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Foto di Richard Heathcote / Getty Images
Calcio Emanuele Atturo, Marco D'Ottavi e Fabrizio Gabrielli 27 aprile 2018 19'

Il bello dell’Europa League 2018 vol. 13

Le cose più scintillanti successe nell’andata delle semifinali della nostra coppa preferita.

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Come è andata veramente a Leon

Siamo riusciti a contattare il trofeo dell’Europa League e gli abbiamo chiesto un racconto esaustivo e real dei fatti accaduti in Messico, quando è stato rapito da una banda di malviventi e recuperato poche ore dopo. Questa è la sua storia, raccontata mentre fuma una sigaretta.

 

Non ero mai stato in Messico prima, tutto quello che sapevo su questo posto veniva dai film con Gael García Bernal e da I detective selvaggi di Bolano. Per venire qui ho dovuto aspettare che gli sponsor mi ci trasinassero, come se fossi una statua che nessuno vuole davvero. E poi mi hanno portato a Leon, ma non Leon in Spagna, ne Leon il film con Jean Reno, ma quella – appunto – in Messico (forse per l’assonanza con Lyon, dove concluderò la mia missione per quest’anno), un posto così innocuo che sulla sua pagina Wikipedia c’è scritto che ha 80 chilometri di piste ciclabili come un vanto.

 

Facevano quasi trenta gradi a mezzogiorno, l’aria era rarefatta e l’umidità si attaccava sul mio argento come uno appena uscito di prigione alla prima puttana. Devo proprio parlarci con i miei sponsor: col cazzo che alla Champions League la portano in Messico. In Messico ci vanno gli Iturbe, i Menez, al massimo quelli un po’ svitati tipo Gignac e Honda. Non ci va l’Europa League in Messico. Come se non bastasse le mie guardie del corpo si fermano a mangiare TACO, no ma dico io, poteva accadermi una cosa più stereotipata?

 

È quello il momento in cui mi rapiscono. Un gruppo di messicani con le magliette dello Sheriff Tiraspol forza il furgone blindato in cui me ne stavo riposando e mi lancia dentro un vecchio pick-up della Ford tutto sgangherato. Parlavano solo spagnolo, ma fortunatamente io lo spagnolo lo capisco, avendo passato la maggior parte della mia vita a Siviglia. Parlavano fitto, con quell’accento messicano tutto musicale. Erano contenti: dovevano vendermi alla Transnistria, che voleva usarmi come leva per chiedere l’indipendenza. I soldi li avrebbe messi Putin, scottato dall’eliminazione di tutte le squadre russe.

 

Passo diverse ore così, steso al buio, in una catapecchia abbandonata dentro la Sierra de Lobos quando sento dei rumori in lontananza. Di gran carriera è arrivato un furgone nero, tutto bello pimpato, con una striscia rossa a disegnarne il profilo. Ne escono fuori alcune figure che riconosco subito: sono alcuni dei più validi giocatori che si sono battuti per il mio possesso. Per primo individuo la figura massiccia di Leandre Tawamba, centravanti del Partizan di Belgrado. Al volante c’è Vasili Berezutski e accanto a lui il fratello Aleksey, uniti non solo nel difendere la porta del CSKA Mosca, ma anche nel recuperare me, trofeo dell’Europa League, in aperto contrasto con il loro presidente. Ma non solo: nel commando che mi ha salvato c’erano anche Moussa Sow, Aritz Aduriz e Lazaros Christodoulopoulos.

 

Si sono battuti come leoni, hanno sgominato la banda di messicani-transnistriani e mi hanno riportato agli sponsor. Non hanno voluto niente, neanche che la storia trapelasse. Ma la verità è questa, non quella che avete letto su giornali e tweet disperati.

 

Quindi se ci vedremo a Lione non dovete ringraziare le forze dell’ordine, ma le forze dell’Europa League.

 

 

Il cinismo dell’Olympique Marsiglia

L’Europa League dell’Olympique Marsiglia sta diventando un videogioco arcade in cui i giocatori biancoazzurri devono sconfiggere le cattivissime squadre Red Bull. Come fosse però un videogioco al contrario, dove all’avanzare dei livelli la forza degli avversari cala invece di salire.

 

Ai quarti di finale l’OM aveva dato una grande prova di forza contro il RB Lispia, l’ammiraglia delle squadre Red Bull. Rudi Garcia per l’occasione aveva giocato una partita accorta all’andata, schierando la squadra con un 5-3-2 che chiudeva tutti gli spazi in mezzo alle ricezioni nei mezzi spazi del RB Lipsia; mentre al ritorno ha giocato in modo più spavaldo, forte anche del rientro di Thauvin e delle assenze che invece colpivano il Lipsia (in particolare Forsberg e Werner).

 

Contro il RB Salisburgo Garcia ha giocato subito in maniera aperta, con il 4-2-3-1 più qualitativo possibile. Thauvin, Payet e Ocampos dietro Mitroglou. Luiz Gustavo abbassato in difesa e la linea dei centrocampisti formata addirittura da Maxime Lopez e Morgan Samson: due giocatori estremamente offensivi, dalla grande tensione verticale.

 

Nonostante la sproporzione di spessore tecnico fra le due squadre, l’OM ha lasciato il pallone al Salisburgo, preferendo giocare la propria gara reattiva e verticale, minimizzando i rischi il più possibile. Il gol dopo pochi minuti di Thauvin (segnato peraltro con l’aiuto della mano) ha aiutato questo atteggiamento tattico. Il RB Salisburgo è riuscito a costruire alcune buone occasioni, soprattutto con i cambi di gioco da un esterno all’altro, dove le ali dell’OM faticavano a rientrare. Ad inizio secondo tempo la qualità superiore dell’OM è stata però di nuovo decisiva nel far saltare il pressing del RB Salisburgo. Amavi serve con uno scavetto Clinton N’Jie, entrato al posto di Ocampos. È girato col marcatore alle spalle ma gli bastano due tocchi per aprire gli avversari: un controllo di petto orientato per spostarsi la palla sul destro e una verticalizzazione nello spazio per Payet, che si sposta sempre sul lato di costruzione. Payet va sul fondo e chiude l’uno-due con N’Jie.

 

 

Negli ultimi venti minuti l’OM è calato in maniera drastica e ha smesso di pressare. In quel momento il RB Salisburgo ha avuto la sua occasione migliore, con un cross di Ulmer che ha trovato Guldbransen oltre la difesa. Ma l’attaccante norvegese ha preso il palo.

 

L’OM ha giocato tantissimo sul proprio lato destro, dove ha costruito il 57% delle azioni. Il RB Salisburgo lo sapeva e faceva in modo di essere quasi sempre in superiorità numerica. La qualità di Thauvin, Payet e Sarr ha però fatto la differenza. Se l’ala ha fatto una partita tutto sommato normale – specie se consideriamo il suo ultimo periodo di forma – il terzino è stato a tratti incontenibile. Sarr è stato il terzo giocatore dell’OM per passaggi realizzati, ha completato 8 dribbling e servito un passaggio chiave. Al di là dei numeri Sarr è stato fondamentale per scardinare il pressing del RB Lipsia, che saliva di intensità sulle fasce.

 

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L’influenza di Sarr sul gioco.

 

L’OM non ha giocato una partita brillante e i suoi migliori giocatori erano in una giornata piuttosto normale, ma ha fatto una partita cinica, sfruttando i momenti decisivi.  Il RB Salisburgo aveva cinque U-21 in campo ieri sera e la sua rosa valeva 100 milioni di euro in meno rispetto a quella dell’OM. Per una volta la squadra di Marco Rose non è riuscita a tagliare questo gap d’esperienza e di forza economica con gli avversari.

 

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Tags : arsenalarsene wengerdiego pablo simeonedimitri payetflorian thauvinlaurent koscielnyrudi garcia

Emanuele Atturo è nato a Roma (1988). Laureato in Semiotica, è caporedattore de l'Ultimo Uomo. Ha scritto "Roger Federer è esistito davvero" (66thand2nd, 2021).

Marco D'Ottavi è nato a Roma, fondato Bookskywalker e lavorato qui e là.

Fabrizio Gabrielli scrive e traduce dei libri. Ha tradotto Lugones e collaborato con i blog di Finzioni, Edizioni Sur e Fútbologia. Ha scritto "Sforbiciate. Storie di pallone ma anche no" (Piano B, 2012) e "Cristiano Ronaldo. Storia di un mito globale" (66thand2nd, 2019). Scrive sull'Ultimo Uomo dal 2013.

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