola ha funzionato molto meglio di quella destra, dove è stato impossibile far circolare il pallone, anche per merito della grande interpretazione delle due fasi da parte di Mendy e Aouar. Con questo approccio prudente ed estremamente polarizzato verso le fasce, nel giro di qualche minuto Atalanta e Lione hanno iniziato a giocare a un altro sport in cui entrambe le squadre sono schiacciate sulle linee laterali e vince il primo che riesce a creare una linea di passaggio verso il centro.

Con due schieramenti compatti verticalmente come gli allineamenti di rubabandiera, ogni cambio di gioco riuscito aveva l’effetto del fischio del portabandiera che spariglia gli equilibri. Proprio da un pallone portato avanti lateralmente, e improvvisamente rimesso al centro, è nata la migliore occasione della partita per l’Atalanta: al minuto 22, Spinazzola lascia Tete in ginocchio con una finta, sul cross si avventa Hateboer che ha il passo più rapido di Aouar ma non la sensibilità per metterla in porta di testa da due passi. Allo stesso modo, da un tre contro tre sulla fascia opposta gestito benissimo da Fekir, Mendy e Aouar, il Lione ha trovato il gol del vantaggio allo scadere del primo tempo.

Molto bella l’azione che porta al gol del Lione: Fekir ha l’intelligenza di servire Mendy, usando Aouar come un bloccante della pallacanestro per crearsi spazio. Il suo movimento distrae De Roon, che lascia libero Mendy e gli permette di girarsi in un fazzoletto. Aouar, che nel frattempo ha fatto il taglio opposto, chiude la triangolazione e lancia Fekir verso il fondo. Nello spazio sul primo palo liberato da Masiello, Traoré brucia Spinazzola e Palomino.

A fine primo tempo, Gasperini intuisce che il Lione non ha nessuna intenzione di passare dal centro del campo e si adegua allo spartito, sostituendo un centrocampista, Cristante, con un terzino, Castagne. Il belga va a sistemarsi in linea con la difesa, mentre Hateboer agisce qualche metro più avanti. In teoria è un 3-4-3, di fatto l’Atalanta copre il campo in base ai riferimenti che le lasciano gli avversari, e con l’aggiunta di un altro esterno puro di grande corsa sulla destra diventa più facile coprire le combinazioni di Mendy e Aouar. Ritrovati i riferimenti, diventa più semplice guadagnare metri sul campo: nell’azione che porta alla punizione di Gómez, tutti e tre difensori centrali dell’Atalanta si portano con grande coraggio nella metà campo del Lione, costretto a schiacciarsi molto.

Con lo stesso cinismo, che riflette un’apprezzabile flessibilità tattica, Gasperini si rende conto che Petagna non è mai stato in grado di ricevere il pallone e lo sostituisce subito dopo il gol del pareggio. Al suo posto entra Ilicic, che può eseguire gli stessi compiti - stazionare sulla destra alle spalle di Mendy, difendere qualche pallone e far risalire la squadra - ma con molta più qualità. Purtroppo l’Atalanta non riesce mai ad alzare il baricentro e ad avvicinare qualche uomo in più allo sloveno, che si danna in pressing ma così isolato non ha possibilità di rendersi pericoloso.

Il Lione conferma il trend stagionale: 11 gol subiti prima di questa partita, di cui 9 nei secondi tempi, che diventano 10 con la punizione del Papu. Con l’inizio del secondo tempo il Lione non perde tanto in intensità, quanto in lucidità e sicurezza, necessarie per tentare quelle giocate nello stretto che avevano fatto saltare il banco delle marcature a uomo di Gasperini: un difetto radicato in una squadra molto giovane, che ieri ha schierato un 18enne, un 19enne, due 20enni, due 21enni, due 22enni (oltre a due 24enni, Fekir e Mariano, che a confronto parevano ormai veterani di vecchia data). Anche quella barriera che si apre all’improvviso, senza motivazioni comprensibili, scoprendo il secondo palo, si può catalogare alla voce “errori di gioventù”.

L’Atalanta torna dal Groupama Stadium con la certezza di avere difensori, e in generale una fase difensiva, assolutamente all’altezza di un contesto di questo livello. L’area di rigore atalantina è stata inaccessibile: dei 7 tiri in porta del Lione, tre sono conclusioni dai 25/30 metri, due sono colpi di testa di Tousart da palla inattiva, e due sono i tentativi che servono a Traoré per bucare la porta di Berisha, che prima para il colpo di tacco volante e poi nulla può sulla respinta. L’Atalanta invece è riuscita a centrare la porta di Lopes in una sola occasione, la punizione di Gómez. Un po’ poco, ma quanto basta per acchiappare il primo posto nel girone, e tenerselo stretto.

Focus: il dominio di Caldara, in 5 atti

Per descrivere la partita di Caldara, bisognerebbe acquistare tante lettere luminose al neon quante ne servono per comporre la parola “consacrazione”: 6 intercetti (più di chiunque altro), unico giocatore dell’Atalanta a vincere tutti i contrasti tentati (3 su 3), 5 tiri respinti (quasi meglio di Berisha), 86% di passaggi riusciti (18/21), nessun fallo commesso, nessuna palla persa, un gol propiziato.

Anticipo pulitissimo per far sentire inadeguato Mariano Díaz

Contrasto rapace che fa perdere a Fekir ogni velleità di contesa

Si infila tra Mariano e Traoré come tra le porte di un vagone in partenza (e si procura la punizione del pareggio)

Spintona Castagne per ritrovare l’equilibrio, ma soprattutto perché deve lasciar fare a lui

Minuti finali: il Lione intravede uno spiraglio per raggiungere la porta, arriva in corsa a tirare giù le serrande

Il dominio di Cipro sul ranking UEFA

Che ci crediate o no, in questa stagione l’unico a paese ad aver guadagnato meno dell’Inghilterra in termini di ranking UEFA è Cipro: 0.250 punti più dell’Italia, 0.650 più della Spagna, 1.917 più della Francia, addirittura 3.822 più della Germania. E questo nonostante la piccola isola mediterranea sia rappresentata nelle coppe europee solo da due squadre, l’APOEL (in Champions League) e l’Apollon Limassol.

Cipro vive da anni uno dei conflitti interetnici più dimenticati e assurdi della storia. Il paese è spaccato tra la sua parte sud-ovest del paese a maggioranza greca, che rappresenta l’intera isola nell’Unione Europea, nella zona euro e per l’appunto nella UEFA, e la sua parte nord-est a maggioranza turca, riconosciuta solo dalla Turchia e in cui l’unico modo che i club hanno per ottenere un qualche prestigio è comprare Emmanuel Eboué. Sì, Emmanuel Eboué è stato acquistato da un club di Cipro Nord, il Türk Ocagı Limasol.

L’Apollon Limassol ricade quindi nella parte greca e questa considerazione d’altra parte è ineludibile anche solo facendo maggiore attenzione allo stemma, che ha Apollo che tiene una cetra in mezzo a due foglie d’alloro e il tipico carattere finto antica Grecia che ormai pensavo venisse utilizzato solo per le marche di yogurt e i ristoranti.

Tra i tifosi dell’Apollon spunta anche uno strano striscione in italiano, forse rubato ai tifosi del Pescara in una sanguinosa trasferta in Italia.

Apollo è il dio del sole, della poesia e della musica, e credo che sia rimasto disgustato dal fatto che la sua immagine potesse essere utilizzata in una partita che mancava drammaticamente di tutti e tre questi elementi. L’atmosfera era grigia e silenziosa, e al massimo sarebbe stato possibile comporre una poesia futurista piena di onomatopee del sibilo dei palloni che Rooney scagliava da distanze sempre più improbabili verso la porta difesa da Bruno Vale, mentre il resto dei suoi compagni aspettava la palla sui piedi.

Una delle poche trame interessanti della partita è stata proprio la sfida personale tra Rooney e Héctor Yuste, enorme centrale spagnolo finito chissà attraverso che strada a Cipro dopo una carriera passata tra Cartagena, Las Palas, Salamanca, Granada, Cadiz, Racing Santander, Hércules e Mallorca.

Héctor, come recita la maglia, è un centrale di difesa lento e macchinoso, ma molto forte nelle palle aeree e con un buon senso dell’anticipo. La sua partita è stata più che dignitosa, costringendo Rooney ad allontanarsi dalla porta avversaria e a prendere palla in zone di campo sempre più remote, almeno fino a quando non ha deciso di rendere l’attacco dell’Everton finalmente pericoloso.

Chiuso vicino la linea del fallo laterale dal pressing di Sandro, Héctor al 21esimo del primo tempo è tornato dal portiere, ma ha sbagliato talmente tanto la misura del retropassaggio che ha servito Rooney da solo davanti alla riga di porta. La cosa abbastanza umiliante per l’attacco dell’Everton è che anche senza Rooney quella palla sarebbe probabilmente entrata in porta lo stesso.

Ma la vita, come si dice, ti dà sempre una seconda possibilità. Dopo una partita in cui l’Apollon era riuscita a regalare all’Everton anche il gol del raddoppio, con un rimpallo grottesco sulla trequarti che aveva mandato in porta Vlasic, a Héctor è capitata sulla nuca la palla del 2-2, su un bel cross dalla trequarti su palla inattiva di Adrian Sardinero (altro spagnolo del Limassol e quasi sicuramente il giocatore dal nome più bello dell’intera Europa League).

Héctor che ringrazia la vita, dopo aver colto la seconda possibilità.

Con il gol del 2-2, l’Apollon Limassol ha conquistato il secondo posto nel gruppo E e ha fatto guadagnare a Cipro un altro prezioso punticino per il ranking UEFA, che per i paesi che non sono Inghilterra, Spagna, Italia o Germania vale ancora qualcosa. Il prossimo 19 ottobre, a Reggio Emilia, si giocherà Atalanta-Limassol: sono riposte nella squadra di Gasperini tutte le nostre speranze di superare Cipro nella rincorsa all’Inghilterra per la testa della classifica del ranking UEFA per la stagione 2017-2018.

Chi sa solo di Europa League, non sa niente di Europa League

Diceva Agostino d’Ipponia che “il mondo è un libro, e quelli che non viaggiano ne leggono solo una pagina”. Questa frase, per quanto nel tempo si sia trasformata in un vuoto aforisma da turisti, calza a pennello con quella che è la competizione migliore tra quelle che non prevedono il licenziamento di Carlo Ancelotti. L’Europa League è infatti un mondo, e quelli che si fermano alle partite leggono solo una pagina. Per allargare i vostri orizzonti oggi vogliamo sottoporvi ad un semplice quiz. Di seguito trovate dei nomi abbinati ad una squadra presente in Europa League, e voi dovrete scegliere se si tratta di un piatto tipico della città o di un giocatore della squadra.

P.s: potete ovviamente controllare su Google, ma questo andrebbe contro lo spirito stesso dell’Europa League (non sono sicuro ne abbia uno, dovrei controllare, comunque avete capito).

  • Lakror - Skënderbeu

Il lakror è la versione albanese del borek turco. Generalmente si riferisce a tutti quei piatti formati da della pasta simile alla sfoglia “flaky” e ripieni di vari ingredienti. Nella città di Coriza - sede dello Skënderbeu - viene spesso preparato nella sua versione con un ripieno di pomodori e cipolla, cucinato sulla brace e venduto in strada.

Afrim Lakror è un centrocampista offensivo di 27 anni, cresciuto nel Tirana, squadra con la quale ha debuttato nel campionato albanese nel 2010. Il 1º luglio 2017 viene acquistato a titolo definitivo dallo Skënderbeu, con cui firma un contratto annuale con scadenza il 30 giugno 2018. Il suo account instagram è privato, mentre la moglie ha studiato a Boston.

Janíček - Fc Fastav Zlín

Tomáš Janíček è un difensore centrale ceco, attualmente in forza al FC Fastav Zlín. Fuori dalla Repubblica Ceca ha giocato nel FC Nitra in Slovacchia. Alto 185 centimetri è molto forte nel gioco aereo, ma poco mobile. Dopo aver indossato il numero 5 per tanti anni, da quando è arrivato al Fastev indossa il numero 13.

Gli Janíček sono salsicce tipiche della Moravia, prodotte a partire da una miscuglio di carne bovina, suina e da altri condimenti. Dal peso compreso fra 65 e 85 g e con un diametro compreso fra 4 e 4,6 cm e una lunghezza media fra gli 8 e i 9 cm. Il prodotto ha un caratteristico e gradevole sapore di affumicato che viene accentuato dalle spezie utilizzate.

Tarator - PFK Ludogorec 1945

Vladislav Tartor è un portiere esperto in forza al Ludogorets dal Gennaio 2013. In carriera ha giocato ben 30 partite di qualificazione alla Champions League oltre ad avere 19 presenze nella nazionale bulgara. Ha militato in un’altra conoscenza di questa Europa League, lo Sheriff Tiraspol. Ha parato un rigore a Cristiano Ronaldo.

La Tarator è una zuppa fredda ipocalorica a base di yogurt e cetrioli. Tipica della cucina bulgara, soprattutto della zona di Razgrad,si prepara tritando finemente aglio, noci e aneto, mentre il cetriolo viene grattugiato. Infine si unisce al composto lo yogurt (lo yogurt bulgaro è molto buono) con acqua e olio d'oliva. Perfetta per l’estate.

Mukiibi - Östersunds Fotbollsklubb

Ronald Mukiibi è un calciatore svedese di origini ugandesi. Milita nell’Östersund dal Marzo del 2015. In quell’anno ha contribuito al ritorno della squadra nella massima serie svedese. Alto 187 centimetri, il suo account Instagram è privato.A Mukiibi è stato proposto di partecipare alla Coppa d’Africa 2017 con la maglia dell’Uganda, ma ha rifiutato la convocazione.

Il Mukiibi è un tortino a base di patate, cipolle, un pesce che si avvicina alle nostre acchigue sott'aceto, pangrattato e panna. Pare che questo piatto semplice e saporito venne creato agli inizi del ‘900 in onore di un cantante lirico svedese appassionato di cibo. È un classico delle tavole svedesi durante le festività natalizie.

Risposte:

1) A; il giocatore si chiama in realtà Afrim Taku.

2) A; le salsicce si chiamano Špekáčky.

3) B; il portiere si chiama Vladislav Stoyanov.

4) A; il tortino di patate e acciughe si chiama Janssons frestelse.

La partita di Jack Wilshere

L’Arsenal ha avuto vita abbastanza facile in terra bielorussa, contro un BATE Borisov troppo impegnato ad autosabotarsi per essere un avversario temibile. In quella che non è stata una bella partita, nonostante i sei gol, dopo troppo tempo è tornata però a brillare la stella di Jack Wilshere. Il centrocampista inglese non ha ancora giocato un minuto in Premier, ma ieri ha preso in mano la partita e non l’ha mai lasciata, ricordando a tutti perché per un periodo è stato considerato un talento incredibile. Inutile dire che una rondine fa primavera, e che prima di tornare a parlare di rinascita bisognerà aspettarsi un po’ di continuità da un giocatore che per limiti e sfortuna (soprattutto sfortuna) non ne ha mai avuta. Ma un Wilshere così è una ciliegina su quella torta invitante che è l’Europa League. Ecco alcune delle sue giocate migliori dalla partita di ieri.

L’assist per Walcott

Dalla posizione di trequartista, Wilshere ha la capacità di penetrare nelle difese avversarie come un coltello caldo nel burro. Gli basta un triangolo con Giroud per bruciare la difesa del Bate e arrivare sul fondo. Il tocco sotto per scavalcare i due difensori e mettere il pallone in testa a Walcott, poi, è pura poesia. Peccato che l’ala inglese abbia bisogno di due tentativi per far gol, togliendo il sacrosanto diritto di un più uno alla voce assist per Jack.

Alle spalle della difesa

Wilshere ha gestito la partita per tutti e novanta i minuti, e già questa è una notizia. Ha finito con il 92% di passaggi completati, senza però mai limitarsi al compitino, ma cercando ogni volta di collegare i reparti dalla trequarti e rendere la squadra pericolosa. Questo passaggio, per tempi, direzione e velocità, è un passaggio perfetto. Taglia fuori tutta la difesa del Bate e permette all’Arsenal di avere superiorità nel cuore dell’area avversaria. Che poi questo non basti per segnare, non è colpa del povero Jack.

Il tocco zidan-esco

Che uno è in quella che gli anglofoni chiamano “the zone” lo si nota soprattutto dalle piccole cose. Su questo campanile, Wilshere con il corpo tiene lontano il recupero del difensore, mentre con la gamba sinistra crea una specie di incavo dove il pallone va ad adagiarsi perfettamente.

In definitiva il senso di questa serata di Europa League dell’Arsenal è uno, ben sintetizzato da @GunmanGiroud:

Il silenzio dello Stadio Olimpico

Lazio - Zulte Waregem si è giocata a porte chiuse per la squalifica dell’Olimpico a causa dei cori razzisti dei tifosi nella partita dello scorso anno contro lo Sparta Praga. Ma che vuol dire a porte chiuse? Come ben sa chi ha visto la partita, o ha visto altre partite a porte chiuse, questo tipo di squalifiche chiude la porta in faccia ai tifosi, ma permette l’ingresso ad una sparuta minoranza di fortunati (oddio, fortunati).

100 membri dell'Essevee Business Club sostengono non troppo convintamente lo Zulte. I cori ascoltati durante la partita dovrebbero essere principalmente i loro.

Lo Zulte ha impostato la partita in maniera prettamente difensiva: disposto in campo con un 3-5-2 speculare alla Lazio, la formazione belga si è ben presto abbassata nella sua metacampo ritrovandosi con un 5-3-2 stretto e compatto con il preciso scopo di impedire transizione veloci alla Lazio. Un progetto conservativo che è naufragato dopo soli 18 minuti quando Caceido è stato il più lesto nel deviare in porta una sponda di testa di Marusic.

Una volta trovato il vantaggio, la Lazio si è ben vista dallo spingere più di tanto, addormentando la partita con il palleggio e cercando più che altro di controllare. Se in campo lo spettacolo offerto non è stato dei più memorabili, lo stesso non si può dire per il contorno: l’assenza di tifosi ha creato uno spettacolo, surreale ma pur sempre spettacolo, sia da un punto di vista estetico ( ieri il colore nettamente dominante era il blu acceso dei seggiolini vuoti dell’Olimpico) sia da quello sonoro, dato che era possibile distinguere le singole voci dei pochi tifosi e di chi era in campo.

I più attenti avranno potuto ascoltare tutte le indicazioni date nel corso della partita da Simone Inzaghi, un sottofondo costante alle giocate dei suoi undici. Prima del fischio d’inizio si è anche adoperato per dire a Gigio (che dovrebbe essere Di Gennaro) di passarla a Marco (dove Marco sta per Parolo).

Da buon soldatino il playmaker laziale appena ricevuto il calcio d’inizio ha cercato con un lancio lungo la testa di Parolo, come sapevano già i più attenti. Oppure lo abbiamo sentito spesso invitare Luis Alberto a salire con il pallone tra i piedi, con lo scopo di velocizzare la manovra biancoceleste, troppo spesso arenatasi contro la difesa schierata dello Zulte.

In tutto questo il tifo sugli spalti andava ad ondate: a momenti di quasi silenzio, si alternavano momenti in cui i pochi tifosi belgi provavano a sostenere la loro squadra con cori molto simili a preghiere di un muezzin.

Più andava avanti la partita più si scivolava in un silenzio sonnacchioso quasi sacro. A risvegliare le squadre dal torpore è arrivato l’urlo di dolore di Luis Alberto, colpito duramente alla caviglia.

All’urlo del laziale hanno fatto da contraltare i fischi dei soliti cento tifosi arrivati da Waregem come a dirgli “ma alzati, che non te sei fatto niente”. E invece Luis Alberto dopo quel colpo ha dovuto lasciare il posto a Milinkovic-Savic, mentre Immobile ha preso quello di Di Gennaro.

Questi due cambi, invece di dare alla Lazio la forza di chiudere la partita, hanno un po’ scollegato i reparti permettendo allo Zulte di uscire fuori e creare qualche pericolo dalle parti di Strakosha, molto reattivo in un paio di circostanze. Avanzando il proprio raggio d’azione, lo Zulte ha dovuto concedere più spazio alla Lazio, e chi è che sembra nato per fare gol in campi sempre più aperti? Ovviamente Ciro Immobile. L’attaccante laziale ha dimostrato una volta di più, qualora ce ne fosse bisogno, di avere una abilità speciale nel concludere le transizioni della propria squadra, anche in Europa League, anche in mezzo al silenzio, anche davanti a cento tifosi entrati chissà come.

Le migliori foto dei tifosi

Borini fa più o meno tutto quello che gli chiedi

Borini è stato l’acquisto meno interpretabile della campagna acquisti del Milan. In un calciomercato volutamente pomposo, l’acquisto a due soldi di un attaccante che ha fatto dell’umiltà e dello spirito di sacrificio quasi le sue uniche qualità è sembrato al massimo uno scherzo.

Borini, peraltro, è stato uno dei primi acquisti di un Milan che era ancora lontano dalla forma attuale: Andrè Silva, Kalinic, Bonucci, Biglia dovevano ancora arrivare e non si sapeva neanche come avrebbero dovuto giocare, tutti assieme. “Tornerà utile” dicevano genericamente i tifosi, che comunque uno come Borini non si butta mai via.

In questo inizio di stagione ha giocato da punta centrale, esterna del 4-3-3 e ieri anche quinto di sinistra nel nuovo 3-5-2 di Montella. Un ruolo che finora ha ricoperto Ricardo Rodriguez con molto meno dinamismo.

Rodriguez è un esterno associativo, che ama prendersi pause e dialogare con i compagni. Borini, a sinistra, ha comunque sempre nel cervello la porta avversaria, e appena può attacca lo spazio in verticale. Una dote da non sottovalutare una squadra che, orfana di Conti, fatica ad attaccare in ampiezza, come ha dimostrato drammaticamente la partita contro la Sampdoria.

Borini fa parte di quella categoria di calciatori che non hanno in linea teorica le qualità per fare quello che fanno, che ogni tanto pescano delle giocate fuori dal loro repertorio come qualcuno che ha imparato a giocare a calcio su YouTube e che prova delle cose per la prima volta. Non ha una grande sensibilità con il sinistro, eppure anche ieri ha mostrato un certo istinto a usarlo quando necessario, più di qualsiasi altro esterno sinistro del Milan in questa stagione: la palla verso Andrè Silva - che poi dribbla verso l’interno un difensore particolarmente lento e segna sul secondo palo - non ha niente di scontato.

Insomma, ieri Borini non è limitato a fare cose banali, o a regalare alla squadra un apporto esclusivamente atletico. Ha provato giocate tecnicamente complesse, con dietro una creatività difficile da riconoscere a un giocatore come Borini, ma che almeno ieri sera è esistita.

I passaggi ieri di Borini del Milan, 52, più del doppio di Abate che giocava sulla fascia opposta.

A 2 minuti dalla fine Borini si è innalzato a leader tecnico del Milan, quando Suso si è incartato su una palla sulla trequarti, rispedendola sciattamente all’indietro, Borini l’ha ripresa, è rientrato verso il centro e ha eseguito una rifinitura di collo interno dolcissima verso Cutrone.

È difficile immaginare che possa continuare a giocare titolare anche in partite in cui è richiesto difendere con più continuità. Borini rimane fondamentalmente una punta e, pur con tutta l’applicazione del mondo, quando deve difendere un avversario che lo punta tende a portarselo fin dentro casa.

Guardandolo arrancare in conduzione sulla sinistra, si fatica a credere che Borini possa giocare a questi livelli, che possa essere utile al Milan in qualche modo. Eppure Borini sta effettivamente tornando utile in tutti i modi possibili, come Zelig si reinventa centravanti che attacca la profondità, ala che taglia verso il centro, tornante di fascia, rifinitore. La sua capacità di essere decisivo nei momenti e nei modi più impronosticabili riflette una carriera passata a deludere nei contesti a lui congeniali e a stupire nei contesti in cui sembra inadeguato.

Riassunto di Sheriff - Copenaghen 0 - 0

Gli avanzi del calcio italiano del Rijeka

I legami fra il Rijeka e l’Italia non si limitano al fatto che la città è stata un tempo italiana, e che ancora custodisce un patrimonio culturale italiano piuttosto forte, ma il suo presidente anche è italiano. Gabriele Volpi, già proprietario dello Spezia Calcio, è il presidente del club dal 2012 e ha avviato un traffico losco di giocatori dall’Italia a Fiume.

Ecco le loro storie.

Josip Elez - Croazia - 1994

Quando nel 2013 Elez si è trasferito dall’Hajduk Spalato alla Lazio per mezzo milione di euro la stampa croata si è indignata e ha definito la cifra “pietosa” per un difensore promettente come Elez, all’epoca stabilmente nelle nazionali giovanili croate. Igor Tudor lo aveva definito “un vero e proprio affare”. Le immagini più entusiasmanti di Elez con la maglia della Lazio però sono quelle in cui fa le visite mediche in Paideia, nel disinteresse generale. Neanche esordirà con la maglia della Lazio, se non in primavera, dove si racconta abbia segnato un cucchiaio su rigore in un derby contro la Roma. A gennaio del 2014 è uscito un articolo intitolato “Elez sta stupendo tutti: la Lazio si coccola il suo gioiello”.

In realtà la carriera di Elez, all’epoca neanche ventenne, crollerà a picco, in tre anni gira per tre prestiti: Grosseto, Honved (Ungheria) e Aarhus (Danimarca) e poi torna in patria, al Rijeka, dove però riesce a recuperare parte degli aspettative che c’erano su di lui a inizio carriera. A gennaio scorso ha provato a comprarlo il Torino.

Dario Zuparic - Croazia - 1992

Zuparic è nato a Zupanja, al confine con la Bosnia-Herzegovina. Ha giocato prima con la nazionale U-19 bosniaca, ma poi ha preferito la Croazia. È cresciuto calcisticamente nel Cibalia, una squadra di Vinocki, in Slavonia, uno dei territori più devastati dalla guerra dei balcani. A 20 anni è passato al Pescara per la cifra record di 700 mila euro, ha giocato tre stagioni in Serie B sempre da titolare. Oddo lo apprezzava soprattutto per la sua qualità tecnica in impostazione e ha deciso di confermarlo anche in Serie A, dove però ha giocato appena 6 presenze. In una trasferta a Napoli in cui Zuparic non era stato convocato, un difensore del Pescara si prende la febbre e Oddo lo chiama la mattina stessa della partita “Mi servi, devi venire”. Zuparic prepara la borsa la mattina e parte con la sua macchina, da Pescara a Napoli. Alle 15 è in campo al San Paolo, dove il Pescara perderà 3 a 1. Nel post-partita Oddo ha definito l’avventura di Zuparic “degna di un film di Lino Banfi”.

Maxwell Acosty - Ghana - 1991

Si dice che Acosty sia stato scoperto da un osservatore della Reggiana mentre giocava per strada con degli amici. In quel momento aveva forse 17 anni ed è stato subito integrato nella squadra titolare, che giocava in Lega Pro. Nel 2009 la Fiorentina lo porta nella primavera di Leonardo Semplici (attuale allenatore della Spal) di cui diventa subito un punto fermo. Nel 2011 segna il gol decisivo nella finale della Supercoppa primavera contro la Roma.

L’anno dopo fa 5 presenze da titolare nella Fiorentina che preannunciano il valzer dei prestiti: Juve Stabia, Chievo, Carpi, Modena. Poi la cessione al Latina, che poi lo cede al Crotone, che per qualche ragione lo cede in prestito al Rijeka, dove Acosty neanche gioca titolare, ma ieri è entrato e ha bruciato Bonucci in contropiede per il gol dell’1 a 2.

Conosci la tua squadra di Europa League: F.K. Vardar 1947

Il Vardar è la squadra più gloriosa di Macedonia: ha vinto 10 campionati e 5 coppe nazionali. Nel 1961 ha vinto addirittura una coppa di Yugoslavia: unica squadra macedone a riuscirci. Stiamo parlando quindi di una società gloriosa e dovreste vergognarvi ad aver bisogno di questa rubrica per conoscerla.

Il Vardar ha preso il nome dal fiume che scorre lungo la capitale della Macedonia: Skopje, un centro urbano delizioso, che ha dato i natali a Madre Teresa di Calcutta e il cui nome romano “Scupi” non significa niente. Skopje è stata fondata dagli Illiri, l’antica popolazione dei balcani cresciuta attorno al lago Scutari, tra Macedonia e Albania ed è un posto dove si mangia benissimo. Particolarmente consigliata la “turli tava”, una pietanza a base di carni miste, da mangiare eventualmente insieme alle salse ajvar o ljutenica.

I tifosi del Vardar sono tra i più temuti dei balcani e il gruppo organizzato più importanta si chiama “Komiti”, un nome che deriva dai guerriglieri macedoni che hanno fatto la resistenza ai tempi dell’impero ottomano. Il derby contro il Pelister è una partita dall’ultraviolenza infernale, che ha un passato leggendario.

Nelle file della squadra hanno militato campioni del calibro di Andon Doncevskij, 217 gol col Vardar, e Darko Pancev, il cobra, che attualmente è direttore sportivo del club e le cui prestazioni con l’Inter sono rimaste leggendarie, ma che al Vardar aveva messo insieme più di 80 gol in 150 partite.

Il Vardar purtroppo è ancora a zero punti, in uno dei gironi più complicati di questo Europa League, quello con Real Sociedad, Rosenborg e Zenit. Ieri ha anche perso 3 a 1 col Rosenborg, l’unica avversaria con cui poteva sperare di fare qualche punto. In compenso ha schierato il terzino destro col nome più lungo fra i giocatori professionisti: Hovhannes Hambardzumyan.

Il gol più Europa League

Juan Felipe in Rosenborg - Vardar

Virilità: 4

Assurdità: 9

Anti-epicità: 9

Paura della morte: 10

Juan Felipe Alves Ribeiro è uno dei tanti brasiliani che dopo aver vivacchiato in campionati sudamericani sempre più tristi, per lui il campionato boliviano, misteriosamente finiscono a giocare nelle squadre dell’Europa dell’Est. Di storie come la sua ne esistono a bizzeffe, i più fortunati e promettenti approdano allo Shaktar (o almeno lo erano fino a qualche anno fa) i più sfigati - proprio quelli come Juan Felipe - finiscono in Macedonia o Albania e come unica soddisfazione della vita hanno qualche partita di Europa League finita male.

Ieri, dopo che la sua squadra è stata fatta a fette per novantuno minuti da Bendtner, Juan Felipe ha pensato che era il momento di riscattarsi. Quando un suo compagno ha recuperato un pallone sulla trequarti ed ha rapidamente servito la punta aveva già capito tutto. La punta - con una giocata da punta che conoscono pure in Macedonia - lo ha servito con un tacco di prima intelligente, tanto che Juan si è ritrovato nella perfetta condizione di avere il pallone sul sinistro al limite dell’area, senza nessun difensore davanti. Quello che succede dopo è il riscatto di uno che ha passato tutta la vita a giocare a pallone per finire a segnare il primo gol in Europa League di una squadra macedone in uno stadio lontano migliaia di migliaia di chilometri da casa, dagli affetti. Lo scavetto con cui batte il portiere del Rosenborg è uno dei gol inutili di questo turno, se visto da fuori, ma è utilissimo per il cuore del piccolo Juan Felipe, e se non è Europa League questa, io non lo so cos’è questa lacrima che sta scendendo dal vostro viso.

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