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Come Dirk Nowitzki è diventato un simbolo della pallacanestro nel mondo.
Come Dirk Nowitzki è diventato un simbolo della pallacanestro nel mondo.
Antefatto: Il capolavoro della famiglia Nelson
Nella primavera del 1998, quando decide di dichiararsi per l’imminente Draft, Nowitzki è impegnato nell’espletamento del servizio militare. Al Nike Hoop Summit di fine marzo impressiona tutti vincendo il titolo di MVP della manifestazione, ma di tempo per partecipare ai camp di preparazione non ce n’è. Dirk riesce a fare giusto due provini con le squadre che hanno manifestato maggior interesse nei suoi confronti. Rick Pitino, che siede sulla panchina di Boston, ne rimane stregato e chiede al front office dei Boston Celtics che venga fatto il possibile per vestirlo di bianco-verde. La fascinazione scaturisce dalle caratteristiche uniche di Nowitzki: fin lì, un lungo della sua statura che tirasse con quella pulizia nell’esecuzione non solo non si era mai visto, era difficile anche da immaginare.
L’altra squadra che ha un interesse per il biondino da Würzburg è Dallas. Donnie Nelson, incaricato dal padre, incontra Dirk, ovviamente accompagnato dal suo mentore. La leggenda vuole che Nowitzki esegua alla perfezione tutte le richieste dello staff tecnico, Donnie in testa, esibendosi in tiri con entrambe le mani. Quando Nelson Jr. esce dal provino, chiama subito il padre. Il messaggio è chiaro: dobbiamo mettere le mani sul tedesco. I Mavericks hanno la sesta scelta, quattro posizioni più indietro ci sono i Celtics. La questione però è più complicata di quanto sembri perché i due Nelson, oltre a portarsi a casa il rookie, vogliono puntare su Steve Nash, che al momento vestiva la maglia dei Phoenix Suns. Viene architettato un complesso giro che coinvolge Milwaukee come terza sponda e il risultato finale è che Dallas sceglie Robert Traylor con la sesta, i Bucks Nowitzki alla nove e Pat Garrity alla diciannove — e magicamente ognuno ottiene ciò che vuole. I Bucks hanno Traylor, i Suns Garrity e in Texas sbarcano Nash e Nowitzki. Se non si tratta di un capolavoro di mercato questo, allora i capolavori non esistono.
Nonostante i Mavs abbiano messo in piedi una tale macchinazione pur di averlo tra le loro fila, Dirk è tutto fuorché convinto di approdare subito in NBA. È solo dopo diversi consulti, durante i quali Geschwindner recita il ruolo dello scettico e i due Nelson si prodigano per fargli capire quanto puntino su di lui, che il ragazzo si convince.
Atto I: I tormenti del giovane Dirk / Biologicamente evoluto
Il primo autunno americano di Nowitzki è però caratterizzato dal lockout e dalla conseguente impossibilità di allenarsi con la sua nuova squadra. Il Barcellona, che l’aveva già cercato quando era ancora 16enne, si ripropone, così come diversi altri top team d’Europa. Ma, come detto, questo è l’universo di Dirk e quindi si torna a Würzburg. Tempo di disputare tredici partite con i vecchi compagni e arriva la chiamata da oltreoceano: si gioca.
L’anno da rookie di Nowitzki è un calvario: il salto dalla seconda serie tedesca all’NBA è di quelli da far perdere l’equilibrio, e Dirk pensa ripetutamente di rinunciare a tutto e tornarsene a casa. Forse, s’interroga, l’idea di fare ancora un paio d’anni in Europa non era così peregrina. La fisicità del gioco lo mette in seria difficoltà, in difesa subisce l’avversario di turno, immancabilmente più grosso e atletico, e in attacco fatica a dispiegare l’innegabile talento a disposizione. A trattenerlo sono la fermezza con cui il suo mentore detta la linea di condotta — una volta presa una decisione la si porta avanti comunque — e l’amicizia con un compagno di squadra. Quello con Steve Nash è infatti il secondo incontro decisivo nella vita di Nowitzki. Un canadese mezzo inglese e mezzo gallese, nato in Sudafrica e snobbato dai grandi college americani e un tedesco spaesato che fatica ad adattarsi alle abitudini locali, due nerd nel cuore del Texas: il rapporto non può che decollare.
In campo ci vuole un po’ di più, ma l’anno successivo i due sono già una coppia tra le più prolifiche della lega. Nowitzki raddoppia le proprie medie e trascina i Mavs a un soffio dai playoff. Arriva anche secondo dietro a Hornacek nella gara del tiro da tre punti all’All-Star Game, dimostrando una meccanica di tiro strabiliante per un atleta di 2 metri e 13. Il suo ruolo in campo rimane però sfumato: Nelson lo fa giocare spesso da ala piccola per sopperire le carenze fisiche, ma la difesa rimane un problema e la fragilità nella propria metà campo — che rimarrà un difetto anche una volta raggiunto lo status di superstar — gli vale il soprannome di “Irk”, ovvero il nome di battesimo senza la “D” di difesa. Nel gennaio del 2000, però, Dirk fa il terzo e penultimo incontro decisivo della sua carriera.
Mark Cuban, magnate e tifosissimo dei Mavs, compra la franchigia da Ross Perot Jr. Insieme all’assegno da 285 milioni di dollari, Cuban porta in dote un entusiasmo sconfinato e la ferrea volontà di trascinare Dallas ai vertici della NBA. Per farlo, si punta forte su Nash e Nowitzki, sodalizio sempre più vincente dentro e fuori dal campo. Nelle quattro stagioni successive i Mavs, grazie al talento del loro duo e della prolificità di Michael Finley, sono il laboratorio in cui germoglia il seme dello small ball. Sotto la guida del sempre più eccentrico Don Nelson diventano una squadra d’élite nella Western Conference, arrivando a giocarsi la finale con i San Antonio Spurs nel 2003. In quel contesto, Nowitzki, che nel frattempo ha lavorato sulla sua massa muscolare mettendo su quasi dieci chili, si evolve in una macchina da doppie doppie e si guadagna la prima di una lunga serie di convocazioni all’All-Star Game. Tuttavia, l’eliminazione al primo turno dei playoff l’anno successivo, avvenuta per mano dei Sacramento Kings, convince Cuban a cambiare pagina. Per arrivare dove vuole lui, ad alzare il tanto agognato Larry O’Brien Trophy, serve altro. La pallacanestro anarcoide di Nelson mostra limiti che il proprietario della franchigia vorrebbe superare senza esitazione. Per motivi economici riguardanti il rinnovo contrattuale, durante l’estate 2004, Nash viene lasciato partire verso Phoenix. Di fatto è la fine di un ciclo, per Dirk e per i Mavs — quello della scalata verso i vertici dell’NBA vissuta con spensieratezza.
Nonostante l’assenza del loro carismatico playmaker e pur con tutte le problematiche relative alla guida tecnica, a metà marzo i Mavs hanno un record di 42 vinte e 22 perse. Don Nelson, però, con un colpo di teatro che non sorprende più di tanto considerato il personaggio, rassegna le proprie dimissioni da capo-allenatore, mantenendo comunque il ruolo di general manager. Come prima mossa nella veste di responsabile del front office promuove il suo assistente Avery Johnson. Ritiratosi dall’attività agonistica giusto dodici mesi prima, all’ex playmaker degli Spurs non difettano personalità e convinzione nei propri mezzi: Dallas chiude la stagione con un eccellente filotto che dice 16 vinte e 2 perse e un 58-24 che vale il quarto posto nella Western. Il perché di tanta eccellenza è presto spiegato: Dirk gioca la sua miglior stagione — 26.1 punti, 8.7 rimbalzi, 2.7 assist, 1.2 rubate e 1.4 stoppate a sera. Pur nel contesto di una squadra che sta cambiando pelle, Nowitzki plasma uno stile di gioco sempre più unico, che influenzerà il resto della lega negli anni a venire.
I costanti miglioramenti registrati sono sbalorditivi e gli addetti ai lavori rimangono sempre più affascinati dal misterioso rapporto, quasi simbiotico, con Geschwindner. Per il compagno di squadra Finley i due sono tali e quali a Frankenstein e allo scienziato pazzo che l’ha creato. Quando al mentore viene chiesto un parere sul percorso del proprio pupillo, l’ex-capitano della nazionale si trincera dietro un ermetico «l’essere umano è un organismo biologicamente evolutivo».
Gli uffici di pubbliche relazioni della lega e la possibilità di pubblicizzare il proprio camp estivo, col tempo, lo renderanno più loquace.
Dirk finisce terzo, dietro all’amico Nash e a all’ultimo Shaquille O’Neal davvero dominante, nella corsa all’MVP. Il tedesco è ormai un modello da imitare e la smania di scovare un altro Nowitzki si diffonde tra general manager e scout di tutta la lega, inducendo un sonno della ragione che genererà mostri, di cui i Draft degli anni 2000 risulteranno stracolmi anche ai piani più alti. I playoff si chiudono al secondo turno, proprio contro l’ex Steve Nash. Nonostante la delusione per l’ennesima uscita prematura, a Dallas hanno la sensazione di aver intrapreso la strada giusta.
Dario Costa è nato trentotto giorni dopo Kobe Bryant. È innamorato e scrive di musica e pallacanestro, spesso mescolate insieme. Ha collaborato con Barracuda Rock Tour e Rivista Ufficiale NBA.
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