
I piedi nel tennis non ricevono quasi mai l’attenzione che meritano. Gli occhi, spesso aiutati da tutto il capo, seguono la pallina – diventata gialla nel corso degli anni perché è il colore più visibile – da destra a sinistra, o da sopra a sotto a seconda della prospettiva. Per ore tutte le teste si muovono all’unisono, guidate dalle braccia di chi sta giocando, come un’ipnotica lotta per il ritmo tra direttori di un’orchestra muta che sa solo andare a tempo. Per guardare i piedi bisogna sforzarsi a compiere un piccolo atto di ribellione, impedendo agli occhi e alla testa di abbandonarsi all’ipnosi collettiva scandita dalla palla. Non è un gesto semplice: bisogna consciamente distrarsi dallo scopo del gioco e spesso la FOMO è troppo forte. In fin dei conti, lo scopo è mandare la pallina dall’altro lato.
La storia dell’ultimo punto del Roland Garros 2025 di Iga Świątek, però, è una storia di piedi. Quelli di Aryna Sabalenka sono sulla linea di fondocampo, ben piantati a rivelare le intenzioni violente della numero uno del mondo. Si alzano in due rapidi saltelli e poi formano un passo in avanti. Il destro sorregge tutto il peso di un gesto definitivo. Dall’altra parte della rete, i piedi della polacca escono dalla posizione del servizio. Fanno in tempo a compiere un paio di micromovimenti di aggiustamento – più per inerzia muscolare che non per andare davvero da qualche parte. Esprimono la dichiarazione di resa, molto prima che la pallina tocchi per terra.
È finito così, nel primo pomeriggio di un giovedì di giugno, il regno sulla terra di Iga Świątek.
La polacca arrivava allo scorso Roland Garros senza nessun titolo vinto in stagione. L’ultima finale e insieme l’ultima vittoria, risaliva all’8 giugno di un anno fa. Il trofeo alzato, era quello dell’Open di Francia. Dall’altra parte della rete, c’era Jasmine Paolini nella sua storica prima finale in uno Slam. Mi ricordo molto bene la sensazione di gioia nel vedere Paolini in finale, e insieme di assoluta rassegnazione davanti all’inevitabile. Non era possibile battere Świątek, non sul Philippe Chatrier. Penso che per un bel po’, per le avversarie la prospettiva di affrontare la polacca da aprile ai primi di giugno fosse molto simile a quella che per un ventennio avevano avuto gli uomini contro Nadal.
Che Świątek iniziasse il torneo più importante sulla terra senza aver vinto un trofeo in stagione non accadeva dal 2020: quando appena diciannovenne e numero 54 della classifica aveva conquistato a sorpresa l’Open di Francia, che era anche il suo primo titolo in assoluto nel circuito maggiore. All’epoca, era già chiaro che non si trattava di una Emma Raducanu qualsiasi. C’era qualcosa di più profondo nel rapporto tra quell’adolescente e la terra rossa.
Il senso di Smilla per la neve è un romanzo danese che non ho letto, diventato poi film nel 1997 che avevo in VHS a casa. È un thriller che parla di una donna di origine inuit e della sua indagine solitaria sulla morte di un bambino indigeno, archiviata in fretta dalla polizia come incidente. A Smilla basta un solo sguardo alla scena del crimine ricoperta di neve per intuire la verità. La sua è una conoscenza ancestrale e non trasferibile, magica: viene da sua madre, dai suoi antenati e dalla Groenlandia. È un’esperienza altrettanto misteriosa, vedere Iga Świątek sulla terra.
In un tennis sempre più cannibalizzato dal cemento – che costituisce più di metà della stagione – le terraiole sono una specie in via d’estinzione da tempo, soprattutto tra le migliori in assoluto (scusatemi Mayar Sherif e le sudamericane tutte). Semplicemente non ne vale la pena. Per tutte, tranne che per Iga Świątek. Quando la polacca era esplosa, vincendo il suo primo Roland Garros, era la più giovane a farlo da Monica Seles (diciottenne nel 1992, al suo terzo Open di Francia consecutivo). Lo aveva fatto senza perdere nemmeno un set, lasciando alle avversarie un massimo di cinque game a partita. Alla fine di game ne aveva persi ventotto: la seconda performance più dominante di sempre a Parigi, a pari merito con Chris Evert nel 1979; dietro solo a Steffi Graff, che nel 1988 aveva concesso alle altre venti game in tutto.
Il legame dell’adolescente con la terra sembrava qualcosa di mistico, unico e ineffabile. E se Smilla ha un collegamento genetico e tribale con la neve, la polacca aveva costruito le molecole del suo DNA modellandole su quelle del suo antenato spirituale: Rafael Nadal.
«Quando ero piccola, in televisione seguivo solo Nadal. Non guardavo né altri giocatori, né seguivo il circuito femminile. Senza pensarci troppo, in campo provavo a giocare alla sua maniera, e qualcosa mi è rimasto». Nel 2020 Świątek raccontava così la sua genesi, con umiltà, quasi imbarazzo (tipici del senso di colpa interiorizzato in tutti i cresciuti cattolici) nell’ammettere di aver provato a somigliare a Lui. Terrorizzata che qualcuno potesse cercarLo nei suoi colpi e nei suoi piedi e non trovarLo.
Le somiglianze però ci sono, la più evidente nel dritto, carico di spin come quello di nessun’altra nel circuito – che ancora si deve un po’ liberare delle scorie dei colpi piatti, di moda una decina di anni fa. Per dare i numeri sull’eccezionalità del colpo, la media di rotazioni al minuto tra le prime 50 giocatrici WTA è di 2208. Quella di Świątek nel 2020 era di 3200 rpm. Quell’anno, in finale contro Sofia Kenin, liberò un dritto da 3453 rpm, poco sopra la media di Nadal trentaquattrenne (a sua volta vincitore senza perdere un set). A maggio 2024, la WTA aveva dedicato a Świątek un articolo celebrativo annusando il quarto titolo del Roland Garros in arrivo, dove definiva il dritto della polacca “il colpo più temuto del circuito”, successore del servizio di Serena Williams. Per gli uomini, forse anche complice la parentela spirituale tra i due, veniva eletto “colpo più temuto” il dritto mancino di Nadal.
Il secondo elemento eccezionale del tennis della polacca è il suo footwork, che viene valorizzato al massimo dalla lentezza della terra. I micromovimenti che compie per arrivare nel posto giusto al momento giusto per aggredire l’avversaria e soffocarla sono uno spettacolo a sé stante. Tante volte sembrano assestamenti incomprensibili, quasi barocchi. Talmente vicini alla perfezione che diventano muscoli semi-involontari, come quelli per respirare, che sì possono essere regolati, ma la maggior parte del tempo fanno da soli.
Quando tutto è in ordine, ben oliato e funzionante, il dritto gira vorticosamente e i piedi sono in moto, nessuna le si avvicina, almeno sulla terra rossa. Come la neve, la terra è una superficie naturale e va capita, non subita: lei la capisce meglio di tutte. Però, a differenza della neve in Groenlandia, non esiste un intero pezzo di mondo ricoperto di mattoni sbriciolati. Esistono solo appezzamenti, grandi circa tutti allo stesso modo, delimitati da recinzioni abbastanza alte da non far uscire le palline.
La conoscenza di questa materia non può essere tramandata tra le generazioni –forse solo Rafa Jr. potrebbe ambire a considerare il sapere intorno alla terra rossa una qualche sorta di eredità tribale. Świątek, che ha scelto da bambina il suo antenato spirituale, forse ha in fin dei conti peccato di appropriazione culturale. Per questo a soli ventiquattro anni – età di massimo splendore e maturazione di un atleta – sembra essere già passata. Ovviamente non è così. Però la parabola discendente della polacca sembra essere un fenomeno talmente inspiegabile da farmi cercare risposte nell’assurdo.
I dati raccolti da Tennis abstract mostrano molto chiaramente come la polacca nell’ultimo periodo faccia tutto un po’ peggio, soprattutto sulla terra. Certo, è più semplice scivolare quando si è molto in alto: in carriera l’ex numero uno del mondo ha vinto l’86% delle partite sulla superficie preferita. Il suo strapotere era tale, che se lei era nel tabellone, quasi ogni vittoria altrui era incomprensibile, o quanto meno imprevedibile. Nelle ultime cinquantadue settimane la percentuale è stata del 76%: dato che la rende la settima miglior giocatrice quest’anno sul rosso – la stessa posizione che ricopriva nella classifica generale all’indomani del Roland Garros, a testimonianza di quanto la sua eccezionalità sia legata alla terra, dove fino a meno di un anno fa era dominante.
Non aveva mai vinto così poco in tutta la sua carriera, né tantomeno perso così tanto: dal 2020, anno dell’esplosione, non era mai scesa sotto l’86% di vittorie sulla terra, con picchi nel triennio 2022-2024 dal 90% in su; nel 2025 ha collezionato quattro sconfitte, quando negli ultimi cinque anni al massimo ne aveva subite due in una stagione. Erano state due anche nel 2024. Anzi, se si considera la solita porzione di stagione sul rosso, ce n’era stata soltanto una: a Stoccarda contro Elena Rybakina. La seconda sconfitta, la più dura, era stata un paio di mesi dopo la vittoria del suo quarto Roland Garros, ai Giochi olimpici.
Al ritorno a Parigi in occasione delle Olimpiadi, Świątek era in una striscia di diciannove vittorie consecutive sulla terra e ventuno di fila sui campi dell’Open di Francia. L’oro era una promessa, a se stessa, suo padre, la Polonia, il mondo: non esisteva davvero un’avversaria in grado di poterla battere sul Philippe Chatrier. Non lo era di sicuro Qinwen Zheng: il confronto tra le due era di sei vittorie a zero per la polacca fino a quel momento. Nelle sei ore di lacrime che hanno seguito la prima e finora unica sconfitta di Świątek contro la cinese, l’allora numero uno al mondo se lo deve essere chiesto perché, perché proprio oggi.
Quando torneranno le Olimpiadi sulla terra? E quanti anni avrò? Poi, in ogni caso, non sarà più questa terra qui. È vero, come amano dire i campioni oggi, che la pressione è un privilegio, però schiaccia lo stesso. Świątek è tornata da Parigi con una medaglia di bronzo al collo, vinta contro Anna-Karolina Schmiedlova (all’epoca numero 67 del ranking WTA) in meno di un’ora. Una partita che si può definire un esercizio di dominio, a provare a ristabilire le gerarchie che avevano iniziato a scricchiolare il giorno prima.
Dal primo agosto – giorno della sconfitta in semifinale contro Zheng – la vita di Świątek era diventata un po’ più complicata. Il 12 agosto – ancora in pieno dramma esistenziale e jet lag dal passaggio tra continenti – l’avevano svegliata per un test antidoping poi rivelatosi positivo. Come è emerso dalle indagini, la violazione era dovuta a delle pasticche di melatonina che prendeva saltuariamente per dormire, contaminate in fase di produzione. Per un mese la numero uno del mondo era rimasta all’oscuro delle scoperte di laboratorio. Dopo gli Us Open era sparita: si era ritirata da tutti i tornei in Asia a cui era iscritta, per poi ricomparire a inizio novembre giusto in tempo per le ultime due delusioni del suo anno spaccato a metà – WTA Finals e Billie Jean King Cup.
Il 28 novembre, a stagione conclusa, ITIA (International Tennis Integrity Agency) e Świątek, rispettivamente dai loro profili, avevano reso nota la questione insieme alla pena concordata: un mese di sospensione praticamente già scontato. L’ennesimo caso di insabbiamento e ingiustizia nel tennis, almeno per chi non ha voglia di leggere. Nello stesso periodo, Jannik Sinner, il numero uno tra gli uomini, stava affrontando una situazione simile e per molti versi più lunga e pesante. Lui però sembrava aver trovato ancora più fame di vittoria: pochi giorni dopo la diffusione della notizia della positività posava sorridente con la coppa degli Us Open. La sua reazione aveva creato delle aspettative ingiuste nei confronti di tutti gli altri, Świątek compresa.
Il silenzio è una garanzia crudele: protegge dalle speculazioni sugli esiti giudiziari ancora da stabilire e al tempo stesso isola. Nei due mesi e mezzo di ritiri nascosti da menzogne e sotterfugi, la polacca era scivolata alla seconda posizione del ranking senza poter combattere. Poi era tornata in una versione sottotono e aveva concluso l’anno con uno scandalo enorme. Il 2024 si era improvvisamente trasformato in un incubo e il mito di Iga Świątek stava iniziando inesorabilmente ad affievolirsi.
Dopo una breve pausa, la stagione 2025 era iniziata in modo abbastanza regolare: finale alla United Cup; semifinale agli Australian Open; quarti al WTA 1000 di Doha – sconfitta dalla sua nemesi e criptonite Jeļena Ostapenko, senza turbare davvero l’equilibrio. Poi due sconfitte di seguito, ai WTA 1000 di Dubai e Indian Wells, entrambe contro Mirra Andreeva, sembravano aver rotto qualcosa nella polacca. Durante la seconda, quella in California, in particolare c’era stato un episodio di frustrazione eclatante: aveva colpito la pallina che le era arrivata dal raccattapalle, facendola rimbalzare molto vicino al malcapitato. Fischi dal pubblico, fischi da casa riversati sui social. Tanto che ora se si cerca su Google “Iga Świątek Indian Wells” – torneo che ha vinto due volte di fila – si trovano perlopiù articoli che hanno parole come “frustrata”, “follia”, “furia” nel titolo.
Il gesto è stato giudicato tanto imperdonabile da costringerla a rilasciare una lunga dichiarazione su Instagram, imprimendo una seconda macchia nel suo feed dopo la questione doping. Dalle sue parole si capisce in fretta come l’affaire raccattapalle sia stato una scusa per sfogarsi – come lo è stato forse anche per il pubblico, che di solito perdona in fretta episodi peggiori. Così, ci aveva fatto entrare nella sua testa in quei giorni, mesi, anni di scrutinio incessante: “Quando ero molto concentrata e non mostravo emozioni in campo mi chiamavano robot, dicevano che il mio atteggiamento fosse freddo e disumano. Ora che sono più espressiva e che lotto con le mie emozioni, vengo improvvisamente etichettata come immatura o isterica. Non è un parametro sano, soprattutto se considero che solo sei mesi fa sentivo la mia carriera appesa ad un filo, piangevo ogni giorno per settimane e non volevo mettere piede in campo. Oggi sto ancora cercando di assimilare ed elaborare tutto quello che ho passato”. Aveva concluso la sua riflessione con una previsione rassegnata: “Cambierà qualcosa il fatto che io abbia condiviso tutto questo? Probabilmente no, perché vedo chiaramente quanto la gente ami giudicare, creare teorie e imporre opinioni sugli altri. Forse alcune persone che vogliono davvero capire cosa sto vivendo riusciranno a farlo. In ogni caso questo non è il mio standard e non accetto che io e il mio team siamo incasellati nelle aspettative degli altri”.
In questo clima nervoso e incerto, l’unica cosa rimasta da fare era aspettare, tenere duro ancora un altro po’, questione di giorni. Alla fine la terra torna sempre, come il Natale – che non a caso in catalano si dice Nadal e in un dialetto polacco si dice Świątek. La terra torna sempre, e nessuna la capisce come lei.
L’esordio sulla superficie preferita nel 2025 era stato al WTA 500 di Stoccarda. Come a Doha, era stata fermata dalla nemesi e criptonite Jeļena Ostapenko, che ora ha un record di sei vittorie a zero contro la polacca. C’è però un’importante differenza con i cinque precedenti – che non avevano davvero turbato l’equilibrio, solo creato una statistica divertente: questa era la prima volta che le due si incontravano sulla terra. Certo, Stoccarda è un torneo indoor e le condizioni sono molto diverse da quelle di Roma o Parigi: la terra tedesca è più veloce e favorisce giocatrici potenti, che di solito si trovano meglio sul cemento. In ogni caso, Ostapenko era riuscita a espugnare anche l’ultima roccaforte di Świątek. Poco importa che la lettone abbia vinto sulla terra il trofeo più importante della sua carriera – il Roland Garros nel 2017. O che la natura del terreno non influisca davvero sullo stile di gioco di Ostapenko, che è di pura aggressione. Quella era la prima vera occasione per provare a cambiare l’inerzia degli scontri diretti e Świątek l’aveva mancata.
Dopo Stoccarda, erano arrivati e passati i WTA 1000 di Madrid e Roma. In Spagna aveva perso in semifinale contro Coco Gauff, incassando due 6-1. Gauff, delle prime dodici partite giocate contro la polacca ne aveva vinta solo una: nel 2023 a Cincinnati, sul cemento. Gli ultimi tre scontri, però, sono tutti a favore dell’americana, che sembra aver trovato la chiave per disinnescare Świątek. Ora, pure sulla terra. Infine a Roma, torneo che l’ex numero uno ha vinto tre volte, era stata la volta di Danielle Collins: 6-1, 7-5 solo al secondo turno.
Le conferenze stampa post partita sembravano sempre più delle sedute pubbliche di psicanalisi, in cui Świątek diventava progressivamente più demoralizzata. A Stoccarda: «Penso che oggi sia stato un match teso, di sicuro ho avuto le mie occasioni per vincere. Semplicemente non le ho usate». A Madrid: «A dire la verità, negli ultimi mesi è sempre successo qualcosa. La mia vita è andata sottosopra a novembre. Non è stato facile e non è stato facile accettarlo dopo […] Sto cercando un periodo di pace e sto solo aspettando che avvenga». A Roma: «Di sicuro sto facendo qualcosa di sbagliato. Ho bisogno di riordinare e cambiare delle cose […] Mi ricordo come mi sentivo nei tornei precedenti o negli anni precedenti e do per scontato che (la pallina, nda) vada dentro e sbaglio. Non è uguale, sono confusa». Ormai era chiaro che, per la prima volta da almeno tre anni, non sarebbe stata lei l’assoluta favorita per la vittoria dello Slam sulla terra.
Alla vigilia del Roland Garros, Świątek – scivolata alla quinta posizione del ranking e quindi privata del privilegio di avere un quarto di riferimento – aveva avuto un sorteggio quasi comico, tanto era crudele. A partire dagli ottavi di finale, dove ad aspettarla ci sarebbe stata una tra Ostapenko e Rybakina. Nelle prime timide conferenze stampa, che restavano comunque delle sedute di psicanalisi, l’ex numero uno provava a darsi coraggio, senza alzare troppo le aspettative: «Qualche volta si può iniziare uno Slam in pessima forma e senza giocare perfettamente, ma poi trovare il proprio gioco durante. È un torneo di due settimane quindi penso che sia impossibile essere al massimo per tutto il tempo, hai solo bisogno di sopravvivere». E Świątek in effetti sopravviveva, turno dopo turno, ma senza guadagnare particolare fiducia: i tornei precedenti avevano mostrato quanto fossero repentine e inarrestabili le sue cadute. Vittoria dopo vittoria, era riuscita a guadagnarsi l’accesso al quarto turno, quello di Ostapenko o Rybakina. Per sua fortuna, Rybakina.
In ogni caso, contro la kazaka sembrava essere arrivata la fine del regime polacco sulla terra: Świątek aveva perso il primo set 6-1 e si trovava sotto di un break nel secondo. A questo punto, mentre il tempo a disposizione stava scivolando via velocemente Wim Fissette (il nuovo allenatore) le aveva suggerito la strategia giusta: se il tempo scorreva troppo rapido, al ritmo dei servizi di Rybakina, andava dilatato rispondendo da più lontano. Tipo Daniil Medvedev – come avrebbe poi detto lei scherzando in conferenza stampa –, ma anche tipo Rafa. Świątek all’inizio era scettica: «Mi sono allenata un po’ a farlo. Il piano di Wim era di convincermi a provarci ogni tanto, però non ero tanto sicura fosse la cosa giusta per me. Qualche anno fa, quando ho iniziato a essere più aggressiva ho iniziato a vincere di più». Ma in questo caso, aveva ammesso, era sensato tentare. Quello che non si direbbe, dall’incredibile mobilità dei suoi piedi, è quanto sia difficile per lei cambiare piano.
L’aggiustamento della posizione in risposta aveva funzionato, consentendole la vittoria in rimonta (1-6, 6-3, 7-5). Paradossalmente, almeno dal punto di vista di Świątek, la kazaka avrebbe poi detto in conferenza stampa di aver percepito che l’avversaria fosse diventata più aggressiva con l’andare della partita. Dopo aver ottenuto l’accesso ai quarti, l’ex numero uno WTA aveva condiviso con i giornalisti una sua riflessione: «Penso che le ragazze servano più velocemente ora, tutte stanno evolvendo. Ci sono dei limiti alle cose a cui puoi reagire». La campionessa ventiquattrenne a volte parla come una vecchia. Nota dei cambiamenti nelle altre a cui non riesce bene ad adattarsi, almeno non naturalmente, e spesso pare aggrapparsi a schemi vecchi che funzionavano qualche tempo fa. La terra alla fine è sempre quella e lei ci sa giocare nel modo più perfetto. Almeno quando il dritto gira vorticosamente e i piedi sono in moto. Se qualcosa non funziona, la cronica mancanza di autostima che sta sperimentando la fa vacillare e subire punteggi che fino a poco fa erano il marchio di fabbrica del suo strapotere. Dopo la rimonta contro Rybakina, Świątek era riuscita a trovare un’altra buona vittoria contro Elina Svitolina nei quarti di finale. Siamo tornati all’inizio: la semifinale con Aryna Sabalenka e la fine del regno sulla terra.
«Ha giocato come se non avesse dubbi, l’ha fatto e basta. Ecco cosa intendo per intensità», la polacca avrebbe descritto così il terzo set della numero uno del mondo, perso a zero. C’erano stati dei momenti nella partita in cui si erano viste delle apparizioni della Świątek passata: nel primo set sempre in rimonta, trascinato al tie-break; e soprattutto nel secondo set, durante il quale era riuscita a muovere Sabalenka e trovare più vincenti. All’inizio del set decisivo, l’inerzia era sembrata essere dalla parte della padrona di casa, più sicura nei turni di servizio e reattiva in risposta. Ma in questo momento storico Sabalenka non ha dubbi (e probabilmente le farebbe bene iniziare a porsene qualcuno, soprattutto sulle capacità delle avversarie); Świątek, invece, ne ha fin troppi che escono fuori tutti insieme nei momenti decisivi. Così, contro ogni logica e pronostico, la bielorussa aveva spazzato via l’avversaria, concedendole sei punti in tutto il set. Una conclusione anticlimatica del regime polacco sulla terra.
La terra è arrivata ed è passata. Świątek non ha vinto neanche un titolo, non ha raggiunto nemmeno una finale, lasciando alle altre la possibilità di spartirsi i premi che erano suoi di diritto: Madrid a Aryna Sabalenka; Roma a Jasmine Paolini; Parigi a Coco Gauff. Da lunedì 16 giugno la polacca si attesta all’ottava posizione del ranking WTA, la peggiore da febbraio 2022. Non ha più titoli a suo nome, né molto altro da perdere fino alla fine della stagione.
Le sensazioni negative accumulate nei mesi passati si sono sedimentate e mischiate all’argilla che compone la terra rossa (ma anche le persone) e hanno trasformato la superficie preferita in un terreno ostile, le avversarie in ostacoli insormontabili. Ma sono solo illusioni, mostri creati dal suo cervello che appesantiscono i suoi piedi e soffiano fuori i suoi dritti. Tutti i cambiamenti di cui sarebbero capaci le altre secondo lei, sono anche alla sua portata – come si è visto nella partita contro Rybakina. Probabilmente il periodo di frustrazione e stress ha solo esposto dei problemi strutturali del suo gioco e del suo carattere, che la portano a cambiare raramente piano di azione durante una partita. Poi, quando questo non funziona, tende a rifugiarsi nei ricordi di gloria degli schemi passati, che non sono necessariamente la scelta più adatta, ma quella che la fa sentire illusoriamente più sicura.
In ogni caso ci sarà occasione per riprovare: la terra tornerà anche l’anno prossimo, e tutti quelli a venire, come il Natale. Iga Świątek ci sarà (spero). Non so se sarà in grado di ritrovare la serenità e la fiducia in se stessa in tempo. Di sicuro avrà dalla sua due elementi fondamentali: la libertà dalla pressione delle aspettative per la prima volta dal 2020; il senso misterioso e ancestrale per la terra.