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Come Dirk Nowitzki è diventato un simbolo della pallacanestro nel mondo.
Come Dirk Nowitzki è diventato un simbolo della pallacanestro nel mondo.
Intervallo: The Dark Side of Dirk
Se i trionfi e le delusioni sportive fanno parte dell’esperienza di ogni atleta, è quanto accade fuori dal campo di gioco a definirne il profilo per il mondo esterno. Nel caso di Nowitzki è possibile rintracciare una linea di continuità tra il comportamento tenuto sul parquet e la condotta dimostrata di fronte alle vicende extra-cestistiche. Il primo momento critico per Dirk arriva proprio nell’estate 2005, quando è ormai un All-Star conclamato e in patria la sua notorietà ha raggiunto livelli in precedenza consentiti solo agli idoli calcistici o a un mito come Michael Schumacher. Il fisco tedesco, a conclusione di un’indagine sulle entrate di Holger Geschwindner, decide di sottoporre il mentore di Nowitzki al regime di custodia cautelare. I contorni della vicenda sono poco chiari perché le parti in causa, dopo aver raggiunto l’accordo relativo al patteggiamento, si impegnano a non rivelare i dettagli dell’accusa. Quanto noto, in realtà, basta e avanza per definire i due personaggi coinvolti e il loro rapporto.
Quando Geschwindner viene incarcerato, Nowitzki è in vacanza a godersi l’unico mese di pausa dalla pallacanestro. Avvertito dai famigliari, Dirk sale sul primo aereo e torna in Baviera. Appena atterrato, rende subito chiaro di non ritenere necessaria la mediazione di alcun legale che lo aiuti a capire, vuole solo parlare a quattr’occhi con Holger. Dal colloquio Nowitzki esce con la certezza che le accuse formulate al suo mentore siano prive di fondamento e, senza indugiare, si dichiara disposto al pagamento della cauzione che permetterebbe di rimettere in libertà Geschwindner. L’importo stabilito dal tribunale tedesco è di quelli da mettere i brividi anche a un multimilionario quale Nowitzki è nel frattempo diventato. Tuttavia, Dirk stacca l’assegno da 15 milioni di dollari e l’amico Holger è di nuovo un uomo libero. I Mavericks e l’agenzia delle entrate americana confermeranno in seguito quanto emerso durante il processo: Holger Geschwindner, negli ultimi dieci anni, non ha mai ricevuto alcun pagamento in denaro da parte della franchigia e tantomeno dal giocatore. In un ambiente dominato da cifre a sei zeri e contratti con centinaia di pagine che definiscono nelle minuzie i rapporti professionali, quello tra Nowitzki e il suo mentore è un legame che sfugge alla comprensione di molti. In seguito, Geschwindner verrà assunto a tutti gli effetti nello staff tecnico della squadra, ponendo fine alla promiscuità di una figura tanto rispettata quanto guardata da molti, fuori dal cerchio ristretto dei Mavs, con diffidenza.
Se la disputa tra il fisco e il suo mentore di fatto sfiora solo la figura di Nowitzki, quanto accade quattro anni più tardi ne mina la reputazione e ferisce Dirk nell’intimità dei suoi sentimenti. Cristal Taylor, la ragazza con cui ha una relazione da quasi un anno, viene arrestata proprio a casa di Nowitzki il 6 maggio del 2009. A carico della donna ci sono vari reati, tra cui spicca la violazione dei termini di libertà vigilata concessagli dallo stato del Missouri in seguito a un processo per truffa e contraffazione. Dirk, ignaro dell’oscuro passato della donna che aveva intenzione di sposare da lì a qualche mese, piomba in un limbo che durerà tutta l’estate. Se il danno d’immagine per il personaggio pubblico è intuibile, il contraccolpo per l’uomo è di quelli che mettono alle corde. Come nelle migliori storie d’amicizia, stavolta tocca a Geschwindner correre in soccorso del suo pupillo. I due partono per un viaggio tra gli spazi remoti della Nuova Zelanda, lontano dai riflettori e dalla curiosità dei media. Tra le passioni di Dirk ci sono le opere di Tolkien, in particolare Lo Hobbit, e il suo mentore gli gli organizza un tour tra il luoghi in cui Peter Jackson, di lì a non molto, inizierà le riprese della versione cinematografica della trilogia. Non è proprio la vacanza tipo per una celebrità dello sport mondiale, eppure, per quanto bizzarra, la fuga di Dirk dal mondo sembra funzionare.
Atto II: A un passo dal cielo / in un angolo buio
La nuova versione dei Mavericks targati Avery Johnson ha una connotazione decisamente più difensiva rispetto al corri-e-tira cavalcato da Don Nelson e, salutato Finley senza troppe esitazioni, le redini dell’attacco vengono affidate a Nowitzki. È lui il totem attorno al quale il nuovo e ambizioso coach modella l’identità di una squadra che fa della solidità nella propria metà campo il marchio di fabbrica. Con Jason Terry come secondo violino, Dirk alza ancora una volta l’asticella delle sue prestazioni personali: a stabilire uno standard che verrà inseguito da generazioni di giocatori non sono tanto i 26 punti e 9 rimbalzi a partita, quanto il 48% dal campo (con 40% da tre) e il 90% ai liberi. Qualora ci fossero ancora dubbi, l’ennesima stagione eccellente di Nowitzki li spazza via: un giocatore così non ha precedenti nelle epoche passate.
Dallas chiude la regular season con un record di 60-22 che vale il quarto posto nella Western. Se il primo turno contro Memphis è poco più che una formalità, i due round successivi si rivelano vere e proprie battaglie all’ultimo sangue. I rivali di sempre, i San Antonio Spurs, cadono al supplementare di gara 7 dove, in trasferta, Dirk segna 37 punti (tra cui il canestro-e-fallo con cui forza il supplementare) e strappa 15 rimbalzi vincendo il duello con Tim Duncan. Per Nowitzki e i Mavs è un rito d’iniziazione e la carica di fiducia che ne deriva li accompagna durante la successiva serie con i Suns del vecchio beniamino Steve Nash. Nella decisiva gara-5, i 50 punti di Dirk indirizzano la contesa in favore dei texani e segnano una delle più grandi performance individuali nella storia dei playoff. Sulle ali di quell’entusiasmo, i Mavs approdano alla prima finale nella storia della franchigia. Gli avversari, i Miami Heat, sono anche loro all’esordio sul grande palcoscenico. Dallas gode del fattore campo, per contro Miami può contare sulla guida esperta di Pat Riley e sulla presenza di Shaq, sceso in campo in quattro delle ultime sei Finals.
Le prime due partite giocate in Texas sono due solide vittorie per Nowitzki e compagni e, quando il quarto quarto di gara-3 è ben avviato, i Mavs sembrano in controllo della partita e pronti a mettere un’ipoteca decisiva sul Larry O’Brien Trophy. Poi, in uno di quei repentini capovolgimenti emotivi impossibili da spiegare con la razionalità, Dwyane Wade rivela al mondo la sua identità segreta di supereroe e Dallas non riesce più a vincere nemmeno una partita. Nowitzki cade insieme ai suoi, annichilito dal flusso degli eventi che spinge il titolo verso South Beach. Gli Heat si laureano campioni e per Dirk è la delusione più grande della carriera: il senso di colpa per aver mancato al proprio dovere di leader e trascinatore nel momento più importante pesa come un macigno
La sua ricetta per uscire dall’angolo buio è semplice: un’estate di palestra e lavoro. Cuban — assodata la rottura con Don Nelson, che in estate lascia il posto di general manager al figlio per tornare sulla panchina di Golden State dopo dodici anni — decide di puntare sullo stesso gruppo e sulla voglia di rivincita. Il propellente sembra funzionare alla grande durante l’intera regular season. Per Dirk è l’apice della carriera in termini di produzione ed efficenza: il capitano dei Mavs gioca come se non ci fosse un domani e dimostra di aver ampliato ulteriormente il suo arsenale offensivo. I 24,6 punti e 8,9 rimbalzi di media con cui trascina i suoi al miglior record nella storia della franchigia (67-15), gli valgono il premio di MVP, primo e finora unico europeo a vincerlo, arrivato dopo due terzi posti consecutivi. È anche la stagione in cui Nowitzki entra nell’esclusivo club del “50-40-90”, grazie al 50.2% dal campo, al 41.6% da tre e al 90.4% ai liberi. Fin lì, nessun giocatore di quella stazza era mai riuscito nemmeno ad avvicinarsi a quel traguardo.
A Dirk però manca una cosa, l’unica che gli interessa davvero: vincere il titolo. Al primo turno dei playoff Dallas ritrova, per un beffardo scherzo del destino, proprio Don Nelson. La serie tra Mavs e Golden State Warriors è una delle imprese più clamorose nella storia recente del gioco. Golden State, trascinata da autentici pirati come Baron Davis e Stephen Jackson, porta con successo il più classico degli arrembaggi alla nave ammiraglia guidata da Avery Johnson.
Se la sconfitta con Miami di dieci mesi prima ha lasciato cicatrici difficile da guarire, lo shock per la sconfitta con gli Warriors getta l’ambiente di Dallas nella più cupa depressione. Cuban, una volta fallito il tentativo di portare in Texas Kevin Garnett, decide tuttavia di dare ancora una volta fiducia al gruppo, mentre per Dirk quella che segue è un’estate di grandi dubbi e riflessioni. Come sempre, in suo soccorso, arriva Geschwindner. I due affittano un piccolo van e insieme decidono di viaggiare lungo le strade dell’Australia. Voci accreditate vorrebbero Dirk addirittura tentato dal ritiro; altre, più realisticamente, suggeriscono di un rapporto ormai logoro con Avery Johnson. Di certo è il momento più difficile nella carriera di Dirk, un buco nero da cui solo la sua immensa forza di volontà lo spingerà fuori.
Dario Costa è nato trentotto giorni dopo Kobe Bryant. È innamorato e scrive di musica e pallacanestro, spesso mescolate insieme. Ha collaborato con Barracuda Rock Tour e Rivista Ufficiale NBA.
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