Titoli come “Sono vivi!” e anche “Sono tornati!” (queste le prime pagine dei due giornali di partito Sport e El Mundo Deportivo dopo il ritorno alla vittoria) non sono che la messa su carta di un sospiro di sollievo generale in una situazione che rasenta lo psicodramma. Perché se l’8-0 poco ha cambiato da quanto si era già visto contro il Valencia dalla squadra (diciamo finché il Depor è rimasto in partita nel primo tempo), il semplice fatto che sia arrivata la vittoria e che questa vittoria sia arrivata grazie alla MSN è quanto tutti i tifosi stavano aspettando per uscire dal momento di apnea generale. Mai in tempi recenti era arrivato uno scossone tale a tutte le certezze che una stagione porta con se.
In castigliano esiste il termine “bajón” e sta a significare la diminuzione brusca e intensa di qualcosa, questo termine è stato giustamente usato da tutti in Spagna per parlare dell’argomento del momento, ma non riesce bene a spiegare la situazione dell’ambiente. Per quello serve forse un paragone e il migliore l’ha trovato Rafa Cabeleira su El País:«Tolte le logiche differenze, sta succedendo al Barça quello che succede alle famiglie bene con un figlio praticamente perfetto e che improvvisamente si scopre essere tossicodipendente: non se lo spiegano, non riescono a crederci, non lo accettano».
L’articolo non aggiunge molto al dibattito del momento su cosa stia succedendo al Barcellona, ma fotografa benissimo la situazione ambientale: nessuno realmente riesce a capacitarsi di come si possa passare in tre settimane da essere campione in pectore della Liga (seriamente, 12 punti di vantaggio sulla seconda sono impossibili da recuperare direbbe la logica) e in corsa per il secondo triplete consecutivo ad essere fuori dalla Champons League e invischiato in una corsa a tre per il titolo contro due squadre ben più lanciate.
Il tutto con una chiara dinamica negativa che forse più di ogni altra cosa ha diviso la tifoseria tra chi la additava come causa principale della crisi (non negando comunque le basse prestazioni in campo) al grido di “le occasioni comunque ci sono è solo sfortuna se non si segna” e chi invece dice che si tratta solo del classico caso di “quando piove, diluvia”. Che i problemi sono reali e che la dinamica negativa si è solo inserita in questo contesto.
La MSN
Se l’ambiente sta vivendo un momento di totale smarrimento è anche perché a cedere sono alcune certezze forse ritenute incrollabili. Come per esempio il fatto che avere un tridente così forte garantisca, già di per sé, la possibilità di segnare sempre e contro chiunque. Invece è stato proprio il crollo, soprattutto fisico della MSN, e la mancanza di alternative ad essa, che hanno reso impossibile la vita al Barcellona contro squadre che seguivano un piano tattico ormai classico: bloccare il centro, concentrarsi sulla distanza tra le linee, lavorare sulle transizioni e andare in pressione a folate. Il Real Madrid, L’Atlético, la Real Sociedad e il Valencia. Abbiamo passato mesi a ricordare quanto fosse impossibile difendere la MSN, se non pensando prima che debbano essere loro ad abbassare il livello: beh, il livello adesso non si è solo abbassato, è arrivato un bajón.
In questo momento il piano gara per fermare il Barcellona è tanto semplice da apparire assurdo. Il Barcellona mette in campo nella circolazione del pallone, pochi cambi di campo, distanze mai adeguate a un gioco di posizione, mancanza di profondità, mancanza di minaccia in area fuori dalla MSN, pessima fase di recupero palla. A partire da questi difetti non è così difficile creare difficoltà ai “blaugrana”. Se l’Atlético ha dominato il ritorno di Champions, il Valencia ha tratto vantaggio dalla foga e il nervosismo di una squadra che cercava il riscatto in modo frenetico, punendola con contropiedi mirati.
La risposta in campo da parte dei giocatori, almeno sul piano della voglia, è encomiabile. Nessuno è sembrato in queste partite assente mentalmente o staccato dal gruppo. L’unico chiaramente fuori sincro e in totale balia della frustrazione è Neymar, la cui assenza nel supporto a Suarez in area di rigore è molto pesante.
Ma certo il problema di Messi che non arriva più in area è ben più grave. E nasce proprio dal fatto che, vedendo difficoltà la squadra in difficoltà a giocare il pallone nel centro del campo, finisce lui stesso per tornare indietro e assumersi le responsabilità di creare gioco. Solo che questa scelta ha il problema, dimostrato nella partita contro l’Atlético, di scombinare le distanze in campo, costringendo la squadra a giocare solo palle corte, annullando i cambi di campo di cui Messi e tagliando di fatto Rakitic sulla fascia lontano dal gioco. A quel punto rimane il solo Suarez a tentare di muovere la linea difensiva. Messi in area non gioca più, Rakitic non riesce ad arrivarci e l’unico compagno di Suarez nella zona calda rimane Neymar, che però non riesce più a prendere una decisione giusta con il pallone, forse offuscato dalla frustrazione.
Se Messi è giustificato dalla sua teorica onnipotenza, meno lo sono gli altri senatori che fanno scelte simili, provando a prendere in mano il gioco e finendo per creare però un contesto ancora più caotico. Il primo è Iniesta, che nonostante sia in condizioni fisiche brillanti, non aiuta la squadra provando a farsi regista. Se nel Clásico era apparsa come unica luce in una squadra piatta, alla lunga questa scelta porta Iniesta a provare gesti tecnici non propri, come le verticalizzazioni o i lanci in area, abbandonando invece le conduzioni di palla.
A Iniesta si aggiunge Mascherano, che prova sortite improvvise e lanci per far arrivare il pallone a Suarez il prima possibile; e anche Piqué, che ormai chiude sempre gli ultimi 10 minuti da punta aggiunta. Se dal punto di vista motivazionale il lavoro dei due difensori è encomiabile, dal punto di vista tattico è decisamente deleterio.
Contro il Valencia a 10’ dalla fine abbiamo in fase di attacco posizionale Iniesta che butta la palla in area per la sponda di Piqué per Messi. Con l’argentino che arriva di corsa in una zona di inferiorità numerica e con Suarez fuori dall’area. Oltre al fatto che l’attacco non è riuscito, questo non è un attacco da Barcellona.
Crollo Fisico
Ma da dove viene un crollo fisico tanto evidente proprio ora? Solo a fine febbraio, in piena striscia di vittorie consecutive, Luis Enrique assicurava che i sui dati erano chiari: la squadra era fisicamente anche più brillante rispetto a quella della stagione prima. Un mese dopo è arrivata la pausa delle Nazionali ed è arrivato il crollo. La palla ha iniziato a circolare senza velocità, la fase di recupero palla è andata sempre peggio e l’idea di tenere il pallone è diventata una necessità data dalla paura di dover fare affidamento ad una transizione negativa pessima. La squadra si è riscoperta letargica, lontana parente di quella che dominava atleticamente gli avversari nella fase cruciale della scorsa Champions League.
E il discorso sulla scorsa stagione è chiaramente fondamentale. Perché la squadra della scorsa stagione si è scoperta dominante fisicamente proprio in primavera, continuando sulla stessa linea alla ripresa del campionato e arrivando in apnea lungo tutto l’inverno. Il Mondiale per Club non ha significato nessun punto d’inflessione e la striscia positiva ha continuato fino, guarda caso, alla pausa per le Nazionali di inizio primavera.
Quella del Mondiale per club però non è una parentesi da sottovalutare. La competizione ha significato per la MSN di arrivare, ad oggi, con più di 40 partite giocate solo con il Barcellona in stagione, senza contare la Copa America estiva. Volendo fare un conto più preciso, siamo ad aprile e sia Neymar che Messi hanno giocato, solo con il Barcellona, già 44 partite. Suarez 48. Neymar ha giocato ogni singolo minuto delle partite in cui era a disposizione nel 2016 meno una in cui è rimasto in panchina (quindi 24 su 28). Messi e Suarez ogni singolo minuto di tutte le partite del 2016 in cui erano a disposizione.
La combinazione di blocco delle iscrizioni in rosa e partenza di Pedro in estate ha inciso molto in questo contesto perché ha costretto Luis Enrique ad avere come uniche alternative alla MSN i due ragazzini Sandro e Munir fino a gennaio. A gennaio poi la richiesta di Luis Enrique di prendere Nolito dal Celta Vigo per l’attacco non è stata accolta a causa di un budget dei trasferimenti prosciugato dall’esterno basso Aleix Vidal e dalla mezzala Arda Turan. Con l’infortunio di Sandro l’unico disponibile è rimasto Munir. Munir che ha giocato in Liga in questo 2016 4 partite su 18, per un totale di 326 minuti.
Il flop del mercato, con Arda Turan che non si è mai integrato nel gioco e Aleix Vidal che è passato da dover sostituire Dani Alves a non vedere il campo neanche quando il brasiliano è in panchina (solo 541 minuti totali), non ha fatto altro che portare al limite una squadra in cui Luis Enrique non ha mai visto risorse in panchina. Né per far rifiatare i titolari né per fare cambi in corsa. Praticamente le uniche risorse utili sono Sergi Roberto (fatto giocare infatti in ogni ruolo possibile), Rafinha (fino all’infortunio) e Mathieu.
Questo ha provocato in Luis Enrique il doppio problema manifestatosi contro il Valencia: con la squadra in svantaggio lui non ha eseguito neanche un cambio. «Sono felice con la rosa che ho: la decisione di non fare cambi è nata dal fatto che eravamo superiori e tutti si meritavano di rimanere in campo» ha detto dopo la gara. Andando però a leggere dietro le righe si capisce che il motivo dell’assenza di cambi è duplice: da una parte, facendo uscire qualcuno, lo avrebbe consegnato in pasto alla stampa come colpevole del momento negativo; dall’altra parte nessuno di quelli in panchina avrebbe comunque realmente cambiato le cose (Douglas, Adriano, Dani Alves, tre Stegen, Aleix Vidal, Munir e Bartra). Probabilmente la panchina del Valencia, con Paco Alcacer, Gayà e Negredo, in quel momento era superiore a quella del Barcellona.
Luis Enrique
Senza reali cambi Luis Enrique si limita a pochi cambiamenti tattici di posizione di partita in partita (come Busquets più alto o più basso a seconda delle fase di pressing avversario). Questa quasi impotenza ha reso il tecnico ancora più avulso a un contesto che da lui vorrebbe risposte che forse il tecnico non sa dare. L’approccio di Luis Enrique al momento di crisi è degno del suo ex allenatore Van Gaal. Con i titolari non ha mai professato parole che non siano d’elogio, ma in modo totalmente autonomo ha tenuto una linea durissima nei confronti di alcuni singoli giocatori che ritiene non all’altezza (come Aleix Vidal, sparito dalle rotazioni, o i giovani del Barcellona B) o di altri che non considera contrati al 100%. Questo è il caso di Dani Alves, non a caso in panchina per tutti i 90 minuti contro il Valencia.
Le polemiche generate hanno portato Luis Enrique a punirlo con grande decisione: non solo è rimasto in panchina, ma è stato trattato come un giocatore “inutile”. Il contesto difficile ha costretto l’allenatore a tornare sui suoi passi per la partita dopo contro il Deportivo, ma intanto il messaggio al giocatore è stato mandato. Come è stato mandato alla stampa. Esattamente come Van Gaal, ogni conferenza stampa è a rischio risposta avvelenata, come quella che ha subito un giornalista che ha provato ad insistere su quanto la forma fisica stia influendo nel momento negativo. Il nome del giornalista è Victor Malo, che in italiano è traducibile come “male”, e proprio il cognome del giornalista ha chiesto di ripetere Luis Enrique. Quando la risposta del giornalista è stata “Malo” lui ha chiosato con “Corretto, prossima domanda?”, girandosi dall’altra parte. L’ambiente non è tranquillo, ma Luis Enrique non sembra interessato a calmare le acque.
Insomma
Tra processi per i problemi con le tasse, polemiche per gli arbitraggi nei confronti di Suarez, Panama Papers, polemiche continue tra Piqué e tutto il madridismo, i viaggi lampo di Neymar in Brasile il Barcellona è da sempre sotto assedio. Eppure, fino a qualche settimana fa, sembrava impossibile che qualcosa potesse scalfire il gruppo nella cavalcata verso il secondo triplete consecutivo.
Incredibilmente, quello che ha finito per far saltare il banco sono stati i problemi di campo, di una squadra che evidentemente ha avuta la sfortuna di raggiungere il picco in inverno per un inutile record di imbattibilità. Una realtà familiare dato che è lo stesso che è accaduto al primo Bayern di Guardiola dopo il triplete (crollato esattamente nello stesso periodo e massacrato dal Real Madrid in semifinale di Champions League) e al Real Madrid di Ancelotti dopo la conquista della decima. Quello che sembra evidente è che nel calcio di altissimo livello attuale pensare di poter mantenere per un periodo di una stagione una forma fisica e mentale al top è impossibile, ed è questo forse che porta alla difficoltà nel rivincere la coppa più importante.
Un crollo, quello del Barcellona, che potrebbe comunque non costare il titolo visto il calendario favorevole rispetto alle due rivali, ma che rimane un esempio molto chiaro per il futuro del calcio. Perché ha prima di tutto dimostrato che nessuno è invincibile per sempre.